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Dal pericolo al rischio: l’antropologia di Mary Douglas

2. P AURA , TERRORE E ORRORE : UNA ANALISI DI SEMIOTICA DELLA CULTURA

2.3. Dal pericolo al rischio: l’antropologia di Mary Douglas

Tra il 1966, anno della pubblicazione di Purity and Danger, e il 1992, anno della pubblicazione di Risk and Blame, Mary Douglas ha compiuto un percorso teorico a mio avviso molto interessante. L’antropologa americana è partita nella sua ricerca dal dato che le società primitive rispetto a quelle moderne hanno una sostanziale differenza nel trattare il pericolo.

Per i “primitivi” il pericolo è qualcosa che viene dall’esterno e il risultato dell’azione di una divinità: la protezione dal pericolo è quindi un problema religioso espletato da sciamani o comunque da chi, all’interno della comunità, è deputato al dialogo con un dio. Per i “moderni” invece si tratterebbe di cause materiali indagate dalla scienza e a cui dà una risposta la tecnica e la tecnologia. Da ciò si deduce, secondo l’ipotesi di partenza di Douglas, che nel primo caso il rapporto tra pericolo e comunità è fortemente viziata da ideologie e scelte politiche, che conducono spesso le classi forti a politicizzare e ideologizzare le catastrofi naturali; mentre nel secondo caso il pericolo sarebbe un fatto obiettivo, sancito e misurato dalla scienza e al riparo da ogni strumentalizzazione politica.

Douglas nel corso del suo processo di ricerca giunge alla conclusione che così non è: “l’uso politico e la matrice culturale di ciò che definiamo pericolo e rischio ci accomuna ai primitivi” (1993: 7 trad. it.). Inoltre sia nelle società primitive che in quelle moderne ”i pericoli che minacciano la vita e i membri della comunità [sono] automaticamente inglobati nel patto costitutivo e si [adeguano] a modelli ricorrenti a seconda del patto fondativo in vigore” (ib.), ipotesi che svilupperò in seguito con riferimento alle categorie politiche moderne. Per Douglas – conformemente alla tesi generale che guida il mio lavoro – il patto fondativo di ogni comunità ha come principio costitutivo l’istanza immunitaria, cioè l’esigenza di protezione.

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Douglas (1966) descrive i modi in cui il concetto di pericolo sia legato fortemente all’idea della contaminazione: ciò che la comunità fa sia a livello collettivo che a livello individuale è preservare a più livelli la propria purezza. Ogni fonte di contaminazione potenziale è considerata pericolosa. Il concetto di pericolo è efficace nel momento in cui questo si traduce in tabù, che definiamo come una serie di “restrizioni nell’uso arbitrario delle cose naturali da parte dell’uomo, rafforzate dal timore delle pene soprannaturali” (Douglas, 1966: 43 trad. it.), finalizzate a difendere la società da comportamenti distruttivi dell’ordine che possono essere messi in atto dal singolo. Il tabù ha sui singoli un potere coercitivo in quanto li persuade a rispettare una serie di prescrizioni tese a preservare l’ordine sociale, pena un castigo:

l’ordine ideale di una società viene garantito dai pericoli che minacciano coloro che lo trasgrediscono. Queste sensazioni di pericolo sono sia delle minacce che si usano per costringere un’altra persona, sia dei pericoli in cui si teme di incappare non appena si abbandona la retta via. Esse rappresentano un violento linguaggio di esortazione reciproca. A questo livello ci si richiama alle leggi della natura per sanzionare il codice morale: questo tipo di malattia viene causato dall’incesto, quest’altro dall’adulterio; questa calamità naturale è effetto di malafede politica, quest’altra è dovuta all’irreligiosità. L’intero universo viene utilizzato dagli uomini per costringersi reciprocamente a essere buoni cittadini. (Douglas, 1966: 33-34 trad. it.)

La contaminazione, e dunque la perdita della purezza, è il risultato dell’infrazione del tabù e cioè dell’attraversamento di un confine. In particolare essa è il risultato della “interazione del formale con l’informale circostante”, cioè dell’attacco dell’informale sul formale6. La contaminazione provoca una serie di conseguenze prima di tutto a un livello patemico e somatico: il disgusto e la vergogna sono due dispositivi passionali disforici che mantengono i soggetti al di qua dei confini fonte di contaminazione.

Ciò che fa Douglas per rendere conto di come viene costruito il pericolo e il rischio è elaborare quello che in ambito semiotico chiamiamo appunto tipologia della cultura, partendo dall’assunto che “il concetto di società è un’immagine potente […] dotata di forma, di confini esterni, di margini, di una struttura interna” (1966: 185 trad. it.). Douglas distingue così quattro tipo di pericoli:

il primo è il pericolo che preme sui confini esterni; il secondo è il pericolo che deriva dalla trasgressione delle linee interne del sistema; il terzo è il pericolo presente nei margini delle linee; il quarto è il pericolo causato dalla contraddizione interna, quando certi postulati fondamentali vengono negati da altri postulati fondamentali, in modo tale che in certi punti il sistema sembra in conflitto con se stesso. (1966: 196 trad. it.)

Nel primo caso ci troviamo di fronte al problema del rapporto tra la comunità e il caos che la circonda (vedi anche Lotman e Uspenskij, 1975: 155 e ss.; infra 1.4.) e alla possibilità che

6 Per formale e informale, nella traduzione italiana, si intende il rapporto tra un ordine interno “formato”, cioè

organizzato, e un disordine “esterno”. Come si intuisce il modello di Douglas è molto simile al modello lotmaniano, trovando probabilmente entrambi la propria fonte ispiratrice negli studi di Lévi-Strauss.

esso abbia il sopravvento sull’ordine interno. La trasgressione delle linee interne è invece dovuta al comportamento di soggetti devianti come anche il pericolo nei margini delle linee. Un esempio del primo caso è la contraddizione tra il comportamento esterno e i sentimenti intimi, cioè in una non conformità tra atti visibili e pensieri. Questo può creare sventura e maleficio. Un esempio che può chiarire questo passaggio, seppure non fatto dalla Douglas né attinente alle culture primitive, è il valore del perdono pubblico o della confessione: entrambi gli atti hanno come obiettivo quello di conformare i sentimenti dell’anima al comportamento pubblico. Nel caso in cui nelle due pratiche vi sia menzogna e malafede, il soggetto viene minacciato dalla disgrazia derivante dal peccato della non sincerità.

Inoltre fonte di pericolo sono tutti coloro che sono definiti “individui interstiziali”, cioè soggetti che appartengono sia alla comunità sia a un altro mondo, come per esempio maghi e stregoni: parliamo in questo caso della terza tipologia di pericolo. La doppia appartenenza colloca questi soggetti sul confine e li rende fonte di pericolo per l’ordine interno della comunità. Questi soggetti hanno infatti dei poteri “informali” che derivano dalle strutture caotiche poste al di là dei confini della comunità, che si contrappongono ai poteri formali interni alla comunità e che derivano direttamente dall’ordine interno sociale.

Infine il pericolo derivante dalle strutture categoriali proprie del sistema: in alcuni punti il sistema produce delle contraddizioni e dunque conflitto. Abbiamo visto già nel primo capitolo come Eco e Lotman valorizzino l’aspetto contraddittorio dei sistemi di significazione e come nel paradigma immunitario e nell’approccio di Luhmann la contraddizione abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento dei sistemi di protezione in quanto crea conflitti sostenibili e “una memoria selettiva in grado di proteggere il sistema anche senza la sollecitazione di stimoli esterni” (Esposito, 2002: 59).

L’idea di Douglas diviene ancora più interessante nel passaggio teorico di disgiunzione tra le idee di contaminazione e il sistema morale: le regole sulla contaminazione e le regole morali non coincidono e i due sistemi normativi non si toccano se non in alcuni punti. Infatti “alcuni tipi di comportamento possono venire giudicati sbagliati e comunque non dare origine a credenze di contaminazione, mentre altri che non sono considerati molto deprecabili vengono ritenuti contaminanti e pericolosi” (Douglas, 1966: 205 trad. it.).

Il rapporto tra le idee sulla contaminazione e sistema morale è in realtà di rafforzamento del secondo tramite l’utilizzo del primo che comporta però, dal punto di vista di una semiotica della cultura, un passaggio dal dominio culturale a quello naturale con conseguenze politiche

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comportamento culturale implica necessariamente almeno due possibilità, di cui una sola è ‘corretta’” (Lotman e Uspenskij, 1975: 29), naturalizzare il sistema morale, traducendolo nei termini della contaminazione, vuol dire rendere alcune scelte e alcuni comportamenti ineluttabili. Infatti “le norme sulla contaminazione possono servire a convalidare dei princìpi morali incerti” (ib.: 207), organizzando la disapprovazione morale lì dove manchi e infliggendo agli individui una punizione “naturale” e impersonale nel momento in cui il sistema morale di una società non è riuscito a produrre la sanzione.

La punizione deriva dall’infrazione di un ordine naturale, cioè nello specifico, dal fatto che l’individuo ha messo in atto un comportamento che l’ha corrotto. La contaminazione provoca così passioni di disgusto e vergogna con tutte le conseguenze a livello di stigma sociale. La punizione del singolo ha come effetto quello di rafforzare il sistema morale dando a esso una giustificazione naturale ineluttabile. Così le idee sulla contaminazione vanno a puntellare dei codici morali incerti o che stanno cedendo, naturalizzandoli.

Secondo Douglas la modernità non si discosta molto dal funzionamento di tali meccanismi nelle società primitive. In questi casi i meccanismi passionali e sociali indispensabili nel caso dell’avverarsi di un disastro sono i processi di blaming cioè di attribuzione di colpa: i processi di punizione reale o simbolica dei singoli dicono in questo caso molto di come una cultura e una società si struttura al suo interno e fissa i propri confini.

Nella gestione dei processi prima di “messa in sicurezza” di singoli e gruppi e poi di

blaming nei processi successivi al verificarsi di una catastrofe giocano un ruolo fondamentale le passioni: l’onore pubblico (Douglas, 1992: 45 trad. it.), il controllo dell’invidia, della paura e dei processi di reciproca imputazione di colpa sono cruciali nella efficacia sia delle politiche di sicurezza che dell’efficacia dei processi di recupero e mitigazione.