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Regolazione sociale delle passioni e ruolo del Destinante

2. P AURA , TERRORE E ORRORE : UNA ANALISI DI SEMIOTICA DELLA CULTURA

2.11. Regolazione sociale delle passioni e ruolo del Destinante

Nel percorso ventennale che porta Greimas da Del Senso a Semiotica delle passioni credo siano andate perse molte importanti riflessioni sull’analisi della figura del Destinante e su come esso costituisca il Soggetto in particolare dal punto di vista patemico:

quanto al Destinante, il suo ruolo è considerevolmente ridotto dalla passione: che il Destinante sia o non sia all’origine di un programma, ci si accorge che la passione del soggetto è sufficiente allo sviluppo di detto programma, al punto che appare come autonomo rispetto a un eventuale Mandante o Manipolatore. (Greimas e Fontanille, 1991: 52 trad. it)

Affermazione che contraddice tutto il percorso teorico fin lì tracciato: una delle prime analisi passionali, quella sulla collera (Greimas 1983: 217-238 trad. it.), aveva proprio posto il problema della vendetta e della giustizia in termini di presenza o assenza di un Destinante che dà origine a diversi dispositivi sociali di regolazione delle passioni:

come la giustizia, la vendetta è una forma della retribuzione negativa (o punizione) esercitata sulla dimensione pragmatica, da un Destinante dotato di un poter-fare assoluto:

esse si differenziano tuttavia per il fatto che fanno appello la prima a un Destinante sociale, la seconda a un Destinante individuale. (Greimas e Courtès, 1979: /vendetta/)

Così la differenza tra vendetta e giustizia comporta l’introduzione di un Destinante-giudice che sposta la regolazione passionale del conflitto da un livello individuale a un livello sociale. Queste analisi mi sembrano essenziali nel momento in cui si vogliano studiare tutti i meccanismi di riparazione dei traumi e di regolazione del conflitto all’interno delle comunità, come anche il funzionamento semiotico del dominio giuridico (Basso, 2005). Spesso le pratiche e i testi che cercano di trasformare il “conflitto in convivenza” (Demaria, 2006b: 97) hanno proprio al centro il ristabilimento a livello collettivo di un contratto assiologico con la conseguente ricostruzione di un attante collettivo-comunità che condivida dei valori e una memoria comune degli eventi ricostruiti12.

È interessante notare come in questi casi i processi di costituzione della comunità passino sempre attraverso la rappresentazione di un punto d’origine dei valori, di un Destinante che può assumere la forma del Sovrano, di Dio o dello spirito della Comunità. Nelle analisi filosofiche di Esposito (1998), passate in rassegna nel primo capitolo, abbiamo già visto quanto sia importante questa figura terza che si pone tra i membri di una società sterilizzandone la potenziale relazione conflittuale: la comunità non si costituisce quindi attraverso l’interazione orizzontale tra pari, ma sempre attraverso il riconoscimento della mediazione di un punto d’origine trascendente dei valori rispetto al quale tutti si relazionano.

Da un punto di vista semiotico ciò che ci interessa è la rappresentazione di queste dinamiche identitarie. Un modello semiotico, forse scarsamente valorizzato, si ritrova proprio in Greimas. Il rapporto tra Soggetto, Destinante, Comunità e Sovranità è al centro di una delle prime analisi del semiotico lituano, che prenderemo ora più estesamente in considerazione.

2.11.1. Sovranità e paura: una analisi narrativa

In “Alla ricerca della paura” (1970), Greimas ha dedicato al tema della sovranità, del Destinante e della passione della paura delle brevi riflessioni che qui torneranno particolarmente utili. Al centro del saggio vi è l’analisi del racconto popolare lituano sulle avventure dell’Eroe senza paura e delle sue trentatré varianti. Greimas inaugura le sue riflessioni facendo riferimento in particolare agli studi di Propp: di solito il racconto favoloso implica alcune costanti, come l’affermazione di un ordine sociale (per esempio divisione per

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classi d’età e riconoscimento dell’autorità dei più anziani), la rottura dell’ordine e l’intervento dell’eroe che cerca di ristabilirlo.

Nel caso dell’eroe senza paura al contrario abbiamo un ordine sociale fondato dal lato del profano dal rispetto verso gli anziani della comunità e dal lato del sacro dal timore verso una entità superiore. Ciò che costituisce la manque del racconto è “il non riconoscimento da parte dell’eroe, dell’autorità profana e sacra” (Greimas, 1970: 245 trad. it.), con un conseguente stato di asocialità e alienazione derivante dall’impossibilità di trovare e condividere con la comunità un certo ordine valoriale (quello che in precedenza abbiamo chiamato contratto assiologico). L’eroe non riesce così a far parte della comunità: in questo senso la rottura dell’ordine non è rappresentata a un livello collettivo bensì a un livello individuale. L’eroe cerca così di riparare a questa manque cercando una figura d’autorità, la quale è ben riconoscibile a partire dalla capacità di far paura.

Da questo derivano una trasformazione della struttura stessa del racconto: mentre alla rottura dell’ordine di solito sopravviene la relazione contrattuale tra Destinante e Destinatario- Soggetto, con la successiva ricerca dell’oggetto di valore, nel caso dell’eroe senza paura ciò che manca è proprio il rapporto Destinante-Destinatario. L’oggetto stesso della ricerca diviene il Destinante, dominatore stesso della paura: “il soggetto cerca qualcosa o qualcuno che – direttamente o per via metonimica – gli faccia paura, vale a dire qualcuno di cui egli possa riconoscere l’autorità” (ib.: 247 trad. it.).

Troviamo così nell’analisi e nell’argomentazione greimasiana il rapporto tra autorità, paura e Destinante, dove i tre elementi costituiscono insieme i principi ordinativi stessi della società. Questo principio ordinativo è rintracciabile all’interno della stessa analisi greimasiana nella capacità della paura di tracciare e preservare confini tra entità e mondi diversi, aspetto che abbiamo ampiamente già messo ampiamente in evidenza:

La frontiera che separa il mondo dei vivi dal mondo dei veles può essere tracciata sulla scorta di categorie temporali (notte vs giorno) o spaziali (alto= il mondo sotto il sole vs basso= il mondo sotterraneo), o mediante combinazioni varie di categorie […] l’unico criterio pertinente per distinguere un vivo, sembra essere la paura che quest’ultimo ha dei non-vivi […L’eroe] è proprio colui che nega deliberatamente, e in ogni circostanza, l’esistenza della frontiera fra i due mondi. (ib.: 251 trad. it.)

Secondo Greimas la mancanza di paura rende l’eroe una figura paragonabile a quella di un dio dotato del “potere di vita e di morte: il quale ancor oggi, per i presidenti delle nostre repubbliche, resta il simbolo evidente della sovranità” (ib.: 256 trad. it.).

Solo alla fine del racconto l’eroe riconosce una struttura di mondo, individuando il Destinante, reggente del mondo dei morti, in seguito al superamento di una prova, quella

dell’acqua: “la paura viene così conosciuta, l’orrore sacro di fronte al signore della morte viene così sperimentato, viene riconosciuto il destinatore e accettato il contratto che sanziona la reggenza dell’eroe sul mondo dei vivi” (ib.: 259-260 trad. it.). In questo modo secondo Greimas tutto il racconto, come ricerca della paura, si configura “come la storia dell’instaurarsi dell’ordine sacro, divino e umano ad un tempo” (ib.: 260).

Troviamo nell’analisi dell’eroe senza paura la messa in narrazione di ciò di cui, a un altro livello, abbiamo discusso in precedenza: la paura della morte spinge al riconoscimento di una origine prima dei valori, il Destinante, a cui segue l’instaurarsi di un ordine di mondo, quello umano, quello sacro e quello divino separati da confini ben marcati.