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Il male da cui difendersi e le sue manifestazion

2. P AURA , TERRORE E ORRORE : UNA ANALISI DI SEMIOTICA DELLA CULTURA

2.2. Il male da cui difendersi e le sue manifestazion

In primo luogo occorre determinare in che senso utilizziamo in questa ricerca il termine male e ne decliniamo i vari significati. Il dizionario ne registra diverse accezioni: ciò che è cattivo, ingiusto e disonesto; ciò che è inutile, inopportuno, svantaggioso; sventura, avversità; sofferenza e dolore sia fisico che morale; malattia; malattia delle piante (Lo Zingarelli: /male/).

In tutti i casi il contrario si trova nella parola /bene/ o /salute/. Attorno alla categoria bene vs. male si è formata una intera interrogazione filosofica, quella morale. Al problema morale leghiamo naturalmente il problema etico: possiamo definire la morale come l’insieme delle norme e delle consuetudini ritenuti giusti da una comunità e quindi proposti come modello di

comportamento, mentre l’etica può essere sia una teoria del bene con portata normativa, sia una teoria dell’azione e cioè una descrizione delle forze che muovono per una qualche ragione un soggetto ad agire positivamente.

Nell’ambito della teoria politica il significato di male ha seguito in particolare due strade:

nel pensiero politico il male diventa un fattore centrale soprattutto quando, nella modernità perde il carattere teologicamente rigido di realtà autonoma dualisticamente contrapposta al bene, e viene interpretato come una determinazione negativa, ovvero come non-bene (privatio boni). La politica moderna oppone al male il proprio ordine razionale, oppure vede il male trasformarsi in bene. La prima strategia è chiara in Hobbes, che per evitare il sommo male, la morte, costruisce la sua politica razionale. La seconda è chiara in Mandeville, per il quale il bene può emergere come conseguenza provvidenzialmente inintenzionale del perseguimento del male. (Accarino, 2005: /male/)

Da questa definizione si vede come il male sia stato collocato in spazi diversi della cultura, così che la struttura logica del rapporto con il bene ha assunto forme diverse: se nell’accezione teologica ci troviamo di fronte a una relaziona antonimica secca, nel caso della modernità ci troviamo nella relazione marcato-non marcato, in cui il male è semplice negazione del bene. Sebbene i due livelli non siano affatto sovrapponibili automaticamente, in determinati contesti di discorso, tra i quali quelli che prenderemo qui in analisi, una cultura assiologizza se stessa come bene e assiologizza l’esterno, nelle varie forme assunte, come male. Ritroviamo allora la relazione marcato/non-marcato tra bene e male messa in evidenza nel pensiero moderno nella relazione tra cultura e non-cultura così come evidenziata da Lotman:

la cultura è pensata solo come una porzione, come un’area chiusa sullo sfondo della non cultura. Il carattere della contrapposizione varierà: la non cultura può apparire come estraneità a una determinata religione, a un determinato sapere, a un determinato tipo di vita e di comportamento. Sempre, però, la cultura avrà bisogno di una tale contrapposizione. Sarà proprio la cultura, inoltre, a intervenire come membro marcato dell’opposizione. (Lotman e Uspenskij, 1975: 40).

Nel modello hobbesiano il male è il caos dello stato di natura caratterizzato dal bellum

omnium contra omnes, cioè dalla guerra di tutti contro tutti e dal rischio sempre costante della morte. Nel paradigma hobbesiano il male si oppone all’“ordine razionale” interno garantito dal Sovrano.

Il modello di Mandeville è invece quello che giustifica il male in quanto fonte della prosperità dei popoli. In La favola delle api, ovvero vizi privati e pubblici benefici (1724) si parla dei vizi e della disonestà come la ragione della ricchezza delle nazioni moderne. In questo caso il male è connaturato al sistema che possiede però dei meccanismi per renderlo

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tutti quei “mali minori” che si accettano a livello individuale e collettivo per il benessere superiore della nazione.

Le due strade di costruzione del rapporto male/bene – quello di Hobbes e quello di Mandeville – costituiscono un esempio di strutturazione logica della categoria che ha delle conseguenze molto importanti: nel primo caso ci troviamo di fronte a una opposizione binaria antonimica in cui si ha “o X o Y” tanto quanto una persona può essere o “maschio o femmina”. Nel secondo caso invece ci troviamo di fronte a una diversa opposizione e cioè il problema viene posto nei termini di graduabilità e anche di co-presenza, in cui lo stesso meccanismo interno della cultura è composto da due elementi, il bene e il male, dove si può accettare alcune “dosi” necessarie e minori di male per produrre il bene. Il male non è così l’esatto contrario del bene ma instaura con esso un rapporto di reciprocità perché ne costituisce il presupposto. Se il primo modello inscrive il male a un livello trascendente, il secondo lo immanentizza.

Vi sono vari esempi di teorie dell’agire politico e della relativa retorica note per aver fatto del “male necessario” il principio ispiratore di molte scelte. In generale già nella trattatistica medievale forme minori di male, come sedizioni e rivolte, erano viste come una possibilità, da parte del potere, di produrre il bene collettivo. Ma ancora oggi questa visione del male determina l’azione politica.

Si pensi a come una guerra, come quella in Kosovo, sia stata proposta come “male necessario” per il raggiungimento di un bene maggiore. O come la guerra in Iraq sia stata dichiarata un “male minore” contro uno maggiore, cioè la costruzione di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein.

Ogni era ha posto il male in una relazione strutturalmente diversa nel rapporto tra interno ed esterno e le risposte che ogni epoca ha elaborato rispetto al problema del male ci permette di ricostruire tale schema. Tali risposte si pongono nei termini sia di elaborazione successiva a un evento già accaduto sia di evitamento futuro di altri mali.

È difficile però fare un discorso generale sul male riuscendo a definirlo in tutti i suoi elementi e in tutte le sue caratteristiche, al punto da essere capaci di riconoscerlo e di collocarlo nell’ambito della cultura in generale. Ciò che qui mi interessa, più che inquadrare una idea generale di male, è descrivere il modo in cui essa è collegata a esperienze particolari (e quindi ai testi e rappresentazioni collegate) e come essa si possa ricavare dai modi in cui le culture ideano delle categorie concettuali che svolgono una funzione immunitaria. Alcune esperienze di distruzione possono produrre e in realtà producono non soltanto rovine fisiche e

perdite umane ma anche perdite simboliche: ciò che viene minacciato è un ordine di credenze e la nostra capacità di muoverci nel mondo5.

L’esperienza del male è propria di alcuni eventi a cui diamo determinate etichette: disastro, catastrofe, sciagura, rischio e pericolo. Tutte queste esperienze minacciano per gradi diversi la cultura come ordine simbolico di una società. Ogni società si protegge di fronte alla possibilità del verificarsi di tali esperienze: lo studio di tali meccanismi di protezione ci dice molto su come costruiamo il mondo e il nostro spazio d’azione in esso.