3. D IFENDERE LA COMUNITÀ : CATASTROFI E PROTEZIONE
3.7. Prevenzione e anticipazione: la costruzione del pericolo dopo l’11 settembre Mi pare di particolare utilità la proposta avanzata da Richard Grusin nel 2004 per
analizzare le logiche governamentali e mediatiche che informano la rappresentazione e la copertura di eventi dopo l’11 settembre.
Nel 1999 Richard Grusin con Jay Bolter ha scritto un libro molto discusso per lo studio dei nuovi media, dal titolo Remediation: Understanding New Media28. La tesi dei due autori è che
i media, e non necessariamente quelli nuovi, “refashion prior media forms” (Grusin, 2004: 17)29. Cinque anni dopo, Grusin ritorna sul fenomeno della remediation valorizzando alcuni
elementi che nell’analisi del film che aveva ispirato quell’ipotesi, Strange days (1995) di Kathrine Bigelow, erano passati secondo l’autore americano inosservati.
Nell’analisi di quel film era andato perso un importante aspetto che è per Grusin quello della premediation:
The logic of remediation insists that there was never a past prior to mediation; all mediations are remediations, in that mediation of the real is always a mediation of another mediation. The logic of premediation, on the other hand, insists that the future itself is also already mediated, and that with the right technologies […] the future can be remediated before it happens. (Grusin, 2004: 19)
Occorre chiarire la differenza sul come Grusin utilizzi il termine mediation cioè mediazione e come lo utilizziamo noi, nell’ambito degli studi semiotici. L’utilizzo che ne fa
27 Nel prossimo capitolo definiremo più attentamente le caratteristiche del discorso della sicurezza come testo. 28 Vedi anche per una rilettura del concetto in ambito semiotico Cosenza (2008).
29 In realtà già Benjamin in L’opera d’arte al tempo della sua riproducibilità tecnica mette in evidenza come
spesso nelle vecchie forme di espressione artistica prendano già forma nuove tecniche che verranno perfezionate da media successivi: è il caso del rapporto tra dadaismo e cinema (1955: 44 trad. it.).
Grusin è indubbiamente alquanto ambiguo. A volte sembra che i fenomeni di remediation si riferiscano ai modi in cui i nuovi media inglobano le potenzialità dei vecchi dal punto di vista tecnico e di organizzazione del piano dell’espressione: in questo senso il cinema ha sicuramente inglobato in sé i media precedenti, quali le arti figurative e il teatro. Dall’altra parte alcune volte Grusin sembra concentrarsi sul modo in cui i nuovi media ri-rappresentino eventi già rappresentati da altri media: ci troviamo davanti a una stessa espressione per definire fenomeni molto diversi.
Il concetto di premediation si riferisce invece sicuramente alla possibilità di rappresentare un evento probabile prima che esso accada: in questo senso per esempio i media non cercano più di raccontare la cronaca di ciò che sta accadendo, ma cercano di anticipare ciò che avverrà. Mi sembra che i due concetti non siano equiparabili e che l’uso sia alquanto ambiguo. Cercherò dunque di rileggerli da un punto di vista semiotico.
L’uso che Grusin fa del termine mediazione, con i relativi prefissi, presenta due limiti: • per la semiotica, soprattutto di stampo peirciano, ogni conoscenza di un evento non
può che essere mediata da una rappresentazione o segno e non esiste alcuna forma di conoscenza immediata e basata sull’intuito. Quindi la costruzione, la rappresentazione e l’interpretazione di ogni evento futuro è relativamente “premediata”, anche se mai completamente predeterminata, da categorie e schemi culturali preesistenti;
• la parola premediation suggerisce che vi sia un evento reale che sia successivamente suscettibile di essere mediato attraverso rappresentazioni. Sappiamo al contrario che non è possibile uscire fuori dalla rete di rappresentazioni attraverso cui conosciamo i fatti e gli stati del mondo, per giungere idealmente a un evento nella sua dimensione “reale”.
Circoscriviamo quindi l’uso del termine premediazione alla designazione di quelle rappresentazioni che cercano di inscrivere e costruire nel presente eventi che stanno per accadere o che verosimilmente accadranno.
Grusin vede la premediazione come “a fundamentally response to 9/11, in which the US seeks to try to make sure that it never again experiences live a catastrophic event like this that has not already been premediated” (2004: 21). L’evento futuro così emerge non immediatamente nel presente, ma arriva prima ancora che esso accada.
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Just as the U.S. government’s establishment multiplies and extends its own networks of political, investigative, and juridical practises to prevent the occurrence of another 9/11, so the media multiply or proliferate their own premediations of potential terror attacks, or war in Iraq, as a way to try to prevent the occurrence of another media 9/11. Like the U.S. government’s establishment of a color-coded security system of terror alert, the media’s preoccupation with premediating future strives to maintain a low level anxiety among the American public in order to protect them from experiencing the immediacy of another catastrophe like 9/11. (ib.: 26)
Questo secondo lo studioso americano ha prodotto una sorta di “juridico-disciplinary apparatus” (ib.: 23) che accomuna istituzioni e media nell’obiettivo di proteggere la società dal trauma di un evento improvviso e non precedentemente elaborato.
Grusin argomenta la sua tesi analizzando la copertura mediatica di tre casi: l’ attacco all’antrace del 200130, il caso dei cecchini che nel 2002 seminarono il panico a Washington e
nei dintorni31 e la guerra in Iraq.
In tutti questi casi i media hanno abbandonato la loro funzione di fare la cronaca di ciò che accade e hanno svolto il ruolo “profetico” o “predittivo” di anticipare gli eventi: dove sarà inviata la prossima busta all’antrace? Dove colpirà il “belt sniper” di Washington? Dove cadrà il primo missile nella imminente guerra irachena?
In tutti questi casi i media costruiscono gli scenari del prossimo evento piuttosto che narrare ciò che è già stato. Si tratterebbe di narrazioni modalizzate dal punto di vista temporale sul futuro, dal punto di vista aletico sulla probabilità e da quello aspettuale sulla duratività, quando invece le cronache riguardano il passato prossimo e spesso sono aspettualizzate sulla terminatività o al massimo sulla duratività del presente se si coglie l’evento dal vivo.
Mi sembra illuminante paragonare questo regime mediatico a quello del real-time analizzato da Mary Ann Doane nel saggio “Information, Crisis, Catastrophe” (1990) dove vengono prese in analisi tre catastrofi di fine anni Ottanta: l’esplosione dello shuttle
Challenger del 198632, un incidente aereo del 198733 e la copertura dell’uragano Gilbert nel 198834. Secondo Doane l’interruzione della prevedibilità e della regolarità dei programmi
regolarmente previsti dalle reti televisive sono alla base di quegli effetti di senso che
30 Nel 2001 una serie di lettere contenenti il batterio dell’antrace furono inviate a dei senatori americani, al New
York Post e al telegiornale della NBC. L’antrace è una patologia provocata da un batterio che può manifestarsi a livello cutaneo, gastroenterico o polmonare. Il decorso può essere, specie nell’ultimo caso, mortale.
31 Nell’ottobre del 2002 John Allen Muhammad e Lee Boyd Malvo uccisero dieci persone e ne ferirono
gravemente tre, sparando in posti e momenti diversi e seminando il panico tra il settembre e l’ottobre del 2002.
32 Si tratta dell’esplosione di uno shuttle della NASA in cui morirono tutti i componenti dell’equipaggio. La
tragedia fu seguita in diretta televisiva e causò uno shock nazionale.
33 Nell’incidente aereo, consumato nell’aeroporto di Detroit, morirono più di 150 persone
34 L’uragano Gilbert è stato il più potente uragano della zona atlantica. In dieci giorni, nel settembre del 1988,
chiamiamo istantaneità e “liveness” tipici del real-time. La continua interruzione del normale flusso mediatico attraverso l’introduzione di speciali o aggiornamenti “live” dai luoghi del disastro “functions both to generate anxiety and to suppress it” (Grusin, 2004: 25).
Secondo Grusin anche se la logica della premediazione si caratterizza, contrariamente al real-time, da un abbandono del presente e da una narrazione che va verso il futuro possibile, l’effetto patemico e le conseguenze di tale regime mediatico sono molto simili a quelli della copertura mediatica live di eventi catastrofici: “because of the repetitive structure of the everyday built into televisual programming, the repeated premediation of future disasters or catastrophes works to guard against the recurrence of a trauma like 9/11 by maintaining […] an almost constant level of fear” (ib.: 26).
Questo tipo di costruzione mediatica genera un livello costante e sostenibile di paura, permettendo agli spettatori di immaginare il prossimo possibile disastro o le forme che assumerà il sicuro disastro imminente. Allo stesso tempo però inserendone la copertura in un regime di prevedibilità, quello costruito dal tempo dei palinsesti televisivi, e quindi integrandolo già nella vita quotidiana degli spettatori in dosi che potremmo dire, con Esposito, sostenibili, permette di controllare l’ansia e soprattutto di proteggere gli spettatori- cittadini dall’effetto traumatico di un disastro reale. I media preparano così preventivamente una narrazione che, costruendo e gestendo l’evento, permetterà forse di proteggere la nazione dal trauma di un disastro imprevisto o imprevedibile.
La tesi fin qui delineata può essere dunque riformulata in questo modo: il discorso sulla sicurezza agisce come un meccanismo di premediazione e trasformazione degli eventi imprevedibili in eventi prevedibili, attraverso la costruzione di una narrazione che contenga l’evento – e che quindi ne costruisca una memoria – prima che esso accada allo scopo di proteggere la comunità dalle potenziali conseguenze distruttive sia sul piano fisico che psicologico.
Sono due a mio avviso i dispositivi in gioco a livello politico e di rappresentazione mediatica all’interno di quella che oggi definiamo guerra al terrorismo. Questi svolgono il ruolo di collocazione degli eventi da un regime di imprevedibilità a uno di prevedibilità cercando di rispondere alla questione “come anticipare ciò che non è ancora accaduto?” (Esposito, 2002: 38) : parliamo dell’eccezione e dell’emergenza35. L’analisi differenziale di
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questi due dispositivi ci permetterà di illuminarne il senso e di ipotizzare quali dinamiche semiotiche sono oggi in gioco nella definizione del pericolo terroristico e non solo.
3.7.1. L’eccezione: quando manca la memoria
In 2.8.1. abbiamo definito il Sovrano come colui che si colloca esattamente al limite dei confini della comunità e che a partire da quella posizione, extragiuridica e trascendente, fonda l’ordine giuridico interno e immanente. Facevamo riferimento a un classico del pensiero politico che è la “Definizione della sovranità” di Carl Schmitt (1922: 33-41 trad. it.).
Ritorniamo al problema della sovranità per discutere appunto di eccezione. Dice infatti Schmitt: “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione” (ib.: 33 trad. it.). Per comprendere cosa sia l’eccezione dobbiamo ritornare alla funzione della legge come sistema di memoria e protezione.
Come abbiamo detto la legge opera in una situazione di anticipazione presupposta e per far questo lo strumento logico principale a disposizione del legislatore è la costruzione di una
ipotesi normativa o fattispecie ideale, cioè si costruisce una azione che può probabilmente realizzarsi nella realtà e si dispone che di fronte al verificarsi di quel dato evento si producano certe conseguenze: se si verifica l’evento X che ha le caratteristice a, b, c… allora si dispone Y, rimedio che ha la funzione di ristabilire l’ordine (per esempio nel caso della giustizia retributiva la sanzione nei confronti di chi ha infranto l’ordine e la ricompensa per chi è stata ingiustamente danneggiato). I comportamenti reali sono dette fattispecie concrete che, riconosciute come occorrenze della ipotesi normativa, producono le conseguenze che la legge stessa prevede (vedi anche infra 1.2.1. e Eco, 1984: 285). Abbiamo così un evento probabile, definito e prevedibile (per esempio un omicidio) di fronte al quale la legge dispone certe conseguenze per chi ne è responsabile.
Di fronte a un evento come l’11 settembre si è assistito al recupero della definizione di
eccezione: non è detto che la legge possa sempre anticipare un evento perché ci sono eventi, imprevedibili ma possibili, che non possiamo né immaginare né definire. Di fronte a questo evento minaccioso, indefinibile e imprevedibile, il potere trova tutela nella figura del Sovrano, che opera in un dominio extragiurdico e che costituisce il fondamento stesso della legge.
Possiamo quindi ritornare e comprendere ora meglio le definizioni di Schmitt: il Sovrano interviene di fronte al verificarsi di un evento che “si sottrae all’ipotesi generale” (Schmitt, 1922: 39 trad. it.), cioè che la legge non ha saputo descrivere preventivamente. L’evento minaccioso diviene, nel passaggio dallo strumento logico della ipotesi normativa a quello
dello stato d’eccezione, da evento circoscritto e definibile a un evento generale e sempre possibile e che per sua natura non può essere definito (se lo fosse sarebbe prevedibile e quindi regolabile con gli strumenti propri della legge). Il sistema viene così protetto attraverso due meccanismi: uno ordinario, che ha il suo strumento nella legge con la definizione delle varie minacce probabili e contingenti, e uno eccezionale, attuato dal sovrano di fronte a un evento che è sempre possibile ma imprevedibile e indefinibile e che si costituisce quindi non come evento contingente ma possibilità strutturale.
L’eccezione si sottrae così alle normali e giuridiche procedure di protezione configurandosi come “il caso non descritto nell’ordinamento giuridico vigente” o come ciò che può al massimo “essere indicato come caso di emergenza esterna, come pericolo per l’esistenza stessa dello Stato” (ib.: 34 trad. it.). L’eccezione è dunque la procedura di protezione al limite dell’ordinamento statale, che viene invocata in ragione del “diritto di autoconservazione” (ib.: 39) in capo allo Stato. Essa viene invocata quando il sistema non ha in memoria un “caso precedente”, ossia un evento già avvenuto a cui è possibile assimilare quello in corso nel presente.
Lo stato d’eccezione è stato spesso richiamato a proposito del campo di prigionia di Guantanamo o delle misure successive all’11 settembre contenute nel USA Patriot act del 2001 come dimostrato da Giorgio Agamben (2003: 12):
La novità dell’”ordine” del Presidente Bush è di cancellare radicalmente ogni statuto giuridico di un individuo, producendo così un essere giuridicamente innominabile e inclassificabile. I talebani catturati in Afghanistan non sono non godono dello statuto di POW36 secondo la convenzione di Ginevra, ma nemmeno di quello di imputato di un
qualsiasi delitto secondo le leggi americane […] essi sono oggetto di una pura signoria di fatto, di una detenzione indefinita non solo in senso temporale, ma quanto alla sua stessa natura, poiché del tutto sottratta alla legge e al controllo giudiziario. (Agamben, 2003: 12)
Ma probabilmente la sottrazione completa all’ordinamento giuridico, in questo caso internazionale, si misura con il concetto di guerra preventiva. La logica di costruzione dell’evento minaccioso che informa il concetto stesso di guerra preventiva è assolutamente conforme alla costruzione della minaccia dello stato d’eccezione: la minaccia non è definibile e descrivibile ma si costituisce come un pericolo la cui “realtà” è fissata arbitrariamente, non esistendo nessuna possibile forma di accordo intersoggettivo. La lenta trasformazione della definizione dell’evento minaccioso si misura nella differenza tra preemptive war e preventive
war, due termini che in italiano avrebbero la medesima traduzione ma che in inglese hanno due significati diversi e corrispondono a modi diversi di costruire la minaccia che giustifichi
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La differenza tra i due termini è coglibile risalendo alle loro origini etimologiche.
Preemption deriva da præemptiō termine utilizzato per indicare il diritto di qualcuno a comprare un bene prima che venga messo in vendita ad altri. In inglese indica l’azione di “purchase before an opportunity is offered to others”, quello che in italiano è chiamato diritto di prelazione. Prevention deriva invece da prævent “precede, anticipate” (The Oxford Dictionary of English Etymology, III ed.). Il primo termine si riferisce quindi a un evento preciso il cui realizzarsi è certo e consiste nella possibilità per qualcuno di approfittare strategicamente della propria posizione, mentre il secondo è la generica anticipazione di un evento.
La preemptive war è una guerra lanciata da uno Stato che si sente minacciato ed è legata ai criteri di necessità, immediatezza e proporzionalità dell’attacco. Uno dei criteri indispensabili è che la minaccia sia dimostrabile e che quindi la comunità degli Stati (l’ONU oggi, la Società delle Nazioni un tempo) possa verificare le ragioni della guerra, sebbene questo concetto non sia unanimemente condiviso da tutti.
La preventive war, è stata invece evocata per giustificare la seconda guerra nel Golfo. Di fronte alla impossibilità di far rientrare il conflitto nel quadro della preemptive war e di definire una minaccia condivisa dai membri della comunità internazionale (culminata nel discorso di Colin Powell alle Nazioni Unite nel febbraio 2003 nel quale il Segretario di Stato americano cercò di fornire le prove dell’esistenza delle armi di distruzione di massa di cui l’Iraq sarebbe stata in possesso), il governo statunitense ha cercato di allargare il concetto di
preemption finendo per definire il concetto di prevention.
Lo scivolamento è provocato proprio dalle caratteristiche della minaccia, che può essere non visibile e non percepibile ma non per questo non meno reale. Il passaggio dalla
preemption alla prevention è ben spiegato nel The National Security Strategy del 2002 del governo statunistense:
For centuries, international law recognized that nations need not suffer an attack before they can lawfully take action to defend themselves against forces that present an imminent danger of attack. Legal scholars and international jurists often conditioned the legitimacy of preemption on the existence of an imminent threat—most often a visible mobilization of armies, navies, and air forces preparing to attack. We must adapt the concept of imminent threat to the capabilities and objectives of today’s adversaries. Rogue states and terrorists do not seek to attack us using conventional means. They know such attacks would fail. Instead, they rely on acts of terror and, potentially, the use of weapons of mass destruction—weapons that can be easily concealed, delivered covertly, and used without warning.37 (corsivo mio)
L’imminente minaccia da visibile diviene nascosta e coperta e quindi indimostrabile perché non fornisce sintomi e indizi della sua presenza. Le pratiche di sicurezza nella “guerra al terrore” sembrano caratterizzate, come vedremo, da una medesima costruzione dell’evento minaccioso: la minaccia è diffusa, imprevedibile, non definibile e difficilmente percepibile, al punto da essere anche non credibile. Non è circoscrivibile ma caratterizza essenzialmente ogni ambito della vita sociale. Non essendo delimitabile a un circoscritto “scenario di guerra” essa può essere ritrovata potenzialmente in ogni aspetto della vita quotidiana.
Nell’eccezione e nella guerra preventiva non abbiamo alcuna possibilità di costruire l’evento minaccioso, descriverlo e definirne le caratteristiche allo scopo del riconoscimento e della prevenzione. Come vedremo questa è una delle caratteristiche delle comunicazioni istituzionali per la sicurezza a Londra dopo gli attentati del 7/7: il nemico o la minaccia assumono contorni vaghi e indefiniti. Inoltre questo stile di ragionamento informa molte nuove disposizioni di legge. Nel caso inglese possiamo citare i nuovi poteri della polizia di
stops and searches in cui, contrariamente al funzionamento “normale” della legge, la polizia può fermare qualsiasi individuo anche se non vi sono fondate ragioni per farlo.
3.7.2. Le tecnologie dell’emergenza come costruzione di memoria
Già mettendo a confronto l’analisi del concetto di emergenza ed emergenza latente fatte in precedenza, con quello di stato d’eccezione salta agli occhi la differenza sostanziale tra i due paradigmi di protezione: l’uno dichiara l’impossibilità di costruire e descrivere l’immagine di un pericolo che è radicalmente imprevedibile, l’altro invece consiste nella costruzione simulacrale dell’evento con l’obiettivo dichiarato di prevederlo, prevenirlo e dunque proteggersi.
Entrambi i paradigmi di protezione sono attualmente usati nella gestione del pericolo e, come vedremo, il loro impiego ha subito una accelerazione notevole subito dopo l’11 settembre. Nel caso però dell’impiego delle tecnologie dell’emergenza, sebbene il pretesto sia stato indubbiamente l’irruzione del pericolo terroristico nella forma catastrofica dei fatti di New York, esso si estende anche al pericolo biologico (epidemie), naturale (terremoti e alluvioni), ecologico (inquinamento) o umano (terrorismo o incidenti a industrie e infrastrutture).
Un importante campo d’applicazione che ha ricevuto molta attenzione subito dopo l’11 settembre è sicuramente quello della biosicureza38 che ci servirà qui per illustrare il
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funzionamento delle attuali tecnologie dell’emergenza che poi analizzerò più diffusamente nella sezione d’analisi.
L’interesse alla biosicurezza ha subito una importante e profonda accelerazione prima degli attentati di New York e in particolare con la fine della Guerra Fredda, quando “the