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Dall’arte alla scienza

N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION

4. M H EIDEGGER , 1961; W K AUFMANN , 1950.

2.2. Schopenhauer come “educatore”

2.2.1. Dall’arte alla scienza

Torniamo al nostro nodo teorico centrale, ovvero al problema del passaggio dal piano dell’arte a quello della scienza, e al significato che tale passaggio ha progressivamente assunto nella riflessione nietzschiana. Anzitutto va notato che Nietzsche fa costante riferimento a una prospettiva teorica ben precisa (tra l’al- tro all’epoca dominante), ovvero al dibattito postkantiano sulla possibilità della conoscenza trascendentale – problema già affrontato e risolto in via provvisoria, ma come si è visto in maniera insoddisfacente, nella Nascita. Al di là infatti delle fondamentali riflessioni schopenhaueriane in tema di filosofia dell’arte, Nietzsche presta una particolare attenzione all’argomentazione schopenhaueria- na sull’origine della cosa in sé; tanto che sarà proprio questo punto, variamente tematizzato e riformulato, a fornire l’ossatura delle successive riflessioni.

Vediamo in che termini Schopenhauer affronta il problema della cosa in sé, ma, prima ancora, cerchiamo di comprendere il senso dell’interesse nietzschiano per Schopenhauer. Anzitutto va sottolineato come l’ammirazione di Nietzsche per Schopenhauer abbia ragioni profonde, riconducibili in larga misura al percor- so formativo di Schopenhauer, che ricalca bene quell’ideale di universalità scien- tifica che Nietzsche assume con decisione via via crescente84. In realtà, quello di

Schopenhauer non è un semplice interesse dilettantistico per le metodologie e i risultati delle scienze esatte; il filosofo tedesco lavora a un’idea molto più com- plessa della scienza, che non si risolve certo in una ammirazione passiva e acri- tica. Il nucleo filosofico fondamentale, che Schopenhauer non metterà mai effet- tivamente in discussione e che Nietzsche si sentirà di condividere pienamente, si fonda su di un sapere essenzialmente Naturwissenschaften che tuttavia, per esse- re utilizzabile, va ricondotto a una visione filosofica e strutturata del mondo. Per questo Schopenhauer attacca con decisione (e anche con una certa frequenza)

quegli scienziati che pretenderebbero di spiegare ogni cosa semplicemente attra- verso l’ausilio del meccanicismo applicato alle diverse discipline scientifiche85.

Tutt’al più, insomma, la chimica e la fisiologia da sole possono servire, nella pro- spettiva di Schopenhauer86, a formare dei buoni farmacisti e dei buoni medici,

non di certo dei buoni filosofi; il che significa che non sembrano in grado di age- volare la comprensione della realtà ultima delle cose87.

Ne La vista e i colori, Schopenhauer scrive che l’origine della scienza (come del resto di ogni vero sapere) è sempre l’intuizione intellettuale: «ogni intuizio- ne è intuizione intellettuale. Infatti senza l’intelletto non si giungerebbe mai all’intuizione, alla percezione, all’apprensione di oggetti; bensì si rimarrebbe alla pura e semplice sensazione, che, forse, potrebbe avere un significato, come dolore o come piacere […], ma per il resto sarebbe soltanto un alternarsi di condizioni prive di significato e in nessun modo una conoscenza»88.

All’intuizione, e di lì alla conoscenza di un oggetto, si giunge in primo luogo per il fatto che l’intelletto riferisce a una causa ogni impressione (o, anche, ogni modificazione) che riceve dal corpo, la trasferisce poi allo spazio che è intui- zione apriori, e, per la precisione, al punto da cui proviene l’effetto, e quindi riconosce la causa come reale, ovvero come rappresentazione omologa al corpo. Il punto di partenza è dunque la sensibilità, quello di arrivo l’intelletto; in maniera tale che, senza sensibilità, non c’è materia della conoscenza, men- tre, senza l’intelletto, i dati sensibili rimarrebbero privi di organizzazione: «l’intuizione, quindi, la conoscenza degli oggetti, di un mondo oggettivo, è opera dell’intelletto. I sensi sono semplicemente la sede di una accresciuta sen- sibilità, sono punti del corpo che ricevono in misura maggiore l’influenza degli altri corpi: e invero ogni senso è aperto a un determinato tipo di influenza, per la quale gli altri hanno una scarsa ricettività o non la hanno affatto»89.

I fatti su cui si basano tanto la scienza quanto la nostra esperienza vanno con- cepiti come effetti di cui si tratta di determinare la causa; questi stessi fatti, cono- sciuti poi nelle loro rispettive proprietà, vengono unificati dalla scienza sotto un concetto comune, a cui sono poi subordinati altri concetti. La scienza, come pas- saggio dal particolare all’universale, deve dunque strutturarsi sistematicamente, elaborando una costruzione in cui ogni singolo dato trovi precisa spiegazione e collocazione. Tuttavia, per Schopenhauer, il limite incontrovertibile della scien- za è proprio nell’impossibilità di elaborare una metafisica soddisfacente90.

Un po’ come dire che le scienze sono indispensabili per la formazione delle microprospettive che riguardano problemi particolari (anzi, sono essenziali per non scivolare in un idealismo inconcludente: «in questo secolo lo splendore e quindi la preponderanza delle scienze naturali, come pure la generalità della loro diffusione è così imponente che nessun sistema filosofico può conseguire un’au- torità duratura se non si stringe alle scienze naturali e non si pone con esse in una stabile connessione»91), tuttavia è necessario che le scienze siano ricondotte a

dovere di assumere uno sguardo generale e organico sulla totalità delle cose – che è poi, in buona sostanza, la prospettiva che assume Nietzsche nel suo primo con- fronto con le scienze dure. Se da un lato le scienze naturali vanno prese a model- lo per ciò che concerne la metodologia di cui si servono per l’analisi dei fenome- ni, non possono invece manifestamente dirci nulla riguardo l’essenza delle cose. Ontologicamente, il mondo è dunque in qualche modo opaco; e si tratta di un’opa- cità tipicamente di secondo livello – il problema non investe pertanto ciò che c’è (più o meno, anche grazie all’apporto delle scienze esatte, conosciamo ciò che esiste), ma, più radicalmente, la natura autentica di ciò che c’è.

Ed è proprio a questo livello che entra in gioco la filosofia, soprattutto (e prima di tutto) nella sua formulazione largamente kantiana. Prima di addentrar- mi nei dettagli della posizione schopenhaueriana a proposito del vasto tema (e problema) della cosa in sé, non posso non notare la profonda analogia tra que- sto presupposto metafisico di Schopenhauer e la visione del tutto convergente di Nietzsche che imputa alla filologia – l’unica scienza di cui intorno agli anni settanta poteva in una qualche misura disporre – l’eccessivo tecnicismo tipico di un’indagine incapace di aprire una prospettiva nel cuore delle cose. In sostanza, di voler rimanere indipendente dalla metafisica92.

2.2.2. Un occhio che vede un Sole e una mano che sente il contatto