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Elisabeth, il nazismo e altri spettr

N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION

1.3. Denazificare a tutti i costi L’esempio di Walter Kaufmann

1.3.1. Elisabeth, il nazismo e altri spettr

Kaufmann nasce nel 1921 a Friburgo, in Germania, e nel 1939 passa negli Stati Uniti dove studia all’università di Harvard, laureandosi con una tesi sulla teoria dei valori di Nietzsche. Dunque, un pensatore di origine e formazione tedesca – nel 1939 Kaufmann ha già diciotto anni – che si occupa di un autore tedesco: fin qui, niente di nuovo. L’elemento di novità è piuttosto nell’ambito culturale in cui Kaufmann pensa la sua monografia, ovvero la (prima) cultura filosofica americana. Kaufmann scrive cioè tenendo costantemente presente che il pubblico del suo Nietzsche non sarà presumibilmente quello tedesco, notoriamente colto ed esigente, ma l’americano, filosoficamente, almeno all’epo- ca, meno preparato, tuttavia con richieste più articolate sia sul piano etico- morale sia su quello politico. Il lavoro del filosofo americano è dunque pensa- to per un determinato lettore e in risposta a un preciso clima storico, che è poi quello della cultura, anzi più diffusamente, della società americana del secon- do dopoguerra. È importante tenere presente questo punto, perché esso forma il correlato teorico al presupposto fondamentale di Heidegger: mentre cioè Heidegger si occupa principalmente di svincolare Nietzsche dal suo rapporto con le scienze della natura, Kaufmann si preoccupa di separarlo da una serie di questioni politiche assolutamente ingombranti, che rischiavano concretamente di estromettere la filosofia nietzschiana dal dibattito culturale americano.

Quindi, Kaufmann come Heidegger, almeno nel senso di aver riportato Nietzsche a questioni di attualità – nel caso di Heidegger, si era trattato di pren- dere posizione, anche attraverso Nietzsche, all’interno dell’ampio dibattito tra scienze della natura e scienze dello spirito, volto soprattutto allo svincolamento, sia teorico sia metodologico, delle seconde; mentre in Kaufmann ne andava della presunta e complessa commistione (derivata certo, ma pur sempre problematica

e pesante) tra pensiero nietzschiano e nazismo. Se dunque per Heidegger affron- tare la questione Nietzsche equivale a un altro modo per mostrare l’originarietà della filosofia rispetto al sapere generalmente scientifico, per Kaufmann la que- stione è quasi per intero riconducibile alla possibilità di giustificare le scelte teo- riche di un autore talmente discutibile da un punto di vista morale, da non poter essere nemmeno discusso, e politicamente quasi del tutto compromesso.

Quindi, siamo sì nel caso di un filosofo tedesco che legge e interpreta un auto- re tedesco, ma con in più l’aggiunta della variabile (decisiva) dell’ambiente cultu- rale per cui il Nietzsche di Kaufmann viene pensato e scritto; un ambiente che piut- tosto evidentemente presentava problemi ed urgenze differenti rispetto a quello tedesco (ma anche più complessivamente continentale) del secondo dopoguerra.

Entrambi gli interpreti comunque (e si tratta probabilmente della convergen- za essenziale) avevano un obiettivo comune: rendere possibile l’introduzione di Nietzsche nel panorama della storia della filosofia ufficiale; il che significava soprattutto lavorare in vista di una legittimazione teorica che doveva essere pen- sata per reggere su diversi piani. Gli elementi che mi sembrano nodali nel caso di Kaufmann sono dunque soprattutto due: a) la volontà di operare storiografi- camente per fare chiarezza riguardo al presunto protonazismo di Nietzsche, e b) la (ri)costruzione di un punto di vista capace di liberare Nietzsche dalle accuse di immoralismo radicale. Incominciamo dal primo punto.

Il lavoro per così dire di recupero della «reputazione politica» di Nietzsche viene svolto da Kaufmann con una attenzione talmente puntuale che, spesso, rischia di essere eccessiva; innanzitutto è assolutamente significativa la tratta- zione del materiale postumo: Kaufmann, rompendo radicalmente con l’impo- stazione di Bäumler47e, in merito al problema specifico, anche di Heidegger,

considera fondamentale la distinzione tra opere pubblicate e materiale postu- mo, suddividendo ulteriormente quest’ultimo in tre grandi gruppi:

in primo luogo, vi sono le opere che Nietzsche completò ma non pubblicò, perché il suo crollo avvenne quando stava trattando con i suoi editori. Di questo gruppo fanno parte l’Anticristo, Ecce Homo e Nietzsche contra Wagner […] In secondo luogo, vi sono gli appunti che Nietzsche impiegò per le sue lezioni all’Università di Basilea: essi rappresentano un’importante fonte di informazioni per il rapporto tra Nietzsche e la Grecia antica; essi sono appunti “compiuti” e possono essere letti con continuità […].

Infine vi è la massa di frammenti e di note che includono saggi non compiuti, […] brevi

schizzi da blocchi di appunti […]. Questa terza parte dell’opus postumum può essere ancora divisa in due classi: il materiale che non rientrò mai in opere pubblicate e gli appunti usati e sviluppati nei suoi libri successivi. Quest’ultima parte non rivela le posi- zioni finali, ma piuttosto il modo in cui egli arrivò a quelle posizioni che troviamo nei suoi libri finiti […] Tutto il materiale del terzo gruppo deve essere nettamente distinto dai libri completati da Nietzsche, ed un attento esame degli appunti dei quali egli si servì nella composizione delle sue opere successive fornisce evidenze all’asserzione che essi furono usati o avrebbero dovuto essere usati in un contesto nel quale avrebbe- ro avuto un significato del tutto diverso da quello che sembrano avere isolatamente.48

Dunque una prima importante esclusione: Kaufmann è dell’idea che i fram- menti postumi non dicano a prima vista quel che sembrerebbero dire; il che signi- fica che non è possibile intenderli al di fuori dell’intero impianto speculativo nietzschiano. In sintesi, un’ermeneutica seria – come quella che Kaufmann inten- de portare avanti – dovrebbe fondarsi interamente sui testi editi49. Di qui, ovvia-

mente la critica kaufmanniana al lavoro editoriale di Elisabeth Nietzsche, accusa- ta di quasi tutte le più importanti mistificazioni occorse all’opera nietzschiana.

Quasi tutta colpa di Elisabeth, dunque. Ma in che senso? Almeno, e prima di tutto, per aver dato corpo a quella che Kaufmann definisce la «leggenda su Nietzsche». E la leggenda, lo si intuirà facilmente, ha intessuto una relazione di per sé strettissima con le traversie post-belliche occorse, soprattutto in America, all’immagine filosofica e politica di Nietzsche. Le responsabilità che Kaufmann attribuisce a Elisabeth sono pesantissime: prima di tutto (e soprattutto) l’elabora- zione di quel racconto che avrebbe consentito, nel tempo, la formazione di un’im- magine assolutamente falsata del filosofo tedesco, associandolo al nazifascismo, all’antisemitismo, e, in genere, ai disastri politici e morali della Germania degli anni quaranta. Il filo (logico) seguito da Kaufmann è pressappoco questo: Elisabeth si sarebbe resa conto gradatamente del fatto che la popolarità del fratel- lo era in continua crescita e perciò (anche in ragione del fallimento delle sue atti- vità in America Latina) avrebbe preso ad occuparsi con sempre maggiore atten- zione dei lasciti di Nietzsche; lasciti che, com’è noto, gestirà tra vicende alterne per più di quarant’anni (la gestione dei lasciti incomincia ai primi di settembre del 1889, allorché Elisabeth il 19 settembre estromette Gast dalla direzione dell’Archivio, per proseguire fino alla sua morte che avverrà nel 1935). In più, secondo ciò che nota Kaufmann basandosi sulle annotazioni di Rudolf Stirner, che aveva dato per qualche tempo lezione a Elisabeth sul pensiero del fratello, la donna non avrebbe avuto una grande propensione per la riflessione filosofica.

Motivi di interesse, dunque, accompagnati da una sostanziale incompeten- za filosofica avrebbero causato le misinterpretazioni più gravi a carico di Nietzsche; prima fra tutte – è sempre l’opinione di Kaufmann – la pubblicazio- ne de La volontà di potenza: «pubblicò un’edizione dopo l’altra delle opere di Nietzsche risistemando continuamente il materiale ed includendo qualcosa di nuovo. L’ultima opera di Nietzsche, Ecce homo fu trattenuta per anni […] Il lungo ritardo nella pubblicazione di Ecce homo fu fatale perché il libro contie- ne l’esplicito ripudio di molte idee che erano state nel frattempo attribuite a Nietzsche e che fino a oggi sono state associate a lui. Forse ancora più fatale fu la decisione di sua sorella di mettere insieme alcune delle migliaia di abboz- zi, appunti e note che Nietzsche aveva accumulato attraverso molti anni […] e di pubblicare questa contraffazione sotto il titolo La volontà di potenza»50.

Dunque, Elisabeth avrebbe almeno due colpe fondamentali: 1) aver gestito i lasciti in maniera dispotica e incompetente – e, ovviamente, interessata; 2) aver dato via libera alla pubblicazione de La volontà di potenza, che, come si

è visto, Kaufmann non esita a definire una contraffazione. Davvero, dunque, sembra che le colpe siano in massima parte di Elisabeth, che avrebbe operato piuttosto diabolicamente dietro le quinte del pensiero nietzschiano per costruir- si una immagine di Nietzsche a suo uso e consumo.

A quest’altezza proviamo a riflettere su due considerazioni: in primo luogo si può ipotizzare che le cose non stiano proprio nei termini in cui le ha descritte Kaufmann. Se però riusciamo a provare che la prospettiva kaufmanniana è teo- ricamente condizionata, sarà ancora necessario interrogarsi sulle ragioni che stanno dietro alla costruzione di una storia così profondamente deformata. Oggi, per lo più, si tende a ridimensionare la portata di Elisabeth nell’intera vicenda. Anzitutto va precisato come il quadro, in buona sostanza, è molto più complica- to di come ce lo descrive Kaufmann; e di certo non è risolvibile riversando tutte le difficoltà e i problemi, che pure ci sono, sulle spalle di Elisabeth. Piuttosto, questa strategia teorica, che non fu, è bene ricordarlo, del solo Kaufmann, ha pro- babilmente agevolato quegli interpreti che intendevano operare per accrescere la

leggibilità di Nietzsche, dunque, per eliminare le parti più scomode del suo pen-

siero. In questo senso, Elisabeth finì per essere il capro espiatorio fin troppo ovvio, dal momento che lo strascico polemico all’interno dell’Archivio per la gestione dei lasciti (polemiche velenose, e universalmente note, tra Elisabeth e Gast e comunque tutte interne all’Archivio) poté facilmente portare ad accusare Elisabeth di falsi ideologici – come non manca di fare Kaufmann – salvo poi ribadire pressoché universalmente l’inadeguatezza filosofica della donna. Allora però è quantomeno problematico pensare che una persona filosoficamente poco preparata e con una struttura mentale per molti versi non all’altezza, sia riuscita a orchestrare quella che si presenterebbe come una delle più consistenti manipo- lazioni storiografico-teoriche del pensiero filosofico moderno.