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Friedrich Nietzsche: un problema d’ermeneutica

N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION

1.1. Friedrich Nietzsche: un problema d’ermeneutica

Nelle sue auto-esaltazioni spesso un po’ eccessive più volte Nietzsche ha descritto il proprio percorso filosofico nei termini di un particolare destino1. E

in effetti, a posteriori, possiamo forse affermare che questa sua convinzione almeno in parte ha colto nel segno, sbagliando semmai per difetto, nel senso che il destino filosofico di Nietzsche è stato quello di avere avuto molti desti- ni; di volta in volta assimilabili, quasi completamente, alle vicende teoriche (ma anche storiche) dei suoi interpreti. Che si sia trattato di un presentimento, o che invece questo stato di cose non sia altro che la naturale conseguenza sca- turita da alcuni presupposti, tra l’altro fondamentali, della riflessione nietz- schiana (ad esempio lo stile), è comunque un fatto che le ragioni del pensiero di Nietzsche si sono perse per lungo tempo nelle ragioni dei suoi interpreti.

Un po’ di storia delle interpretazioni dovrebbe bastare a chiarire questo punto. Probabilmente pochi altri autori hanno avuto il proprio personale desti- no filosofico a tal punto segnato dall’intervento dei loro interpreti, da diventa- re, di volta in volta, il simbolo di un momento storico, piuttosto che il segno della conclusione di un’epoca (quella della metafisica), o il simbolo del falli- mento di un’intera metodologia filosofica (la continentale). E se è vero che l’interpretazione per sua stessa natura apre alla pluralità e alla stratificazione dei significati, è altrettanto indubitabile «il fatto che sempre una e identica è l’opera la cui ricchezza di significati si dispiega nelle vicende mutevoli delle interpretazioni, come sempre una e identica è la storia che, attraverso i suoi svi- luppi, si viene di continuo ulteriormente determinando e definendo»2.

Il che vuol dire, anzitutto, che se la varietà delle interpretazioni è positiva e anzi auspicabile, la realtà filologica e teorica dei testi non può mai essere for-

zata oltre un certo limite; in breve, i testi dicono delle cose, e queste cose vanno tenute in conto. Sarà perciò interessante, dal mio punto di vista, cercare di capi- re il modo in cui la critica filosofica ha affrontato i testi nietzschiani; il che significa anche – almeno per quelle che sono le mie intenzioni teoriche – capi- re grossomodo che fine abbiano fatto le cose di cui si occupa Nietzsche.

A questo proposito dovrebbe tornarci utile un breve exursus attraverso quella storia che articola la storia delle interpretazioni dei testi nietzschiani. Va subito sottolineato un primo punto: non esiste una storia (o una tradizione) univoca, o anche solo prevalente all’interno delle esegesi nietzschiane; esistono piuttosto molteplici storie, che a tratti si intersecano, ma che più spesso fino ad ora si sono contrapposte, rispecchiando – crediamo niente affatto per caso – le vicende di lar- ghi tratti della tradizione filosofica occidentale, soprattutto quella contemporanea. Ora, nell’esaminare rapidamente la critica che si è occupata di Nietzsche, adotteremo un criterio insieme storico e teorico; nel senso che cercherò di evi- denziare una serie di atteggiamenti interpretativi tipici delle più importanti ese- gesi nietzschiane. Tenterò perciò di individuare alcune tendenze interpretative che hanno evidentemente condizionato il senso e la direzione complessiva delle interpretazioni del pensiero di Nietzsche. Per questo, nella mia breve storia delle interpretazioni, mi soffermerò su tre nomi, presi come altrettanti esempi di tre diversi atteggiamenti tipici: Martin Heidegger, Walter Kaufmann e Arthur Danto. Tre autori che, pur nelle rispettive, rilevanti, difformità di orientamento, sono accomunati da un atteggiamento di violenza nei confronti del pensiero di Nietzsche; nel senso che, in tutti e tre i casi, Nietzsche è diventato il grimaldel- lo teorico per arrivare a dimostrare un qualcosa (differente ogni volta), che ben poco ha a che fare con particolari problemi d’esegesi nietzschiana.

Prima di entrare nello specifico di queste tre interpretazioni (per poi soffer- marmi più estesamente su di un quarto lavoro, che invece mi sembra prendere in maggiore considerazione lo svolgimento complessivo del pensiero di Nietzsche), è bene dare le ragioni di questa scelta, operata nella consapevolez- za delle esclusioni pure importanti (per esempio, Deleuze piuttosto che Löwith, Jaspers o Derrida) che la guidano e, nello stesso tempo, la condizionano.

La ricostruzione complessiva delle ermeneutiche dedicate a Nietzsche si presen- ta come un lavoro lungo e articolato, dal momento che dovrebbe farsi carico alme- no di una duplice serie di fattori: da un lato (e ad un primo livello) della necessità tutta storica di districare le ragioni immanenti ai testi nietzschiani da quelle proprie del momento storico d’appartenenza dei vari interpreti, dall’altro (e siamo al livel- lo immediatamente successivo) dovrebbe tentare di intendere e spiegare le partico- larità delle diverse ermeneutiche regionali – di qui la necessità di ricostruire, come per altro è stato fatto da più parti e a più riprese, lo specifico delle interpretazioni nietzschiane a partire dagli ambienti culturali in cui tali discorsi sono sorti3.

Per questo, un’analisi così fortemente tagliata su tre specifici modelli erme- neutici presi come campioni, non può che essere, specie dal punto di vista del-

l’esaustività, riduttiva. Tuttavia, credo che il mio discorso possa giovarsi più che dell’analisi delle molteplici «micro ermeneutiche» nietzschiane, della con- siderazione di due ambiti interpretativi differenti, e per molti versi contrappo- sti: la ricezione continentale e quella angloamericana. Dunque, procederò rag- gruppando il vasto plesso delle interpretazioni (e degli interpreti) nietzschiani in due regioni (quella d’oltre oceano appunto, e la continentale), e cercherò di capire, almeno a grandi linee, il senso e lo sviluppo dei rispettivi discorsi su Nietzsche. Per far questo mi servirò di tre lavori di lettura dei testi nietzschia- ni (di Heidegger, Kaufmann e Danto) che per motivi diversi – e che andrò comunque a definire meglio in seguito – ho considerato centrali.

La legittimità di una tale scelta teorica ha ragioni che si possono ricondur- re, almeno in prima battuta, al differente sviluppo storico-teorico dell’esperien- za continentale rispetto a quella americana; il che andrà considerato alla luce dell’altro dato di fatto fondamentale che è emerso sin qui, e cioè, la circostan- za per cui nel caso del filosofo tedesco, probabilmente in misura maggiore che per qualsiasi altro autore della tradizione filosofica occidentale, il lavoro inter- pretativo ha finito per segnare profondamente la natura del testo interpretato, con la (pesante) conseguenza che la filosofia di Nietzsche ha coinciso in misu- ra sempre più rilevante con quella dei suoi interpreti.

Il risultato più evidente di questo fatto è nell’assunto secondo cui esisterebbe un chiaro parallelismo tra le diverse interpretazioni (o linee interpretative) di Nietzsche e lo sviluppo complessivo dei percorsi filosofici del pensiero occidenta- le. In questo senso, come vedremo, i discorsi su Nietzsche hanno anche sempre rimandato ad un qualcosa d’altro rispetto alla lettera dei testi nietzschiani. Per entrambe le prospettive (quella continentale e l’anglo-americana), il filosofo tede- sco ha rappresentato un punto di svolta filosofica profonda, con l’inevitabile con- seguenza che nella discussione su Nietzsche non ne è andato quasi mai solo della sua filosofia. Riflettiamo per un momento sulla situazione storica di fondo nel caso dei due lavori interpretativi che cronologicamente (oltre che da un punto di vista strettamente teorico) possiamo considerare all’origine delle ermeneutiche nietz- schiane: il Nietzsche di Martin Heidegger e quello di Walter Kaufmann4. Queste due letture, pur con diversità rilevanti, hanno un elemento che le accomuna abba- stanza esplicitamente: entrambe riconoscono attraverso un apparato argomentati- vo complesso e d’assoluto valore (soprattutto nel caso di Heidegger) la portata spe- cificatamente filosofica del pensiero di Nietzsche, elemento che, nell’ambito delle ricezioni precedenti, non era poi tanto ovvio. E non era ovvio per tutta quella (ben nota) serie di ragioni riconducibili alla forma specifica del pensiero nietzschiano – una struttura argomentativa che richiama lo stile dei moralisti e di certi poeti-filo- sofi – oltre che alla particolare situazione storico-politica che, a più riprese, è stata letta come la derivazione quasi necessaria e diretta del nietzschianesimo.

Secondo il quadro interpretativo che vado costruendo, possiamo considerare Heidegger, in ambiente continentale, e Kaufmann, nella realtà anglo-americana,

come gli iniziatori di linee interpretative autorevoli (anzi, le più autorevoli del- l’epoca) e destinate a fare scuola5. Inoltre va puntualizzato che la formazione

culturale di Kaufmann – come del resto si può facilmente intuire dal cognome – era europea, e, più nello specifico, tedesca. Il che fa emergere un altro elemen- to importante: le discussioni teoriche che hanno posto le basi per tutte (o quasi tutte) le successive letture di Nietzsche (e questo in due degli ambienti filosofi- ci che con il tempo saranno per eccellenza contrapposti) discendono da lavori di chiara matrice continentale, e anzi, più nel dettaglio, tedesca; mentre, la speci- ficità della cultura filosofica americana – negli anni di Kaufmann ancora larga- mente in formazione – sarà rilevante, per la formazione di un’ermeneutica nietz- schiana6regionale, solamente intorno alla seconda metà degli anni sessanta del

secolo scorso, appunto a partire dal lavoro di Arthur Danto7.

All’origine dunque c’è l’ermeneutica tedesca. Ciò che va tenuto presente è l’implicazione principale di questa annotazione, e cioè il fatto che ogni ermeneu- tica – ivi comprese dunque le ermeneutiche applicate a Nietzsche – risente delle specifiche contingenze storiche e teoriche dominanti, fino a tematizzare, più o meno diffusamente, una quantità di problemi del tutto ripercorribile a posteriori.

La cosa credo sia vera più che mai nel caso di Nietzsche, tanto che possiamo agevolmente individuare i due nodi teorici che sostengono le letture di Heidegger e di Kaufmann, e che, del tutto coerentemente, sono riconducibili alle questioni filosofiche di fondo del secondo dopoguerra: 1) innanzitutto la formazione della dicotomia – istituzionalizzata dopo Dilthey – tra scienze della natura e scienze dello spirito, con il conseguente tentativo di arrivare alla sistematizzazione di un sapere Geisteswissenschaften formalmente legittimo e metodologicamente auto- nomo rispetto a quello scientifico, inoltre 2) l’esigenza di fare i conti con (l’allo- ra) recente passato storico, di cui, per i motivi che è facile immaginare e che comunque andremo a vedere, Nietzsche aveva finito per essere il simbolo più diretto e concreto. Le maggiori (in senso teorico) interpretazioni del pensiero nietzschiano, tra gli anni cinquanta e sessanta, si giocano perciò prevalentemen- te su questi due fronti, che rappresentano poi altrettante sfide aperte: dimostrare, da un lato, come una certa metafisica possa essere, anzi, abbia il dovere di esse- re, un sapere originario rispetto alla scienza – per cui non esiste scienza regiona- le (matematica, fisica e quant’altro) senza una metafisica (intesa come filosofia prima) che la fondi e la renda possibile; e, d’altro canto (e all’inverso), come non possa esserci metafisica senza una complessiva comprensione e riorganizzazio- ne storica della stessa storia della metafisica. Ma vediamo il caso di Heidegger.