N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION
4. M H EIDEGGER , 1961; W K AUFMANN , 1950.
2.1. Due anime, due stil
2.1.3. Per un’estetica speciale: ovvero dell’arte tragica
Ciò che vorrei puntualizzare ha a che fare con l’idea che all’estetica nietz- schiana pertenga una sfera problematica in genere più vasta di quella che sono
soliti associarle le letture tradizionali; questione questa che ha a che fare oltre che con Nietzsche, con la (per molti versi) singolare storia dell’estetica.
In qualche modo mi pare che sia necessario, per comprendere i termini della relazione tra Nietzsche e l’estetica, mantenere aperto un doppio canale di indagine, che tenga cioè conto sia degli specifici contributi nietzschiani in tema di estetica sia, d’altro canto, di come l’estetica intenda nei fatti la pro- pria identità disciplinare. L’accostamento di queste due questioni dovrebbe in qualche modo portare alla luce spunti interessanti per la comprensione del complesso del pensiero nietzschiano da un lato, e, dall’altro, per una lettura più articolata dell’estetica stessa.
Comincerò sottolineando un elemento: generalmente i critici hanno formu- lato le loro ipotesi sull’estetica nietzschiana a partire da una coppia di concetti la cui centralità, nell’economia complessiva della riflessione del giovane Nietzsche, è sempre stata data per assodata, ovvero, il binomio apollineo-dio- nisiaco che, a sua volta, trova il proprio completo sviluppo nell’ambito delle formulazioni sul merito della Tragedia Classica.
Il senso della questione è generalmente noto, per cui lo ripercorreremo abbastanza velocemente: la Tragedia Classica – a parere di Nietzsche – sareb- be morta suicida, allorché un elemento di pensiero esterno alla grande tradizio- ne classica finì per imporsi, diventando prevalente19. Fintanto che, infatti, resse
l’equilibrio dell’alternanza fra Apollo e Dioniso, la Tragedia seppe conservare tutta la sua forza insieme espressiva ed emotiva; allorché però, nella rappresen- tazione tragica, si insinuò l’elemento socratico (che per Nietzsche, in questa fase, equivale grossomodo al razionalismo scientifico) la Tragedia venne inve- stita da una crisi nella sostanza definitiva.
Leggiamo direttamente Nietzsche:
con l’esempio storico trattato abbiamo tentato di chiarire come la tragedia perisca per il dileguarsi dello spirito della musica con la stessa certezza con cui soltanto da questo spirito può derivare la sua nascita. […] Parlerò soltanto della più illustre opposizione alla concezione tragica del mondo, e con ciò intendo riferirmi alla scienza, che nella sua più profonda essenza è ottimistica, con a capo il suo progeni- tore Socrate. […] Al contrario di tutti coloro che si studiano di far discendere le arti da un principio unico, come fonte di vita necessaria di ogni opera d’arte, io tengo lo sguardo fisso alle due divinità artistiche dei Greci, Apollo e Dioniso, e vedo in loro i vivi e intuitivi rappresentanti di due mondi d’arte, divisi nella loro essenza intima e nelle loro finalità supreme. Apollo mi sta dinnanzi come il genio trasfigu- ratore del principium individuationis, grazie a cui soltanto si può conseguire davve- ro la liberazione nell’illusione; per contro al mistico grido di giubilo di Dioniso la catena dell’individuazione viene spezzata20.
I riferimenti mitologici chiamati in causa da Nietzsche sono chiari ed essen- ziali: Apollo e Dioniso incarnano due differenti tendenze artistiche21. Da un
za dell’individuo con la luminosa glorificazione dell’eternità dell’apparenza, qui la bellezza vince la sofferenza che inerisce alla vita, il dolore viene in un certo senso fatto scomparire dai tratti della natura»22), dall’altro lato Dioniso
che, invece, ci apre uno squarcio su quell’imponderabile che segna e travaglia uomo e natura fin nel profondo. Dunque, due opposti che, stando alla formula- zione nietzschiana, avrebbero trovato la loro più profonda conciliazione pro- prio grazie alle particolari dinamiche sceniche e narrative della Tragedia.
Ora è importante osservare, a quest’altezza, come proprio in un testo quale la
Nascita si giocano forse più che altrove questioni di ordine insieme storiografico
e teorico. Per intenderci: Nietzsche è convinto che un elemento estraneo alla grande tradizione di pensiero dei tragici greci sia intervenuto, mutando organica- mente la struttura e le esigenze del teatro tragico nell’Ellade e, conseguentemen- te, provocando una fine improvvisa e violenta del teatro così come era stato descritto ancora da Aristotele. Egli indicò, com’è noto, proprio nel teatro euripi- deo (espressione – lo si è già detto – del razionalismo socratico23) tale elemento
di rottura. Dunque, si tratta di una tesi ben precisa e molto forte, fondata su con- creti antefatti storiografici (oltre che, ovviamente, su di un particolare taglio inter- pretativo) che, come tale, non può non essere soggetta a giudizio ed eventualmen- te a revisione critica. E già questo è uno dei punti su cui gli interpreti spesso si trovano in un articolato disaccordo tra loro, e rispetto alle conclusioni nietzschia- ne. Non è cioè così ovvio che la Tragedia sia «morta suicida», ovvero per mano di Euripide, come ipotizza Nietzsche; e comunque le giustificazioni addotte dal filosofo tedesco a sostegno della propria ipotesi non paiono del tutto decisive24,
visto che, tanto per fare un esempio, Walter Kaufmann, non senza motivate ragio- ni, propone una lettura addirittura antitetica rispetto a quella nietzschiana25.
Sull’aspetto, per così dire, filologico ci sarebbe perciò molto da discutere, e del resto autorevoli studiosi intentarono l’operazione già ai tempi di Nietzsche – basti pensare al sarcastico opuscolo intitolato Filologia dell’avvenire! del Wilamowitz e alle conseguenti repliche in difesa del lavoro nietzschiano di Rohde (Filologia deretana)26. Dal che si deduce come, dal punto di vista del
rigore filologico, la questione è, ancor oggi, tutt’altro che chiusa; e che anzi, a ben guardare, le obiezioni mosse dal Wilamowitz e dagli altri potevano vanta- re, sul versante della scientificità, ben più di qualche buona ragione – e del resto su di una conclusione di questo tipo, in ultima analisi, converrà lo stesso Nietzsche, definendo la Nascita un libro impossibile27.
Queste osservazioni valgono naturalmente dal punto di vista del metodo. Per passare finalmente ai contenuti bisogna notare che la situazione, anche sotto que- sto aspetto, è abbastanza complicata. Vediamo, prima di tutto, di fare il punto rispetto alle categorie concettuali (apollineo / dionisiaco) di cui si serve Nietzsche. L’apollineo e il dionisiaco non sono certo di invenzione nietzschiana, e questa è, nel complesso, una salda acquisizione della critica. Dunque, almeno in sede estetica, non si è trattato di evidenziare la novità teorica dell’approccio di
Nietzsche, dato che tale novità, come si è visto, è quantomeno discutibile; caso- mai, in prima battuta, si tratta di comprendere i contributi specifici dati da Nietzsche a singole questioni esteticamente rilevanti – per esempio, appunto, la lettura nietzschiana della Tragedia Classica28, il confronto con la Poetica di
Aristotele, oppure la sua estetica musicale29e, ancora, il peso dell’estetico rispet-
to all’economia delle più generali considerazioni etico-politiche nietzschiane e così via – mentre, in un secondo momento, si tratterà anche di capire se questo tipo di approccio monoproblematico rappresenta effettivamente la strada miglio- re per valutare i legami, che vedremo essere complessi, tra Nietzsche e l’estetica.
Passiamo, allora, in prima battuta e rapidamente alle questioni di contenuto. Com’è noto, Nietzsche ha lavorato alla Nascita durante i primi due anni della sua permanenza a Basilea, grossomodo dall’aprile del 1869 al gennaio del 1872. Si tratta, per il giovane filologo tedesco, di un periodo intenso in cui l’ami- cizia con Richard Wagner e la moglie Cosima segna profondamente anche l’at- tività culturale di quegli anni, non risparmiando ovviamente nemmeno l’orga- nizzazione concettuale e, per così dire, materiale della Nascita. Si immaginerà facilmente come le conclusioni teoriche della Nascita siano state anticipate dagli studi preparatori del giovane Nietzsche che, secondo quanto abbiamo già accennato fu filologo serio e rigoroso in molti dei suoi lavori.
Nietzsche aveva – e si tratta di un fatto – una conoscenza approfondita e articolata del mondo antico. Cosa che, per esempio, ci è ben testimoniata dal- l’intensa attività didattica, a cui si dedicò con scrupolo sia in ambito liceale30,
sia in ambiente universitario31. Una prima indicazione importante che ci deri-
va dalla lettura di alcuni corsi (per citarne alcuni quello sulle Coefore o anche l’introduzione all’Edipo re di Sofocle), mostra come Nietzsche negli stessi anni in cui progettava e scriveva la Nascita fosse capace di affrontare, con grande competenza, e attraverso gli strumenti tipici dell’analisi filologica (individua- zione delle fonti, emendazione dei testi, analisi metrica ecc.) i testi dei trage- diografi (o anche dei poeti) antichi, riuscendo a calibrare, per lo più efficace- mente, rigore filologico e valutazione estetica32.
Gli scritti che possiamo considerare preparatori della Nascita sono diversi: sicuramente nel corso sui lirici, svolto nel primo semestre del suo arrivo a Basilea, Nietzsche si sofferma a lungo sulla natura e sulla tipologia del ditirambo, il canto dedicato a Dioniso che, come si sa, costituirebbe una delle basi della tragedia. Nelle conferenze tenute tra gennaio e febbraio del 1870 troviamo discussi due dei nuclei tematici essenziali della Nascita: ovvero quello della tragedia come opera d’arte totale, e quello della decadenza della tragedia a motivo di quel socratismo assimilato così bene dal teatro euripideo. Ancora: una delle preoccupazioni cen- trali del Dramma musicale greco è il tema della natura della Tragedia greca che Nietzsche affronta riportandola alle esperienze teatrali più moderne (per esempio il teatro shakespeariano, l’opera lirica, la tragedia francese ecc.); il tutto inquadra- to all’interno dell’idea, tipicamente wagneriana, della Tragedia come opera d’ar-
te totale; comprendente cioè, con eguale legittimità, musica, pittura, recitazione, danza ecc., arti queste, in cui gli antichi tragediografi dovevano essere tutti egual- mente esperti. Il problema della morte della Tragedia è invece affrontato diretta- mente nella conferenza dal titolo Socrate e la tragedia33. Una crisi, quella della
Tragedia Classica, che avrebbe avuto in Eschilo e in Sofocle i responsabili prin- cipali; visto che proprio loro, per primi, si sarebbero impegnati in favore del potenziamento del recitativo a discapito dell’aspetto corale.
Tuttavia la crisi vera e propria – buona su questo punto la lezione che fu già di Aristofane nelle Rane – sarebbe da ascriversi a Euripide che avrebbe intro- dotto un’estetica tipicamente razionalista. In buona sostanza, con Euripide la Tragedia diventa dialettica pura portata sulla scena.
In riferimento a queste osservazioni mi pare però soprattutto importante sot- tolineare quello che è, ancora una volta, un dato: la polemica nietzschiana nei riguardi di Euripide non costituisce una particolare novità teorica, visto che già i Romantici – nella fattispecie i fratelli Schlegel – avevano suggerito un orien- tamento di questo tipo; e una conclusione analoga va tratta rispetto alla scelta nietzschiana di riferirsi all’estetica euripidea per caricarla di una portata larga- mente dissolvente nei confronti della tradizione34.
Come si vede, a quest’altezza, non siamo in presenza di una particolare ori- ginalità né estetica né, tanto meno, teorica35. Casomai, uno spunto di maggiore
interesse va intravisto nella scelta nietzschiana di proporre – secondo quel che avremo subito modo di accennare – un’estetica in buona sostanza non aristote- lica. Come si è già notato in più occasioni, Nietzsche molto spesso tende a rifar- si a modelli teorici pienamente contemporanei; e, almeno da questo punto di vista, le osservazioni di carattere estetico non fanno certamente eccezione.
Per intenderci, i riferimenti per la verità nemmeno troppo impliciti della
Nascita sono, com’è noto, l’estetica del Mondo come volontà e rappresentazio- ne di Schopenhauer (soprattutto il III libro) e i corrispondenti capitoli dei Supplementi, oltre che, ovviamente, la produzione teorica e musicale di
Richard Wagner36. Nel dettaglio, è soprattutto il binomio apollineo-dionisiaco
ad esprimere il risultato della sintesi tra l’estetica schopenhaueriana e le posi- zioni wagneriane37: infatti, la struttura stessa della relazione tra l’elemento pla-
stico-figurativo e l’elemento musicale, così come si annuncia nella coppia apollineo-dionisiaco, reca l’impronta del Beethoven wagneriano.
Con riferimento alla duplice direzionalità in cui si articola l’attività conosciti- va dall’angolo della visuale schopenhaueriana (conoscenza interna, rivolta alla volontà, e conoscenza esterna, rivolta al fenomeno e produttrice di rappresenta- zioni) Wagner individua due differenti modalità di espressione artistica. Nella prima, caratteristica delle arti plastiche, la volontà individuale si perde nella con- templazione, rimanendo, per così dire, ad un livello di superficie; mentre, nella seconda, l’attività artistica si definisce attraverso un radicale abbandono del mondo fenomenico (nonché del principium individuationis), fino ad arrivare ad
una concreta dissoluzione della volontà individuale nella volontà unica, perno e principio, quest’ultima, del mondo. E ancora: sempre al binomio Schopenhauer- Wagner va riportata quella centralità che Nietzsche attribuisce alla visione, inter- pretata come stimolo essenziale allo sviluppo del tragico. A questo proposito la
Nascita e i Frammenti postumi riportano due importanti fonti antiche: il raccon-
to del messaggero nel quinto episodio delle Baccanti di Euripide e il quinto libro del poema di Lucrezio, in cui le immagini degli dei sono intese come visioni del sogno che salvano gli uomini dal terrore; ma richiamano nel contempo anche l’immagine apollinea al «sogno mattutino» di Schopenhauer.
Va ancora precisato un punto: la teoria schopenhaueriana del sogno (contenu- ta nel capitolo dei Parerga dedicato al sonno, al sonnambulismo e alla visione degli spiriti) era appunto quella a cui si riferiva Wagner per motivare – attraverso una mossa teorica tutt’altro che ovvia – le relazioni tra poesia drammatica e musi- ca, giustificando le sue asserzioni sulla base dell’intima partecipazione di entram- be ad una realtà plastico-figurativa. In buona sostanza, Wagner pensa a un qual- cosa di molto simile a un processo di proiezione onirica delle immagini; per que- sto assimila l’immagine creata dal poeta, e comunicata da questi allo spettatore, al «sogno mattutino», mentre le immagini generate attraverso la musica corrispon- derebbero al «sogno vero» di Schopenhauer, una sorta di sonno profondo in cui il legame tra mondo e coscienza viene completamente reciso e sostituito – proprio in forza di questa rottura – dalla concreta presenza della Volontà. Ora, secondo il celebre dettato di Schopenhauer, proprio la verità di questo sogno sarebbe del tutto insopportabile agli uomini; di qui la necessità del sogno mattutino capace di tem- perare le asprezze della Volontà ancorando l’individuo (nel caso specifico il dor- miente) alla realtà dei fenomeni. In questo modo – e si tratta di un elemento asso- lutamente essenziale – Wagner poteva assegnare tanto alla musica quanto alla poesia drammatica una funzione figurativa, fino a scrivere che nella Tragedia Attica il dramma poteva proiettarsi sulla scena proprio in forza del canto corale38.
E qui, con tutta evidenza, ritroviamo anche Nietzsche. La Nascita indica appunto, nella funzione del coro dionisiaco, l’origine del dramma musicale greco. In concreto, Nietzsche non fa altro che assimilare il coro alla melodia orchestrale wagneriana; con un’operazione che già in Wagner aveva comporta- to la formazione di uno spazio scenico per molti versi particolare, in cui l’azio- ne drammatica assorbe qualsiasi riferimento alla realtà extra-teatrale. In questa articolata costruzione, che ha appunto in Schopenhauer e Wagner i propri rife- rimenti forti, va letta la riflessione nietzschiana su Schiller che troviamo nel cap. 7 della Nascita, ove Nietzsche si sofferma a discutere distesamente della prefazione alla Sposa di Messina, il testo in cui Schiller aveva tentato un’ana- lisi piuttosto articolata della funzione del coro. Nietzsche fa sua la lettura schil- leriana del coro come «muro vivente» che la Tragedia traccerebbe attorno a sé per isolarsi fattivamente dal mondo reale, al fine di serbare intatto sia il suo ter- reno ideale39, sia la sua libertà poetica. Con il coro si identifica perciò lo spet-
tatore che, sollecitato dalla musica, finirebbe per identificarsi con un coro di satiri, percependo in questo modo l’analogia profonda tra le sofferenze dell’eroe tragico sulla scena e quelle subite da Dioniso. Un’esperienza dunque, quella della Tragedia, dal forte carattere dionisiaco40. Per dirla in breve: la Tragedia
avrebbe provocato, ovviamente attraverso gli strumenti artistici che le sono propri, effetti molto simili a quelli tipici dei rituali orgiastici.
Come si può facilmente constatare anche da questi rapidi cenni, siamo real- mente molto distanti dal modello aristotelico della Poetica che, nel tardo Ottocento, era stato senza dubbio il riferimento interpretativo principale, accolto attraverso le importanti mediazioni di Gottsched e di Lessing. La rinuncia ad Aristotele41è dunque chiara e programmaticamente esibita, tanto nei riferimenti
estetici tipicamente moderni (Schopenhauer e Wagner), quanto nella trattazione dei singoli momenti della struttura della Tragedia – per esempio, appunto, la fun- zione del coro, ma a ben guardare Nietzsche disarticola tutte le categorie essenzia- li dell’estetica aristotelica (com’è noto: peripšqeia, ¢nagnèrisij, p£qoj, eleÒj ka… fÒboj) per sostituirle con alcune altre che in Aristotele avevano ricoperto una funzione largamente marginale (basti pensare alla musica)42. E, inoltre, va notato
che Nietzsche non tornerà più sulla sua critica alle posizioni aristoteliche in tema di estetica, se ancora in un frammento della primavera del 1888 leggiamo:
Cos’è tragico? Io ho ripetutamente messo il dito sul grande malinteso di Aristotele, che credette di riconoscere in due affetti deprimenti, nel terrore e nella compassio- ne, gli affetti tragici. Se avesse ragione, la tragedia sarebbe un’arte pericolosa per la vita; si dovrebbero mettere gli uomini in guardia da lei come da un pericolo pubbli- co e da uno scandalo. L’arte, che per lo più è il grande stimolante della vita, ebbrez- za di vita, volontà di vivere, qui, al servizio di un movimento discendente, divente- rebbe simile a una serva del pessimismo, nociva alla salute (perché è semplicemen- te falso che eccitando questi affetti ci si “purga”, come sembra credere Aristotele). Una cosa che abitualmente provoca terrore o pietà disorganizza, indebolisce, sco- raggia: e posto che abbia ragione Schopenhauer quando sostiene che dalla tragedia si deve ricavare la rassegnazione, cioè una dolce rinuncia alla felicità, alla speran- za, alla volontà di vivere, si concepirebbe così un’arte in cui l’arte nega se stessa. In tal caso, la tragedia significherebbe un processo di dissoluzione: l’istinto della vita che distrugge se stesso nell’istinto dell’arte. Cristianesimo, nichilismo, arte tra- gica, décadence fisiologica: tutte queste cose si terrebbero per mano reciprocamen- te in avanti… O in basso. La tragedia sarebbe un sentimento del declino. Si può confutare questa teoria col massimo sangue freddo, cioè misurando col dinamome- tro l’effetto di una emozione tragica. Si giunge a un risultato che solo la bugiarde- ria di un sistematico può disconoscere: al risultato che la tragedia è un tonicum43.
Conclusioni analoghe valgono anche per la catarsi che, come tutti sanno, forma il secondo nucleo fondamentale dell’estetica aristotelica. In uno dei passi più discussi della Poetica, Aristotele accenna a quelle sensazioni di pietà e paura che verrebbero provocate appunto dalla rappresentazione tragica e avrebbero nella catarsi il luogo della loro naturale purificazione44. Ora, come si è detto,
Lessing (Drammaturgia d’Amburgo) forma il tramite essenziale tra Aristotele e il mondo ottocentesco, ed è appunto Lessing45a ricondurre la catarsi a un pro-
cesso di purificazione (Reinigung) morale, che trasformerebbe le passioni in precise disposizioni etiche, moralmente oltre che socialmente accettabili.
Anche su questo punto, la posizione nietzschiana è critica e articolata. Più nel dettaglio: Nietzsche considera parziale l’idea secondo cui la Tragedia sarebbe, nella sostanza, un fenomeno esclusivamente catartico, in cui vengono disperse (previa trasformazione) le energie distruttive degli esseri umani. In una parola, l’estetico non sarebbe per nulla assimilabile, né completamente sovrapponibile alla sfera etica, o a qualsivoglia altro ambito particolare: «in che cosa risiede allora il piacere estetico, con cui noi facciamo passar davanti quelle immagini? Parlo del piacere estetico e so benissimo che molte di queste immagini possono talvolta produrre inoltre un diletto morale, per esempio nella forma della compassione o di un trionfo morale. Ma chi volesse derivare l’ef- fetto del tragico solo da queste fonti morali, come in realtà fin troppo a lungo