• Non ci sono risultati.

Piccola storia della scienza

I POTESI PER UN SISTEMA

3.1. Piccola storia della scienza

Quel che siamo venuti fin qui assumendo è che Nietzsche avrebbe fondato la propria ontologia sui risultati di precise annotazioni epistemologiche; per la pre- cisione sullo sviluppo in senso finzionista del neokantismo mutuato da Lange. Ciò che a questo punto vorrei dimostrare è che Nietzsche lavora alla costruzione di una ontologia ben precisa (da cui solamente in seconda battuta deriveranno le annotazioni di critica della cultura o di metacritica), e che questa ontologia è in larga parte consequenziale alla teoria della conoscenza che ho appena ricostruito. Prendiamo l’avvio da una osservazione di Janz: «dunque Nietzsche aveva mostrato un notevole fiuto quando nel 1868 si era deciso – insieme all’amico Rohde – a studiare anche le scienze. È forse la tragedia della sua vita il fatto che l’allettamento della cattedra di filologia gli impedisse di mettere in atto questo proposito e che anche più tardi, ogni volta che tornò ad accarezzare l’i- dea non trovasse mai il tempo né la forza per questi studi, rimanendo così nelle sue vedute scientifiche sempre impigliato in un deplorevole dilettantismo»1.

L’opinione di Janz (che si basa su dati di fatto, e che per questo si sottrae alla manipolazione di qualsiasi interpretazione) è preziosa almeno per due motivi: in primo luogo perché ci suggerisce che Nietzsche ad un certo punto della sua formazione incomincia anche ad occuparsi di questioni largamente scientifi- che, poi perché, almeno indicativamente, ci dice anche quando il filosofo tede- sco avrebbe preso ad occuparsi delle scienze naturali (già dal 1868). Secondo le premesse che ho fin qui tracciato l’interesse di Nietzsche per le scienze deri- va in buona misura dalle sollecitazioni ricevute dalla lettura della Geschichte.

Dunque: nel 1868 Nietzsche legge per la prima volta Lange e vi trova, oltre a un neokantismo rivolto ad approfondimenti in senso fisiologico, una gran quan-

tità di informazioni su questioni centrali per il dibattito teorico-scientifico del suo tempo. Lange segnala perciò a Nietzsche una necessità: elaborare una teoria della conoscenza che tenga in debita considerazione l’unica verità di cui disponiamo, e cioè la condizionatezza fisiologica della realtà in cui ci troviamo a vivere.

Si è detto che il punto di partenza dell’idea langeana di filosofia è tipica- mente convergente con la posizione di Schopenhauer; in pratica, Lange pensa in termini molto simili il problema di cosa sia (o dovrebbe essere) una seria riflessione filosofica2. Tipicamente, nell’idea di Lange, la filosofia ha a che

fare con la scienza nella misura in cui è la scienza che meglio di ogni altro sapere ha la possibilità di ricostruire il mondo fisico; il che è come dire: si deve partire dalla realtà fisica, che è comunque l’unica di cui possiamo disporre (anche se in una forma non assoluta) per costruire il mondo nel quale, aiutati dall’esperienza, già da sempre in qualche modo ci muoviamo. In tale mondo – Nietzsche lo sa bene – le scienze hanno acquisito un peso di grande rilievo. Per capire meglio, gioverà allora tentare di ricostruire, almeno sommariamente, le fila delle stratificazioni del dibattito scientifico al tempo di Nietzsche.

È subito il caso di sottolineare una prima annotazione: normalmente la filoso- fia di Nietzsche viene associata a correnti di pensiero e ad autori che hanno dav- vero poco a che fare con la scienza. Per lo più si considera il filosofo tedesco uno dei padri del pensiero post-moderno, autore, assieme a Marx e Freud, di parte della critica ai capisaldi delle strutture della modernità – in quest’ottica Nietzsche rivolgerebbe lo specifico del suo lavoro filosofico soprattutto alla discussione dell’evidenza della coscienza e all’unità metafisica del soggetto3.

Nietzsche è descritto in buona compagnia assieme a Marx e Freud e, alme- no nell’ambito di una filosofia della destrutturazione (in cui ovviamente è cen- trale la critica ai capisaldi della filosofia classica), il suo ruolo diventa assolu- tamente fondamentale. In questi termini, il filosofo tedesco è soprattutto il filo- sofo dell’avvenire, di una filosofia che anticipa le critiche novecentesche alla trasparenza della coscienza e all’unità del soggetto; che è poi il medesimo qua- dro interpretativo descritto e voluto da Nietzsche nell’abile azione propagandi- sta che ha sempre fatto di sé anche all’interno della propria opera. In pratica, i critici hanno appoggiato l’immagine che Nietzsche stesso voleva avessimo di lui, cosa che non necessariamente corrisponde ai fatti.

Da quel che ho fin qui anticipato è facile derivare come questa posizione mi paia solo parzialmente corretta, proprio perché, in linea generale, il significato più profondo del nietzschianesimo non può essere esclusivamente quello di avan- guardia del novecento. Una cosa soprattutto mi sembra vada notata: molte inter- pretazioni hanno avallato, specie intorno agli anni settanta-ottanta del secolo scorso, il binomio Nietzsche/ermeneutica, trascurando del tutto il fatto che importanti teorici dell’ermeneutica (Gadamer su tutti), hanno sostanzialmente marginalizzato la portata della riflessione nietzschiana per la costruzione di un orizzonte ermeneutico. Approcci di questo tipo fanno di Nietzsche un autore

ermeneutico ante litteram, soprattutto nel senso di aver portato l’ermeneutica a coincidere con una vera e propria categoria logica (l’interpretazione viene lette- ralmente sostituita alla verità, in un processo in cui il soggettivo si trasforma nella dimensione dominante, per altro l’unica legittima). Certo, se la categoria dell’in- terpretativo (quella che più comunemente va sotto il nome di prospettivismo), riveste per Nietzsche un’importanza innegabile, l’atteggiamento critico di chi fa della riflessione nietzschiana uno dei momenti fondanti dell’ermeneutica del Novecento, mi sembra più che altro motivato dall’eccessiva disinvoltura di parte di alcuni interpreti, che spesso si limitano a vedere in Nietzsche un decostruttore della filosofia e della logica tradizionali. Sicché Nietzsche sarebbe il filosofo che sostituisce la realtà con l’interpretazione, e che per di più ritiene (innescando per altro un vorticoso rincorrersi di paradossi logici) che la sua interpretazione non solo è migliore delle altre, ma addirittura la migliore in assoluto (non si capisce poi bene come si possano trarre conclusioni di questo tipo: per istituire un qual- siasi rapporto dobbiamo infatti disporre oltre che di un secondo termine di para- gone – nel nostro caso le altre interpretazioni – anche di un insieme di norme di riferimento che, a loro volta, andrebbero in qualche modo legittimate).

In realtà, secondo la posizione che sto cercando di delineare, piuttosto che essere preoccupato di articolare una prospettiva superiore alle tante ermeneuti- camente più o meno fondate (questa mi sembra piuttosto una preoccupazione dei suoi interpreti), il tentativo nietzschiano si concretizza nella volontà di ela- borare un punto di vista che, nell’accordo con le scienze naturali, trovi non solo uno dei suoi punti di forza, ma anche una concreta possibilità euristica. Non mi pare perciò che Nietzsche voglia giocare il gioco dell’ermeneutica, proponendo all’attenzione dei suoi lettori un punto di vista purché debole (cioè consapevole della propria contingenza storica, della propria precarietà fondativa, e così via); piuttosto, il suo finzionismo si trova a fare i conti con una verità che, ancorché sempre solo immaginata o differita, non è per nulla debole o debolistica.

Come dire che mentre ciò che si vorrebbe è la verità, ciò di cui più concreta- mente si dispone è, in prima battuta, la fisiologia e, a un secondo livello, la scien- za, accompagnata dalla consapevolezza dei propri limiti operativi. In questo senso la prospettiva a cui Nietzsche sembra ricondursi fa riferimento a un kantismo radi- calizzato4che lo porta a concludere come al di là dell’interpretazione (che è il

risultato dell’attività costruttiva del soggetto) esista una realtà (il noumeno di Kant) che siamo certi di non poter conoscere. Per questo, dal punto di vista di Nietzsche, l’unica via che possiamo pensare di percorrere con successo sul piano conoscitivo è, piuttosto ovviamente, quella che porta ai nostri sensi, alla loro costi- tuzione, oltre che all’intelletto e ai suoi rapporti con la sensibilità. Insomma la via che porta a quel mondo che ci siamo costruiti e al soggetto che costantemente organizza questa costruzione. Nell’ottica nietzschiana procedere in accordo con la scienza ha proprio questo significato: lo studio oggettivo di una realtà comunque sempre consapevolmente costruita – consapevolezza questa che, per altro, il sape- re scientifico non dovrebbe mai rimuovere.

La duplicità dei piani che contraddistingue il discorso di Nietzsche è perciò piuttosto evidente (siamo di fronte alla necessità di oggettivare una realtà che è oggettiva solo in senso derivato, dato che è comunque, a un primo livello, frutto di una costruzione), e spiega anche parte di quella tensione tra interpre- tazione e verità che percorre per intero gli scritti di Nietzsche, e che sembra sempre sul punto di risolversi in pura e schiacciante (auto)contraddizione. In questo senso l’anno decisivo per Nietzsche è il 1874; è infatti questo il perio- do in cui il filosofo tedesco non solo prosegue nel chiarimento dei suoi rappor- ti con la filologia (chiarimento che del resto era già in atto da tempo, e che este- riormente prenderà la forma di un sempre maggiore interesse per questioni filo- sofiche), ma in cui, parallelamente, comincia anche a ripensare il senso del suo rapporto con Wagner e con i progetti di Bayreuth. E, soprattutto, è ancora di questo periodo il tentativo di superare l’unilateralità in senso umanistico dei suoi studi scolastici, attraverso una serie di letture che potrebbero sembrare sin- golari, ma che in realtà sono finalizzate – come per altro si è già sottolineato – a colmare le evidenti lacune in ambito scientifico.

Vediamo di concretizzare quanto detto facendo qualche esempio. Secondo quel che riporta Janz, nel giro di pochissimi mesi Nietzsche legge la Natura

delle comete di Johann Carl Friedrich Zöllner, la Philosophiœ naturalis Theoria del gesuita Rudiger Boscovich, che prende a prestito per la prima volta

nella biblioteca universitaria il 28 marzo 1873, ma su cui, come vedremo, ritor- nerà spesso anche in seguito. E ancora, sempre in questo periodo, legge la

Storia della chimica di Hermann Franz Moritz Kopp, le Conferenze sull’evolu- zione della chimica di Albert Ladenburg, la Teoria generale del moto e dell’e- nergia di Friedrich Mohr, la Struttura mirabile dell’universo di Johann

Heinrich Mädler, gli Elementi della fisica di Claude-Servais-Mathias Pouillet e Pensiero e realtà (anche questa è la prima di una serie di riletture) di African Špir5. Cerchiamo ora di mettere in chiaro ciò che effettivamente Nietzsche

poteva trarre da letture di questo tipo, che di fatto lo portavano sulla soglia delle scienze della natura sette-ottocentesche.

Secondo le mie premesse, l’interesse che Nietzsche dimostra fin dagli anni di Su verità e menzogna per il problema della verità e, parallelamente, per l’ar- ticolazione della ricerca (in senso lato) scientifica dipende fondamentalmente da un’esclusione e da una scelta: l’esclusione è quella della possibilità di poter parlare positivamente della cosa in sé (e dunque della verità), la scelta è nella convinzione di poter arrivare alla formalizzazione di una realtà universalmen- te condivisa dal genere umano, ancorché costruita. Inoltre, al di là di queste ragioni più propriamente teoriche, ve n’è una decisamente contingente, ma che non può essere trascurata: mi riferisco all’enorme progresso delle scienze fisi- co-biologiche nel corso dell’Ottocento. Un po’ come dire che i progressi e le novità in questi ambiti di ricerca furono tanti, e di tale rilievo, che era sicura- mente difficile prescinderne del tutto anche in filosofia.