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Hermann von Helmholtz e i segni di una esperienza opaca

I POTESI PER UN SISTEMA

3.3. Il mondo e le sue legg

3.3.4. Hermann von Helmholtz e i segni di una esperienza opaca

Il binomio speculativo fondamentale dell’ontologia nietzschiana, in cui la per- dita dell’effetto centrante della materia rimanda ad un movimento spaesante e dinamico, si organizza intorno al rapporto materia-forza, con il rischio evidente di fare della forza una nuova entità metafisica; ovvero di sostituire semplicemen- te la forza alla materia. A partire da Boscovich la materia inizia a essere conside- rata un concetto operativamente inutile e dal punto di vista cognitivo tutta l’im- portanza viene rimessa alla forza, con due conseguenze immediatamente eviden- ti: 1. il passaggio dall’idea di un mondo statico (fondato sul concetto aristotelico di sostanza72) all’idea di un mondo dinamico73, 2. la problematizzazione del

ruolo svolto dai sensi nell’economia del processo cognitivo, dato che la materia non è più, in prima battuta, ciò che è immediatamente disponibile.

Ora, nell’economia di questo passaggio, Helmholtz svolge una funzione fondamentale. Per la comprensione di questo nodo teorico possiamo partire da un passo della Conservazione della forza citato anche da Lange (e che quindi Nietzsche doveva conoscere):

la scienza considera gli oggetti del mondo secondo due astrazioni diverse: dappri- ma secondo la loro semplice esistenza, senza preoccuparsi della loro azione su altri oggetti o sugli organi dei nostri sensi: come tali essa li designa con il nome di mate- ria. L’esistenza della materia in sé è dunque per noi calma e inattiva; noi distinguia- mo in essa la divisione dello spazio e la quantità o massa, che si ammette come eter- namente immutabile. Non possiamo attribuire alla materia in sé differenze qualita- tive; perché, se parliamo di materie eterogenee, non collochiamo mai le loro diffe- renze altrove che nelle differenze della loro azione, cioè nelle loro forze. Così la materia in sé non può subire altro mutamento che nello spazio, cioè il movimento. Ma gli oggetti della natura non sono inattivi; noi, anzi, non li possiamo conoscere se non in grazia dell’azione che essi producono sugli organi dei nostri sensi; allora dall’azione noi concludiamo l’esistenza di ciò che la produce. Se dunque vogliamo realmente servirci dell’idea di materia, possiamo soltanto farlo aggiungendo con

una seconda astrazione […] alla materia ciò da cui volevamo astrarre prima, ossia la facoltà d’agire. E così le attribuiamo delle forze. È evidente che le idee di mate- ria e di forza, applicate alla Natura, non possono mai essere separate. Una materia pura sarebbe indifferente per il resto della natura, perché non potrebbe mai determi- nare un cambiamento né in questa Natura né negli organi dei nostri sensi; una forza pura sarebbe una certa cosa che dovrebbe esistere in qualche luogo e tuttavia non esistere, perché noi chiamiamo materia ciò che esiste in qualche luogo. È ancora un ingannarsi il dichiarare la materia qualcosa di reale, mentre la forza non sarebbe altro che una semplice idea, alla quale non corrisponderebbe nulla di reale, entram- be sono piuttosto astrazioni dalla realtà, formate in modo identico, difatti, noi non possiamo percepire la materia se non in grazia delle sue forze, e mai in se stessa74.

Già da questo brano si può inferire un elemento importante: l’intera indagine scientifica di von Helmholtz si sostanzia di costanti riferimenti filosofici (potremmo dire che è guidata da una precisa precomprensione filosofica) e svi- luppa un’idea ben definita di sostanza e di materia. Per chiarire questi punti, l’Introduzione all’Ueber die Erhaltung der Kraft è, per più di un aspetto, decisi- va soprattutto per la sua impronta marcatamente filosofica – in uno scritto che invece anche per le finalità a cui era destinato, e a cui in qualche modo doveva rispondere (dissertazione di fisica, letta il 23 luglio 1847, nella seduta della Società di fisica Berlino), riguardava soprattutto la fisica teorica. Ora, filosofica- mente, Helmholtz si rifà in primo luogo a Kant, e alle su riflessioni sugli apriori. L’idea fondamentale dell’Introduzione è che i fenomeni naturali siano la risultan- za di cause interne che Helmholtz identifica con le forze di attrazione e repulsio- ne immanenti alla materia; tali forze dipenderebbero direttamente dalle recipro- che distanze degli oggetti materiali a cui appartengono. Seguendo questa prospet- tiva, la natura si presenta come un sistema materiale i cui cambiamenti sarebbe- ro dovuti, in primo luogo, all’azione conservativa delle forze. Comprendere il mondo naturale corrisponde – in questo quadro – alla possibilità di comprende- re, e di spiegare, le relazioni tra le forze, nonché i loro rapporti con la materia.

Helmholtz perciò ritiene (prospettiva che per altro rafforzerà e approfondi- rà negli anni75) che tanto la materia quanto la forza non siano solo dei concet-

ti costruiti, ma, al contrario, che forze e materia esistano concretamente trovan- dosi, per utilizzare una collocazione topografica e al tempo stesso immagina- ria, al di là dei fenomeni. In sostanza si tratta di una posizione fondamental- mente realista, in cui il mondo esterno non risulta percepito attraverso l’espe- rienza diretta (il tavolo che tocco o la mela che mangio), ma piuttosto attraver- so i suoi effetti (per esempio, appunto, le forze) – dunque il toccare il tavolo, e mangiare la mela saranno, nel complesso, i segni di un’esperienza che mi dice qualcosa a proposito della realtà del tavolo (o della mia realtà) attraverso l’at- to con cui tocco il tavolo o mangio la mela: «dal momento che non possiamo percepire le forze per loro stesse, ma solamente attraverso i loro effetti, dobbia- mo tralasciare la testimonianza dei sensi nella spiegazione di qualsivoglia feno-

meno naturale, per rivolgerci agli oggetti non osservabili che sono determina- bili solamente attraverso l’utilizzo dei concetti»76.

I sensi non costituiscono perciò un’autorità irrevocabile o, forse meglio, l’i- dea di Helmholtz – ancora una volta profondamente kantiana77– indica come,

in ogni caso, la formulazione teorica debba nella sostanza precedere e guida- re la sperimentazione scientifica. Perciò, tipicamente, Helmholtz presuppone, come del resto fa Kant78, l’esistenza della materia. Tale esistenza è dunque

postulata e non sperimentata (né sperimentabile), nel senso che è concettual- mente determinata prima che di fatto si proceda ad accertarne l’esistenza per via sperimentale; il che vuol anche dire che la materia è rappresentata ovun- que allo stesso modo, e che gli unici mutamenti che può subire sono piuttosto ovviamente mutamenti spaziali: «la materia, in quanto tale, non presenta delle differenze qualitative. Se parliamo di materie differenti deriviamo la loro dif- ferenza dalla differenza dei loro effetti, vale a dire, dalle loro forze. Il solo cambiamento che la materia in quanto tale può subire è un cambiamento spa- ziale, vale a dire il movimento»79.

Dunque, la materia finisce per essere un apriori del nostro apparato percet- tivo e, in quanto tale, ci è possibile sperimentarla soltanto attraverso i suoi effetti (ovvero le forze). In genere, comunque, di ogni oggetto ci è possibile fare esperienza solo perché (e nella misura in cui) possiede una forza che può lasciar traccia sul nostro apparato sensoriale. I corollari più evidenti di questa posizione sono pertanto almeno due: 1. in primo luogo il fatto che la materia viene intesa come una sorta di postulato metafisico che funziona regolativa- mente rispetto alle esperienze possibili, 2. in secondo luogo l’idea che quelle stesse cose ci diventano note in una dimensione di imprescindibile interrelazio- nalità: cioè le cose esistono per noi in quanto hanno forza e, tale forza, eserci- tandosi all’esterno, le pone in concreta relazione tra loro.

Per arrivare alla materia dunque (cioè per capire com’è fatta e com’è strutturata) è assolutamente necessario passare attraverso la forza; forza che, ricordiamolo, non varia nel tempo: ovvero, date condizioni uguali si avran- no effetti uguali – che è come dire: nelle medesime circostanze si avranno effetti (risposte) identici. Si va perciò gradualmente delineando il sistema concettuale di Helmholtz: «se si considera l’universo […] come un insieme formato di elementi che possiedono delle qualità immodificabili [le forze], gli unici mutamenti possibili in questi sistemi sono spaziali, ovvero i movi- menti. L’azione delle forze può essere modificata solamente da circostanze esterne di natura spaziale. Ciò significa che le forze altro non sono che forze di movimento, la cui azione è determinata dalle loro relazioni spaziali»80.

Siamo evidentemente sulla stessa linea della critica kantiana al movimento assoluto: così come Kant riferisce costantemente il movimento alla recipro- ca relazione di due corpi (dunque non parla mai di un movimento assoluto), analogamente Helmholtz non si riferisce mai a forze che si esercitano tra

masse, ma a forze che appartengono a ciascuna parte della massa atomica in relazione con le altre.

A quale idea di universo sta dunque lavorando von Helmholtz? Come si vede, le linee fondamentali sono molto simili a quelle già tracciate da Boscovich, senza che per questo si debba tralasciare una differenza essenziale: diversamente da Boscovich, Helmholtz non pensa che si possa fare a meno della materia; parlare di una forza senza materia non ha senso, così come, all’inverso, non avrebbe senso parlare di una materia senza forza: i due elemen- ti si implicano e si presuppongono a vicenda81. È evidente perciò che

Nietzsche pur conoscendo entrambe le prospettive scientifiche, sceglie di pen- sare a un mondo senza materia; il problema sarà ora di capire il perché di que- sta presa di posizione e, ovviamente, le sue conseguenze teoriche.

In linea generale, possiamo dire che l’obiettivo teorico-scientifico di Helmholtz aveva a che fare con la necessità di fornire una «giustificazione metafisica» al programma di ricerca di Laplace82, il quale aveva ricondotto

tutti i fenomeni naturali all’azione a distanza tra le molecole per poter poi, su questa base, elaborare una teoria matematica dei fenomeni. Da un lato abbia- mo perciò il neokantismo radicalizzato di Lange e di Du Bois-Reymond83

che interpretavano i concetti di forza e materia in senso puramente strumen- tale-rappresentativo (non sappiamo se ha realmente senso identificare nella forza e nella materia84 le realtà ultime di ciò che esiste, sappiamo tuttavia

che, da un punto di vista operativo-sperimentale, si tratta di ottimi concetti che conservano una funzionalità euristica molto importante85), dall’altro

abbiamo la posizione di Helmholtz che è indubbiamente improntata ad un maggior realismo, pur nella sostanziale accettazione delle fondamentali linee teoriche del kantismo.

In sostanza Helmholtz non metterà mai in dubbio l’esistenza della materia, e soprattutto considererà sempre forza e materia legate da una relazione di mutua dipendenza. Né valsero a suggerirgli un radicale cambiamento di pro- spettiva le novità concettuali introdotte da Faraday che, effettivamente, finiva- no per modificare di molto la funzione e il significato dei termini in gioco, secondo una direzione decisamente anti-metafisica – in particolare, il tentativo teorico di Faraday consisteva nello spiegare la natura dei fenomeni elettroma- gnetici e elettrochimici prescindendo del tutto dai concetti più tradizionali quali, per esempio, atomo, forza, punti materiali o fluidi imponderabili e così via. Faraday riportava infatti tutta questa complessità concettuale ad astrazioni metafisiche difficilmente verificabili. Nonostante le ricerche di Faraday che pure conosceva bene86, Helmholtz non abbandonò mai il realismo di fondo: a

suo giudizio, la riflessione scientifica va costruita al di fuori delle esperienze che quotidianamente facciamo come individui agenti, ma la comprensione degli effetti passa necessariamente attraverso le nostre dotazioni sensoriali (secondo la prospettiva che oggi va sotto il nome di percezione indiretta)87.