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Dettagli di una teoria

I POTESI PER UN SISTEMA

3.3. Il mondo e le sue legg

3.3.3. Dettagli di una teoria

Veniamo ora ai dettagli della teoria boscovichiana. Boscovich lavorò a lungo a una legge generale da sostituire alla legge d’attrazione newtoniana convinto, come ci riferisce Angelo Fabroni, che nihil in physica melius unquam inventum

fuisse60. Enunciata per la prima volta in una dissertazione del 1745 (De viribus

vivis), ripubblicata due anni dopo nei Commentarii dell’Accademia di Bologna,

Boscovich la riespose senza sostanziali variazioni nel De lumine (1748), nel De

continuitatis lege (1754), nel De lege virium in natura existentium (1755), nel De divisibilitate meteriœ & principiis corporum (1757), fino ad arrivare a quel-

l’esposizione sistematica (e definitiva) – corredata anche da tutte le applicazio- ni meccaniche e fisiche – che troviamo nella Theoria Philosophiœ Naturalis, edita nel 175861. È significativo che lo scritto boscovichiano, accolto in un

primo tempo con grande interesse, abbia finito negli anni (come del resto nota l’autore stesso) per essere quasi del tutto dimenticato62. Boscovich per primo

colse tutte le difficoltà del suo sistema: l’eliminazione dell’azione per contatto, l’accettazione della monade inestesa e del vuoto, il massiccio utilizzo di dimo- strazioni geometriche, capaci di prescindere interamente dal calcolo.

La Theoria si articola a partire da due assunti che funzionano da postulati: a) il principio di continuità così come era stato formulato da Leibniz (Boscovich era solito sostenere che «nulla avviene per saltum»), e b) l’assioma dell’impe- netrabilità, secondo cui due (o più) punti materiali non possono occupare la stes- sa porzione di spazio nello stesso tempo. La conseguenza immediatamente evi- dente di tale assioma, è che non può mai esistere alcun tipo di contatto (effetti- vo o matematico) tra due punti materiali. Su questa base, Boscovich elabora un’idea dell’inerzia simile a quella newtoniana, ma che non è in relazione con la massa. Dunque, nella costruzione boscovichiana, abbiamo a che fare con una

vis duplice che si esercita sempre tra due punti inestesi: quel che appare consi-

derevole è che la magnitudine di questa forza dipende solamente dalla distanza tra i punti, mentre prescinde completamente dalla massa63.

Boscovich perciò presuppone dei punti immateriali sul modello della mona- de leibniziana, accompagnati da una forza (torna nuovamente la centralità della forza così come è presente nella dinamica di Leibniz) che varia col variare della distanza tra i punti64. La forza chiamata in causa da Boscovich (fig. 2) è,

a differenza di quella newtoniana, duplice: non si tratta infatti solo di una forza attrattiva sul modello della gravitazione universale, ma anche – ed è una delle più concrete differenze rispetto a Newton – di una forza repulsiva: «l’idea è introdotta in maniera tale che, dove termina l’attrazione, lì, con una variazione della distanza, comincia la forza repulsiva»65.

Figura 2: curva di Boscovich

Va ancora precisato che il termine vis aveva, ai tempi di Boscovich, una acce- zione ampia e assai differenziata: si parlava di vis viva (quella che oggi chiame- remmo energia), di vis mortua (l’antitesi della vis viva, così come era intesa anche da Leibniz), di vis acceleratrix (l’accelerazione), di vis motrix (l’esatto equivalente della nostra idea di forza, dato che si intende variare con la massa), ecc. Le forze di cui parla Boscovich sono per lo più assimilabili alle accelera- zioni, ovvero alla propensione di due punti ad avvicinarsi o a distanziarsi a seconda della variazione della distanza reciproca. I punti materiali boscovichia- ni sono infatti, per definizione, senza parti, ovvero senza volume; il che è come dire che non hanno massa, e che non possono esercitare alcuna forza, almeno così come tradizionalmente la si intende. La concezione newtoniana della massa viene perciò sostituita da qualcosa di totalmente differente; diventa un semplice numero senza dimensione, cosicché la massa di un corpo finisce per essere data semplicemente dal numero di punti che lo compongono. Ognuno di questi punti è sufficientemente vicino, ed esercita sugli altri approssimativamente la mede- sima accelerazione66. Supponiamo perciò di avere due piccoli corpi A e B, posti

a una distanza s l’uno dall’altro (si postuli inoltre che la distanza tra i punti sia molto piccola se raffrontata con quella dei corpi cui appartengono).

Se i punti che compongono A e B sono rispettivamente a e b, mentre f è la mutua accelerazione tra due punti posti ad una distanza s, allora ciascun punto di A imprimerà a ciascun punto di B una accelerazione f. Conseguentemente, il corpo A imprimerà a ciascun punto del corpo B, e perciò all’intero corpo B, una

accelerazione uguale ad af. Similmente, il corpo B provocherà sul corpo A una uguale accelerazione bf. Se poi prendiamo un terzo corpo C, posto ad una distan- za s tra A e B, il corpo A conferirà a C una accelerazione uguale ad af, e il corpo B provocherà rispetto a C una accelerazione bf; mentre, di rimando, l’accelera- zione data da C sarà cf. Dal che segue che tutti i corpi hanno una velocità di cadu- ta egualmente accelerata, se si prescinde dalla loro resistenza all’aria. Inoltre, nel sistema boscovichiano, ogni singola parte (punto inesteso) è indissolubilmente legata ad ogni altra, cosicché qualsiasi variazione si abbia su di un atomo, questa comporterà un effetto su tutti gli altri, ingenerando una sorta di reazione a cate- na67. In sintesi la curva di Boscovich si struttura come un grafico che esprime

degli intervalli di accelerazione; il che significa che converrà intenderla non tanto come l’espressione di un sistema cosmico fatto di centri di forza, ma, più oppor- tunamente, come la raffigurazione di una realtà chiusa e pan-energetica, in cui ogni punto inesteso può essere percepito solo nella sua relazione con tutti gli altri. Di seguito riporto la rappresentazione della curva boscovichiana:

Figura 3: andamento della curva di Boscovich

Nella figura 3 abbiamo l’asse C’AC che incontra nel punto A una retta AB per- pendicolare; i due rami di curva, posti dai lati diversi di AB, sono uguali. Di que- sti, la curva DEFGHIKLMNOPQRSTV forma l’arco DE che è asintotico rispet- to ad AB. Esaminiamo ora la curva nella direzione DE: il primo arco si avvicina all’asse C’C fino ad incontrarlo in un punto E, dopodiché prosegue riprendendo ad allontanarsi (questa volta in direzione opposta) dall’asse delle ascisse raggiun- gendo una distanza massima F. A questo punto la curva cambia nuovamente dire- zione, riprendendo ad avvicinarsi all’asse delle ascisse che incontra in un punto G, per poi tornare ad allontanarsi raggiungendo una distanza massima H, e così via.

La curva termina con l’arco TpsV nuovamente asintotico questa volta però rispetto all’ascissa C’C. Se da alcuni punti dell’ascissa come a, b, o d tracciamo delle perpendicolari che incontrano la curva come ag, br o dh, i segmenti dell’a- scissa che ne risultano (Aa Ab e Ad) indicano la distanza reciproca di due punti; mentre le perpendicolari ag, br e dh indicano la forza che è alternativamente repulsiva o attrattiva a seconda della posizione dei punti rispetto all’ascissa C’C68. In una curva di questo genere l’ordinata ag sarà destinata a crescere pro-

porzionalmente alla diminuzione dell’ascissa Aa; mentre, al crescere dell’ascis- sa Aa (ad esempio Ab), decrescerà l’ordinata corrispondente (br). L’ordinata diminuirà in maniera sempre maggiore fino ad arrivare ad E, dove si annulla. A questo punto, a una ulteriore crescita dell’ascissa (Ad), l’ordinata (dh) cambie- rà di direzione aumentando fino ad arrivare a F, dove prenderà nuovamente a diminuire (il), arrivando poi ad annullarsi in G, e così via fino ai punti op e vs, in cui la direzione rimane invariata e l’ordinata decresce approssimativamente secondo l’inverso del quadrato della distanza delle ascisse Ao e Av.

Utilizzando una curva di questo genere rappresentiamo graficamente delle forze che inizialmente sono repulsive e crescono al diminuire della distanza, ma che, al crescere della distanza, in primo luogo diminuiscono, poi si esauri- scono, in un terzo momento cambiano di direzione diventando attrattive, per poi tornare a diminuire, a esaurirsi e a cambiare di direzione, in un processo ciclico. Infine, a una distanza comparativamente rilevante, tali forze diventano attrattive e proporzionali all’inverso del quadrato della distanza.

Come si vede, la teoria boscovichiana tiene conto del principio di continuità considerandolo una delle leggi fondamentali della natura – non è possibile passa- re da una grandezza ad un’altra saltando tutte le unità intermedie69–, inoltre riba-

disce la validità del principio di impenetrabilità, secondo cui è impossibile che due corpi, nel medesimo momento, occupino la stessa regione di spazio. Il risultato più rilevante raggiunto da Boscovich è dunque quello dell’esclusione dell’azione per contatto: se le forze operano prescindendo dagli urti, l’idea di Boscovich è real- mente rivoluzionaria rispetto a tutto l’atomismo precedente, e apre a un modello teorico che per molti versi preannuncia il campo elettromagnetico di Faraday. La concezione di Boscovich è perciò profondamente innovatrice rispetto alle più tra- dizionali teorie corpuscolari, che per lo più intendevano la materia composta da corpuscoli estesi – atomi o quant’altro – sparsi nello spazio e raggruppati, secon- do modalità non ben definite, a formare i corpi. In breve, nell’atomismo classico i corpi costituiscono la sede dei fenomeni; mentre lo spazio è piuttosto il recipien- te (passivo) nel quale questi stessi corpi trovano la loro collocazione. Nell’idea boscovichiana, invece, questi corpuscoli estesi spariscono e «le così dette proprie- tà della materia risultano proprietà di questi sistemi di forza, di queste “atmosfere di forza”, come dirà Faraday con suggestiva espressione plastica»70.

Tanto per Boscovich, quanto per Faraday, lo spazio diventa la sede dei feno- meni; per entrambi cioè l’essenziale non sono le particelle materiali, ma i

campi di forza che derivano dai centri – Faraday, nel caso specifico, ritiene che nell’ambito dei fenomeni elettromagnetici non sono essenziali le cariche elet- triche, ma i campi interposti tra le cariche. E, del resto, è stato lo stesso Faraday a sottolineare il grande contributo di Boscovich notando, in una conferenza tenuta al Royal Institution il 19 gennaio 1844, come gli atomi boscovichiani siano meri centri di forza, non particelle di materia dotate di forza. Perciò, men- tre nell’ordinaria teoria atomica chiamiamo a la particella di materia da cui emanano le forze e m i sistemi di forze che la circondano, nella costruzione di Boscovich a sparisce, o è da intendersi come un punto matematico, e m diven- ta un’atmosfera di forza disposta ai punti matematici71.

Dunque, il passaggio teorico descritto da Boscovich si risolve nella conce- zione di un mondo inteso come forza pura.