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La visione di un mondo senza materia: Rudiger Boscovich

I POTESI PER UN SISTEMA

3.3. Il mondo e le sue legg

3.3.2. La visione di un mondo senza materia: Rudiger Boscovich

Spesso, nell’ambito della storia della scienza (o almeno delle sue tante divulgazioni), di Boscovich si parla meno di quel che la sua statura intellettua- le e il suo profilo scientifico imporrebbero. Perciò, almeno da questo punto di vista, Nietzsche dimostra di aver colto nel segno quando, occupandosi di un fisico tutto sommato poco noto, dimostra di aver intuito molto bene tanto la sua portata per la storia della fisica e più in generale delle scienze, quanto (e pro- babilmente soprattutto) la possibilità di applicare concretamente le sue molte intuizioni a un ambito extra-scientifico.

La vita di Boscovich fu pressoché divisa in due; a un periodo romano di stu- dio e di lavoro fin verso i cinquant’anni, ne seguì un altro, anch’esso abbastanza lungo, di intensi viaggi e continui spostamenti. Il suo profilo scientifico è quello tipico di uno studioso del diciottesimo secolo: non solo uomo di scienza, ma anche colto letterato e per di più abile politico, capace di svolgere un’intensa opera diplomatica all’interno delle più importanti corti europee. Nell’ambito di questa attività complessa e assai varia, sono centrali gli interessi tecnico-scienti- fici: si occupò di problemi di ingegneria (il più noto è quello relativo alla Cupola di San Pietro), di questioni idrologiche (la bonifica delle Paludi Pontine), e di ottica pratica (specialmente del calcolo e della costruzione degli obiettivi acro- matici), di misurazioni topografiche e geodetiche (ad esempio il calcolo dell’ar- co di meridiano tra Roma e Rimini), e, soprattutto, di questioni teorico-scientifi- che, con particolare interesse per la struttura della materia in riferimento all’ato- mistica, alla meccanica celeste e all’osservazione astronomica45.

Lo spettro dei suoi interessi era perciò estremamente ampio comprendendo un gruppo di scienze che andavano dalla matematica all’ottica, all’astronomia (ivi comprese le questioni riguardanti la natura della luce), fino alla struttura della materia. Va subito ricordato che l’attività scientifica di Boscovich è da ricondursi all’enorme processo di trasformazione impresso alla fisica moderna da Newton; quando infatti il fisico inglese morì, Boscovich aveva quindici anni (1726), era appena giunto a Roma, e qui le ricerche newtoniane gli vennero presentate dai suoi maestri come le maggiori scoperte scientifiche di tutti i tempi. Così, già in gioventù, Boscovich fu un newtoniano convinto; il che tut-

tavia non significò un appiattimento delle sue posizioni sul newtonianesimo imperante, piuttosto, da newtoniano, cercò di superare i limiti di due teorie dinamiche contrapposte: quella di Newton appunto e la leibniziana.

Gli elementi del rapporto Nietzsche-Boscovich che mi interessa porre in chiaro sono, a questo punto, grosso modo due: da un lato, capire perché il lavo- ro di un fisico come Boscovich poteva aver attirato l’attenzione di Nietzsche e, dall’altro, individuare le ragioni dell’interesse nietzschiano per il problema del- l’atomismo (e della presunta conformazione atomica della sostanza) che Nietzsche aveva largamente mutuato dalla Geschichte. L’atomismo è, per anto- nomasia, la questione della fisica ottocentesca; come tale giungerà anche a Nietzsche che, con un assiduo lavoro su queste questioni, arriverà a elaborare la sua personale risposta sulla composizione fisica delle cose.

Ma facciamo un passo indietro. Abbiamo detto che l’epoca in cui lavora il matematico dalmata è quella immediatamente successiva all’importante pole- mica tra Newton e Leibniz (e alla successiva, sostanziale, affermazione di Newton); polemica che, com’è noto, ha le sue radici nella disputa sulla paterni- tà della scoperta del calcolo infinitesimale46, e si estende poi alla serrata critica

da parte del filosofo tedesco dell’idea newtoniana di azione a distanza. In un primo momento non pare che Boscovich abbia avanzato riserve particolari sulla teoria corpuscolare della radiazione, dato che le sue pubblicazioni, almeno stan- do al materiale in nostro possesso, riguardano principalmente argomenti di natu- ra matematica e ricerche astronomiche. Tuttavia, già in una dissertazione tenu- ta al Collegio Romano nel 1747, De viribus vivis, sono evidenti gli interessi di Boscovich per i problemi della meccanica; mentre l’anno seguente (1748) pub- blica una dissertazione, tenuta al Seminario Romano dei Gesuiti, in cui affron- ta direttamente la teoria corpuscolare della luce (De lumine). Nel 1758 esce la

Theoria Philosophiœ Naturalis, l’opera più importante in cui Boscovich, piut-

tosto che criticare in singoli punti la teoria di Newton, propone un modello alter- nativo che secondo le sue intenzioni dovrebbe permettere di superare le nume- rose difficoltà lasciate aperte dall’impostazione del fisico inglese.

Il punto di partenza (in qualche modo ineludibile) delle ricerche boscovichiane è l’Ottica di Newton, segnatamente le questioni lasciate aperte dagli studi sulla natura della radiazione. Nelle questioni xx47e xxiii, Newton studia la resistenza dei

fluidi che deriva in parte dalla forza di attrazione delle diverse parti del mezzo, e, in parte, dalla forza di gravità. Le particelle dei corpi, secondo Newton, avrebbero certe virtù (o forze) grazie alle quali agiscono a distanza, non solo sui raggi di luce, ma anche le une sulle altre, dando origine alla maggior parte dei fenomeni natura- li. Tale azione (di alcuni corpi su altri) si produce per gravità, per magnetismo o per elettricità. Nell’Ottica – e la cosa è significativa – Newton non esamina le cause di questa forza; piuttosto fa riferimento alle ipotesi classiche, considerandole (soprat- tutto le più note, come quella degli atomi uncinati o quella secondo cui le particel- le dei corpi si fissano tra loro in stato di quiete) insostenibili e poco esplicative.

Secondo la ricostruzione newtoniana, l’ipotesi più plausibile sembra essere quella che si serve dell’attrazione tra particelle; attrazione che si verificherebbe nel contatto immediato dovuto a una forza (estremamente grande) che a breve distanza provoca precise variazioni chimiche, mentre, a distanze più elevate, non causa effetto alcuno. D’altra parte, una delle condizioni imprescindibili per la spiegazione di un certo numero di proprietà dei corpi (compresi i raggi di luce) sembrava a Newton la loro composizione solida; alla luce di queste considera- zioni, il fisico inglese deduce, per altro abbastanza coerentemente e attraverso il sostegno dell’esperienza, le due proprietà fondamentali delle materie semplici: la solidità e l’impenetrabilità. Le particelle più piccole, ipotizza Newton, entrano in contatto spinte da forti attrazioni, dando origine, con questo movimento, a parti- celle più grandi che, a loro volta, si uniscono con forza attrattiva minore, forman- do particelle ancora più grandi, e così via; fino ad arrivare alle particelle con la dimensione in assoluto maggiore – ovvero la maggiore possibile. Queste ultime particelle sarebbero soggette a quelle trasformazioni chimiche che danno origine ai corpi sensibili. Inoltre, Newton dimostra che là dove terminano le forze attrat- tive ne nascono di repulsive: il che consente al fisico inglese di elaborare una spiegazione abbastanza convincente tanto del mondo macroscopico quanto di quello microscopico. In base alle considerazioni newtoniane, Dio avrebbe crea- to la materia in modo che le particelle primordiali rimangano invariabili, solide, impenetrabili, inerti e mobili; dal che deriverebbe anche la necessaria solidità dei corpi primitivi, diversamente da ciò che accade per i loro composti.

I motivi per cui negli ambienti scientifici del primo Seicento si è cominciato a far ricorso alla teoria corpuscolare (o atomica) della materia sono sostanzialmente due: da un lato, la necessità di affinare lo standard metodologico nelle ricerche fisi- che, dall’altro, l’urgenza di elaborare una spiegazione per il fenomeno della coesio- ne. In quest’ambito, la teoria atomica di origine filosofica provvedeva a inquadra- re il problema della materia e del movimento. Con gli infinitesimali, si prospetta- va la possibilità di allargare alla fisica (dunque, allo studio della materia) l’infinita divisibilità matematica, anche se proprio la materia finiva per porre il problema del limite – in altri termini, era naturale domandarsi come un corpo finito potesse esse- re diviso all’infinito, oppure in quale momento cessi la divisibilità fisica per inizia- re quella matematica ecc. Pur essendo nell’aria, la separazione della divisibilità matematica da quella fisica non era stata teorizzata esplicitamente, motivo per cui, ancora durante i primi decenni del Seicento, la nozione di atomo non poteva esse- re trattata come un postulato: in questo senso, sia i filosofi sia gli scienziati si tro- varono a dover fare i conti con l’idea dell’esistenza attuale degli atomi.

Perciò, pur considerando gli atomi alla stregua di presupposti teorici esatti, essi restavano comunque sempre dei presupposti; con la logica conseguenza che né la fisica gassendista, né quella cartesiana potevano pretendere un carattere matemati- co, nel duplice senso che non si impegnavano a trattare matematicamente gli atomi e che, ovviamente, tralasciavano di fornirne l’elaborazione scientifica. Tale è anche

la posizione di Lange, che a proposito degli atomi si esprimeva in questi termini: «le sensazioni sono il materiale con cui si costruisce il mondo reale esterno. La spe- cie più semplice di sensazioni, che noi possiamo immaginare, per poco che pensia- mo ad una combinazione di sensazioni successive in un organismo, rinchiude già in sé l’idea di tempo e di causalità. […] Difatti, si può agevolmente dedurre dalla sensazione l’idea degli atomi e dei loro movimenti, ma non già dedurre la sensa- zione dal movimento degli atomi. […] Soltanto quando riconduciamo le nostre sensazioni e rappresentazioni di sensazioni, in astratto, agli elementi più semplici, all’impenetrabilità, alla resistenza e al movimento, otteniamo la base necessaria alle operazioni della scienza. In quanto, in queste rappresentazioni del sensibile che sono le più astratte fra tutte, si produce un accordo necessario di tutti gli uomini, in virtù degli elementi apriori della nostra conoscenza, queste rappresentazioni sono realmente “oggettive”, paragonate alle sensazioni più concrete, accompagnate da piacere e dispiacere, che chiamiamo “soggettive”, perché il nostro soggetto non si trova in accordo generale e necessario con tutti gli altri soggetti sensibili»48.

Almeno in questa fase, è evidente come gli scienziati si siano trovati a lavorare con modelli immaginifici e per nulla sottoponibili a verifica sperimentale.

Vediamo, per capirci, l’esempio di Boyle: in The Origins of Forms and

Qualities, according to the Corpuscolar Philosophy (1666), il fisico inglese

costruisce la sua filosofia della materia – Dio avrebbe impresso alla materia il movimento in diverse direzioni e in quantità differenti, perciò, materia e movi- mento sarebbero le qualità primarie di tutte le cose49. All’inizio, la materia

(dotata di movimento) era divisa probabilmente in particelle di diversa gran- dezza, forma e dimensione. Per quanto, almeno in via teorica, divisibili all’in- finito a causa delle dimensioni ridotte e della solidità, queste particelle dove- vano poi risultare, di fatto, indivisibili50. In quest’ottica, la natura di un qual-

siasi composto dipende dalla grandezza e dalla forma delle parti componenti, oltre che dalla grandezza e dalla forma degli spazi tra le particelle, e dal moto delle parti in un dato momento. Come si vede, la scienza prenewtoniana si ser- viva di nozioni appartenenti a linguaggi e ambiti differenti – su tutti quello fisi- co-matematico – come, per esempio, i concetti di punto geometrico, di forza e di corpuscolo che nella pratica finivano per intrecciarsi in maniera confusa.

Tre sono i punti fondamentali (di natura sia teorica sia pratica) su cui Newton si basa per inficiare tanto la nozione di atomo, quanto quella di corpuscolo: 1) l’im- possibilità di provare l’esistenza dell’atomo, 2) l’inutilizzabilità (per definizione) dell’atomo nello spiegare sia la materia infinitamente piccola, sia le masse plane- tarie, 3) inoltre, il fatto che la tradizione filosofico-scientifica non aveva pratica- mente mai considerato l’atomo come un centro di forza. Nonostante questi incon- venienti il fisico inglese era comunque persuaso che non si dovesse rinunciare in via definitiva all’idea di una forza applicata a un punto, o, all’inverso, all’idea di un punto capace di esercitare una forza. Pertanto, Newton finì per delegare alla meccanica razionale il compito di operare una mediazione tra matematica e fisica;

la nozione di corpuscolo che deriva da questa sintesi non indicherà più solamente una quantità infinitesima di materia, ma anche le masse dei pianeti e del Sole, interpretate come concentrate in un solo punto che emana energia – in breve, la dinamica newtoniana scaturisce dalla sintesi tra punto geometrico, forza e materia.

Poiché la meccanica razionale si configurava per Newton come la scienza delle forze e dei moti, e poiché le forze, secondo la sua impostazione, potevano essere studiate solamente nella loro applicazione a qualcosa di solido, materializ- zando il punto geometrico, il fisico inglese veniva ad ottenere il concetto sinteti- co di massa puntiforme, a cui univa la nozione di vuoto (tradizionalmente legata all’idea di atomo) utilissima per lo sviluppo delle teorie dell’attrazione a distanza.

Per spiegare la natura della radiazione, Newton si serve dunque della teoria corpuscolare, tentando di ricondurre la rifrazione dei raggi, nel passaggio attra- verso una superficie di separazione fra due corpi di struttura diversa, alla teo- ria dell’attrazione fra corpi. Il principale obiettivo newtoniano non era tanto quello di spiegare la rifrazione (di cui per altro all’epoca si sapeva ben poco), quanto piuttosto dar ragione della variazione della rifrazione, vale a dire della dispersione della radiazione, dopo aver ammesso che i corpuscoli soggetti a tale fenomeno avevano massa diversa e che quindi, subendo l’azione del corpo rifrangente, erano deviati in modo non uniforme.

Tuttavia, la costruzione newtoniana non era completamente esauriente; tanto per fare un esempio, la spiegazione della rifrazione come effetto dell’attrazione della massa del corpo rifrangente su quello dei corpuscoli della radiazione, porta almeno a tre conseguenze importanti: a) la velocità di propagazione dei corpu- scoli deve aumentare proporzionalmente alla densità del corpo rifrangente, b) la velocità deve essere legata alla densità del corpo stesso, inoltre c) la variazione di rifrazione (dispersione) dipende, a parità di densità del corpo rifrangente, solamente dalla diversità della massa dei corpuscoli, ovvero, più in generale, il rapporto fra rifrangenza e dispersione deve essere uguale per tutte le sostanze. Newton non prende atto di queste conseguenze che, di fatto, avrebbero richiesto un ripensamento dei presupposti teorici di alcune parti del suo discorso; riconosce sia la maggior velocità dei corpuscoli nei corpi più densi, sia che per certe catego- rie di corpi la rifrazione è più alta che per certe altre a parità di densità, ma non arri- va a trarre interamente le conseguenze di queste osservazioni. La difficoltà princi- pale consisteva nello spiegare quella serie di fenomeni che oggi vanno sotto il nome di interferenza, diffrazione e polarizzazione. Soprattutto, ve ne era uno che da solo, per semplicità e notorietà, bastava a suggerire la necessità di un ripensamento gene- rale delle teorie newtoniane: la riflessione sulle superfici trasparenti. Allorché un fascio di radiazioni incontra una superficie trasparente (ad esempio, acqua o vetro) viene riflesso secondo una percentuale di circa il 5%, mentre la restante parte (più o meno il restante 95%) penetra nella sostanza. L’obiezione fondamentale che è stata mossa a Newton è all’incirca questa: come è possibile che di tante particelle, tutte uguali, incidenti sullo stesso corpo, nelle stesse condizioni, una parte venga

attratta nel corpo, con velocità accresciuta, mentre un’altra, seppure piccola, venga respinta nel primo mezzo, senza una sostanziale variazione di velocità?

Problemi come questo e come quelli (analoghi) aperti dal comportamento dello spato d’Islanda, non potevano non suggerire la necessità di un ripensamento sostanziale di alcuni presupposti della fisica newtoniana. Boscovich avverte chia- ramente le difficoltà interne al modello del fisico inglese, perciò cerca di modifi- care almeno in parte la base teorica del lavoro di Newton: una volta riconosciuto che le propagazioni ondulatorie delle radiazioni non possono seguire linee rette, al matematico dalmata non resta che accettare la teoria corpuscolare; tuttavia, que- st’ultima, non poteva non richiedere una profonda revisione dal momento che, ho già avuto modo di sottolineare, anche in Newton resta largamente problematica. Il che, in sostanza, portò Boscovich a rivedere le idee newtoniane circa la struttu- ra della materia e le leggi dell’interazione fra le particelle submicroscopiche.

È a questo punto che entra in gioco la concezione della materia e, più in generale, la dinamica leibniziana51, elaborata in espressa opposizione a

Cartesio. I postulati che Cartesio aveva utilizzato a riguardo erano tre: 1) l’e- stensione, intesa come essenza della materia; 2) la costanza della quantità di movimento presente nell’universo; 3) e la proporzionalità della forza rispetto alla quantità del movimento. Leibniz, dal canto suo, «dimostrò che l’essenza della materia non può essere l’estensione, che la quantità totale del movimen- to non è costante, ma che (e questo Descartes non lo sapeva) la quantità di movimento in una direzione data è costante»52.

Il filosofo tedesco riteneva che il concetto di forza fosse indispensabile per defi- nire la sostanza; inoltre, a suo giudizio, la caratteristica fondamentale della sostan- za semplice53non sarebbe l’estensione, ma, più verosimilmente, la forza, e nello

specifico la resistenza che, in quanto tale, è originaria proprio rispetto all’estensio- ne54. La resistenza per altro implica altre due proprietà distinte: l’impenetrabilità e

l’inerzia55. In ogni corpo esiste una duplice forma di potenza (tÕ dunamikÕn): una

passiva e l’altra attiva. In questo senso è chiaro come Leibniz cerchi di individua- re la sostanza proprio a partire dalla forza. La forza passiva è la materia o massa, mentre la forza attiva dà luogo alla forma (™ntelšceia). La resistenza non impedi- sce solo i mutamenti senza causa, ma, più complessivamente, si configura come l’inclinazione a conservare lo stato in atto e a resistere alla causa del mutamento.

Avendo poi respinto con decisione la gravitazione newtoniana, Leibniz ritie- ne che l’unica forza di interazione dinamica sia l’urto, affermando insieme a molti moderni che l’azione a distanza deve essere spiegata attraverso un fluido che penetra ogni cosa. In generale, seguendo Russell, possiamo concludere che esistono tre tipi di teorie dinamiche56: 1) la teoria degli atomi estesi e duri, per

la quale l’idea dell’urto è assolutamente appropriata, 2) la teoria del pieno, che postula un fluido che pervade tutto – al cui servizio hanno lavorato tanto la dot- trina moderna dell’etere, quanto le teorie dell’elettricità – 3) e, infine, la teoria dei centri inestesi di forza e della loro azione a distanza. Il problema principale

di Leibniz è stato probabilmente quello di non aver colto appieno queste diffe- renze, e dunque di non aver optato con chiarezza per nessuna di queste tre posi- zioni: «l’idea che l’urto sia il fenomeno fondamentale della dinamica lo avreb- be dovuto condurre alla teoria degli atomi estesi, propugnata da Gassendi e […] da Huygens. La fede nel pieno e in un etere fluido lo avrebbe dovuto portare alla seconda teoria ed allo studio del movimento fluido. La teoria relazionale dello spazio, con tutta la dottrina delle monadi, lo avrebbe dovuto condurre, come condusse Boscovich, Kant e Lotze, alla teoria dei centri inestesi di forza. […] La vera dinamica leibniziana non è quella di Leibniz, ma quella di Boscovich. Questa teoria non è che lo sviluppo della dinamica di Newton, secondo la quale tutta la materia consiste in punti materiali, ed ogni azione è un’azione a distan- za. Questi punti materiali sono inestesi come le monadi, […] e per conservare loro l’indipendenza reciproca è sufficiente pensare l’attrazione o la repulsione provenienti dalla percezione di una monade da parte di un’altra monade»57.

Gli assiomi (negativi) di partenza che determinano la struttura della dinamica leibniziana sono pertanto tre: il rifiuto degli atomi, del vuoto e dell’azione a distan- za. Contro gli atomi estesi Leibniz prende posizione nella corrispondenza con Huygens. In breve: dato che l’estensione è ripetizione, l’atomo esteso dovrebbe essere fatto di parti; il che non permette evidentemente una soluzione metafisica della composizione della materia. Se poi si vogliono mantenere le leggi del movi- mento, l’atomo dovrebbe essere anche perfettamente elastico, cosa impossibile dato che, al contempo, dovrebbe poter essere duro e consistente. E ancora – obiet- ta Leibniz – si viola il principio di continuità («infatti, poiché ogni mutamento natu- rale avviene per gradi, qualcosa muta o qualcosa permane; di conseguenza bisogna che nella sostanza semplice vi sia una pluralità di affezioni e di rapporti, benché