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Quel che resta di Nietzsche

N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION

1.3. Denazificare a tutti i costi L’esempio di Walter Kaufmann

1.3.2. Quel che resta di Nietzsche

Ora, più che stabilire quel che realmente fece Elisabeth51– sicuramente non

tutto quello che le attribuisce Kaufmann, anche se il suo ruolo all’interno dell’Archivio fu fondamentale – qui è importante capire perché Kaufmann spo- sti il peso della leggenda interamente sulle spalle della sorella di Nietzsche. La risposta viene facile se si pensa all’obiettivo principale di Kaufmann: denazifi- care il pensiero nietzschiano, attribuendogli una linea teorica decisamente meno compromettente di quella che andava per la maggiore intorno agli anni quaranta-cinquanta del secolo scorso.

Lo sforzo interpretativo che Kaufmann mette in campo per raggiungere que- sto obiettivo è notevole: non tralascia infatti di esaminare nulla dell’impianto speculativo di Nietzsche – con l’ovvia (per lui) esclusione del materiale postu- mo – forzandolo verso un centro teorico che per Kaufmann, così come era stato del resto anche per Heidegger, non può non esistere. Perciò il lavoro di depo-

tenziamento della portata innovativa e destabilizzante del pensiero di Nietzsche è continuo e serrato, fino ad arrivare a fare del filosofo tedesco un campione di morale, almeno nel senso dell’autosuperamento morale. Ancora una volta, così come è stato per Heidegger, viene da chiedersi che cosa riman- ga di Nietzsche; e, ancora una volta, siamo costretti a rispondere ben poco, dal momento che il Nietzsche di Kaufmann ha a che fare quasi esclusivamente con problemi di morale e di etica – in fondo, proprio quei problemi che interessa- vano profondamente la cultura americana degli anni cinquanta. Nietzsche era leggibile, anzi, andava letto proprio perché si occupa di morale, in maniera tal- mente seria e radicale da ricollegarsi idealmente al lavoro d’importanti autori della cristianità, ma anche della nostra modernità52.

Pensiamo, per esempio, alla volontà di potenza. Kaufmann costruisce la sua analisi prescindendo completamente (e già questo, indipendentemente dal giu- dizio che si voglia dare della Volontà di potenza come testo a sé, è un grave limite) dalle annotazioni dei frammenti postumi. Nella sostanza, il filosofo americano propone una interpretazione forte, che riconduce la riflessione (come si sa estremamente articolata) di Nietzsche a un monismo originario, che ha nella volontà (Wille) il proprio cardine teorico. Kaufmann non legge la volontà servendosi di una chiave di lettura irrazionalistica (in questo caso fini- rebbe per avallare quelle posizioni che fanno di Nietzsche il più radicale degli irrazionalisti moderni); piuttosto, la considera una forma debole di razionalità: «la volontà di potenza non è né identica alla ragione, né opposta ad essa, ma è

potenzialmente razionale. [...] Impulso (passione) e ragione (spirito) sono

manifestazioni della volontà di potenza e quando la ragione supera gli impulsi non possiamo parlare di un matrimonio di due diversi principi, ma soltanto del- l’autosuperamento della volontà di potenza»53.

Abbiamo dunque un unico principio, la volontà, che si oggettiva superan- dosi in un processo che Kaufmann considera molto simile a quello dell’Aufheben hegeliano. Perciò, il parallelismo stabilito da Kaufmann è tra l’Überwindungsmotiv nietzschiano e l’Aufheben; e la volontà di potenza diventa un qualcosa di molto simile ad un movimento che si contraddistingue per la sublimazione progressiva degli istinti, ricalcando in tutto e per tutto il movimento hegeliano. Com’è noto, infatti, l’Aufheben ha una valenza concet- tuale assai complessa, dal momento che è contemporaneamente un processo in cui l’oggetto del processo dialettico viene annullato, preservato ed elevato. Stessa cosa, o quasi, per Nietzsche: il Sublimieren consisterebbe in quel movi- mento in cui, simultaneamente, un impulso viene annullato (in un percorso ascensivo di affinamento dell’impulso stesso e di contemporaneo accresci- mento della potenza) ed elevato; in pratica, la sublimazione sarebbe possibile solamente perché siamo in presenza di una forza essenziale (la volontà di potenza), definita in termini di un obiettivo (la potenza) che rimane invariato nonostante tutte le diverse metamorfosi in cui incorre.

La stessa esposizione potremmo proporre per Hegel con la sola differenza che, per quest’ultimo, la forza fondamentale non è la volontà bensì lo spirito, e il suo fine non è un rafforzamento in termini di maggiore potenza, ma, più verosimilmente, la libertà. Nei termini kaufmanniani la volontà di potenza si propone come l’istinto che opera nella direzione della sublimazione, ovvero come l’attività che più di tutte è impegnata nella riorganizzazione della nostra istintualità. L’Übermensch perciò – nella versione di Kaufmann – è colui il quale meglio di tutti è stato in grado di portare a compimento il percorso del- l’autoperfezionamento individuale.

A questo punto vanno tenute presenti soprattutto due cose: in primo luogo, che Kaufmann in questa sua ricostruzione risente profondamente del clima culturale americano degli anni cinquanta, in cui, come si ricorderà, una certa rigidità in materia di religione finiva inesorabilmente per risolversi nella ripre- sa del pensiero tradizionale secondo una direzione di marcata conservazio- ne54. Inoltre va notato che l’operazione di Kaufmann facilita la riapertura del

discorso su Nietzsche; il tutto attraverso una strategia interpretativa che, ope- rando su diversi fronti, ha come unica finalità il ridimensionamento delle asperità non solo teoriche, ma anche più generalmente socio-morali del pen- siero nietzschiano – in questo progetto rientra perfettamente anche il tentati- vo di ricondurre gli eccessi del pensiero di Nietzsche all’operato di Elisabeth. È così che uno dei più impietosi critici della morale tradizionale (soprattutto quella cristiana) finisce per trasformarsi in una sorta di cristiano radicale, non avendo in fondo fatto altro (almeno stando a Kaufmann) che esprimere il biso- gno di ritornare a una moralità più intransigente, pressappoco sull’esempio delle prime comunità cristiane.

Si potrà pensare che il percorso interpretativo indicato da Kaufmann presen- ti lacune troppo vistose per pretendere una qualche legittimazione teorica, e invece a questo lavoro fu dedicata tanta considerazione che, per lunghissimo tempo, rimase negli Stati Uniti, e comunque nei paesi di lingua inglese, il testo di riferimento essenziale in materia di critica nietzschiana55. Diversamente da

Heidegger, Kaufmann non intende riportare Nietzsche all’interno di un parti- colare progetto teorico, tuttavia la violenza sul testo nietzschiano resta ben evi- dente e da un punto di vista storiografico – visto che il lavoro del filosofo ame- ricano ha oltretutto precise finalità esegetico-ricostruttive – anche più marcata. Il dopo-Kaufmann è stato per molti versi singolare; sicuramente il filosofo americano raggiunse il suo obiettivo primario e cioè favorire l’interesse del mondo americano per Nietzsche – oggi la quantità e, spesso, anche la qualità dei lavori d’oltreoceano che riguardano Nietzsche raggiungono vette d’assolu- ta eccellenza anche se raffrontati con quelli della critica continentale – con in più un risvolto per molti versi imprevedibile e imprevisto: l’interessamento per Nietzsche e per i temi nietzschiani da parte di molti autori che, in senso lato, possiamo definire di formazione analitica.

Proprio questo mi sembra il punto di svolta più consistente in materia di interpretazione nietzschiana nell’arco degli ultimi cinquant’anni. Dacché infat- ti la filosofia analitica ha preso ad occuparsi – seppure in un primo tempo mar- ginalmente e con considerevoli difficoltà – del pensiero nietzschiano, il luogo dell’interrogazione critica è progressivamente mutato, trasferendosi dal piano etico-morale (a volte estetico-artistico), a quello epistemologico; e il pensiero di Nietzsche è stato sottoposto a una decostruzione quanto mai utile, operata spesso su molteplici livelli. Si è cioè cominciato con l’essere lettori più puntua- li, badando sì alla logica, ma anche, laddove questa si rivelasse insufficiente, cercando di elaborare un’ermeneutica complessivamente più attenta all’ar- cheologia del testo e alle intenzioni di Nietzsche.