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La realtà vera dei filosof

N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION

4. M H EIDEGGER , 1961; W K AUFMANN , 1950.

2.3. The Treasure-House: il neokantismo

2.3.1. La realtà vera dei filosof

Introduco subito, a questo punto, la discussione su di un pensatore che fu fondamentale per Nietzsche e che se certo non rientra nel novero ristretto dei neo-kantiani è comunque riconducibile, per temi e interessi fondamentali, a questo orientamento filosofico.

La filosofia di African Špir costituisce uno dei riferimenti tematici e teorici – spesso anche polemici – costanti del lavoro nietzschiano124. Nietzsche lesse

per la prima volta Špir nel 1872 (Ricerca della certezza nella conoscenza della

realtà) e da allora, e a più riprese fino al 1888, ritornò su molti dei temi centra-

li della filosofia di Špir. Nel 1869, dunque, Špir pubblica la sua Ricerca della

certezza nella conoscenza della realtà, che Nietzsche leggerà presumibilmen-

te, come si è detto, intorno al 1872. Nel 1873 rielabora l’opera del ’69 amplian- dola e riorganizzandola in quello che poi rimarrà il suo lavoro fondamentale:

Pensiero e realtà. Saggio per un rinnovamento della filosofia critica125.

Nietzsche prende in prestito il volume dalla biblioteca di Basilea nei giorni 13 e 28 marzo 1873126, 28 febbraio, 26 marzo, 14 novembre 1874; mentre il primo

diretto riferimento a Špir è contenuto in un passo di La filosofia nell’epoca tra-

gica dei greci (1873), in cui Nietzsche discute il problema dell’idealità del tempo.

Sappiamo127anche che Nietzsche si fece mandare a Sorrento nel 1877, dal suo

editore, la seconda edizione di Pensiero e realtà, la cui lettura orienterà profon- damente le riflessioni di Umano, troppo umano a cui Nietzsche stava lavorando proprio in quel periodo, in particolare intorno alla relazione fenomeno-noumeno. Ulteriore tappa di questo dialogo a distanza tra Nietzsche e Špir è l’estate del 1881 quando, a Sils-Maria, in occasione delle sue riflessioni cosmologiche, Nietzsche torna ad affrontare questioni gnoseologiche, ripercorrendo nuovamen- te, nel testo di Špir, il tema della dicotomia tra mondo vero e mondo apparente. I temi cari a Špir assorbono oramai pressoché interamente gli interessi teori- ci nietzschiani a cavallo degli anni ottanta, e così nel 1885 Nietzsche ritorna su

Pensiero e realtà (letto parallelamente a Il mondo vero e il mondo apparente di

Gustav Teichmüller) per mettere a punto le riflessioni sulla volontà di potenza. Sempre nello stesso periodo lavora a una rielaborazione di Umano, troppo

umano soffermandosi sulle riflessioni di M III I, il quaderno in cui Nietzsche

Per quali ragioni l’interesse di Nietzsche per Špir fu così lungo e articolato nel tempo? Com’è noto, nell’estate del 1872, mentre nella comunità scientifi- ca dei filologi comincia a crescere la polemica intorno alla Nascita della tra-

gedia, Nietzsche prende a sviluppare una serie di riflessioni parallele, docu-

mentate dai Frammenti postumi che, cronologicamente, vanno appunto dall’e- state del 1872 alla primavera del 1873 e comprendono il quaderno P I 20, non- ché i due scritti postumi del periodo, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e Su verità e menzogna in senso extramorale, entrambi del 1873.

Su verità e menzogna in senso extramorale si occupa, com’è noto, soprat-

tutto di verità e linguaggio. Anche sulla scorta della lettura di Špir, Nietzsche ritiene che il linguaggio non sia in grado di esprimere la verità. Soprattutto entrambi gli autori, pur con esiti diversi, criticano dettagliatamente la possibi- lità dei giudizi sintetici. Mentre cioè Špir dal giudizio sintetico deduce la con- traddittorietà della realtà fenomenica128, Nietzsche sulla base di queste consi-

derazioni articola una gnoseologia che, negli anni, lo porterà a riconoscere per intero l’ambito del sensibile e a rigettare, in quanto priva di senso, l’interroga- zione sulla natura della cosa in sé. E cioè: mentre Špir trae spunto dalla strut- tura stessa del giudizio sintetico per affermare la contraddittorietà della realtà empirica, e di qui la necessità di spingersi verso un dominio diverso e separa- to; Nietzsche si sofferma prima a sottolineare le inadeguatezze della logica (Su

verità e menzogna) poi, anziché fuggire dal dominio dei sensi, segnala questi

ultimi come la sola realtà disponibile per gli uomini.

In questa prospettiva la logica smette di essere un fine, e diventa un mezzo tipi- camente umano per ordinare il mondo che abitiamo. Nella logica molti assunti sono dati per scontati e vengono accettati senza ulteriore problematizzazione – per esempio, si suppone di sapere già cosa siano l’essere, il soggetto, le cose, le sostanze, i predicati e così via. E in fondo, dal punto di vista di Nietzsche, non può che essere così; in caso contrario si finirebbe per guardare con sospetto a uno stru- mento, dalla cui funzionalità, non possiamo in alcun modo prescindere. Tuttavia, il fatto che si tratti di un utile strumento, non porta per ciò stesso a concludere che sia uno strumento capace di esprimere qualcosa di vero sull’essenza delle cose.

È proprio riguardo al ruolo giocato dalla cosa in sé che si consuma la diffe- renza fondamentale rispetto a Špir: questi riprende e accetta la distinzione kan- tiana tra fenomeno e noumeno, tanto che la sua filosofia critica sostiene, nella sostanza, l’impossibilità che la metafisica si strutturi come scienza dell’incon- dizionato. Tuttavia, Špir non respinge la legittimità di una metafisica del con- cetto di incondizionato, utile e necessaria per guadagnare un luogo di osserva- zione privilegiato sulla realtà129.

Stando a Špir, l’incondizionato è ciò che per sua natura ha in sé la ragione della propria esistenza, mentre, all’inverso, il mondo fenomenico è subordinato a quel- le strutture che lo rendono possibile come fattore d’esperienza. Tuttavia, tra incon- dizionato e condizionato non si darebbe alcuna relazione causale; e questo per una

ragione molto semplice: perché l’incondizionato non può in alcun modo causare. È ovvio che in questa prospettiva non si dà il caso di un risalimento dal piano del fenomenico a quello dell’incondizionato, spesso frettolosamente assimilato all’o- rizzonte della cosa in sé. E neppure si dà il caso – secondo la soluzione prospetta- ta da Schopenhauer130– di un fenomenico in cui si rivela l’essenza ultima delle

cose, visto che la distanza ontologica tra il condizionato e l’incondizionato non consente certo che in quest’ultimo si riveli la cosa in sé. Leggiamo Špir: «l’appa- renza si scinde precisamente in due fattori, il soggetto e l’oggetto della conoscen- za, che possono sussistere solo nella loro reciproca relazione. Ma proprio questa scissione e questa relatività è estranea alla cosa o al reale in sé. L’apparenza, dun- que, non può essere concepita né come soggetto né come oggetto del conoscere e dalla sua essenza non può essere derivata l’essenza del conoscibile. Schopenhauer cade in una inconcepibile ingenuità quando afferma (Mondo come volontà e rap-

presentazione, II, p. 204) che l’apparenza “è la manifestazione di ciò che appare

della cosa in sé” e considera perciò scopo della metafisica ricavare la cosa in sé attraverso una interpretazione dell’apparenza. Gli oggetti empirici sono detti a ragione fenomeni; apparenze, ma non perché in essi appaia un noumeno, ma per- ché essi stessi ci appaiono, mentre il noumeno non lo fa»131.

Nietzsche, per parte sua, prende spunto dalle osservazioni di Špir per gio- carle contro Schopenhauer e per andare ancora oltre.

Da ambedue le parti non è stata comunque tenuta in considerazione la possibilità che quel quadro – ciò che per noi oggi si chiama vita ed esperienza – sia divenuto a poco a poco, che sia anzi ancora in pieno divenire, e che non debba essere perciò considerato come grandezza fissa, in base alla quale si possa formulare o anche sol- tanto negare un giudizio sull’autore (la ragion sufficiente). Per il fatto che da mil- lenni abbiamo scrutato il mondo con pretese morali, estetiche e religiose, con cieca inclinazione, passione o paura, e abbiamo straviziato negli eccessi del pensiero non logico, questo mondo è diventato a poco a poco così meravigliosamente variopin- to, terribile, profondo di significato, pieno d’anima e ha acquistato colore – ma i coloristi siamo stati noi: l’intelletto umano ha fatto comparire il fenomeno e ha tra- sferito nelle cose le sue erronee concezione fondamentali. Tardi, molto tardi esso riflette: e ora il mondo dell’esperienza e la cosa in sé gli appaiono così straordina- riamente diversi e separati, che rifiuta di concludere da quello a questa132.

Perciò, dal fatto che per millenni l’uomo ha letto il mondo cercando di adat- tarlo ai propri bisogni e alle proprie richieste, non deriva che il mondo nella

realtà risponda a queste richieste; semplicemente, l’abitudine oramai è tanta,

che siamo per lo più avvezzi a trovare ciò che cerchiamo, senza porci ulteriori domande specie in tema di origine. Né sono legittime – stando all’opinione di Nietzsche – le posizioni di quei logici (ovviamente qui Nietzsche pensa certa- mente anche a Špir) che utilizzano il mancato accordo tra le leggi logiche e la realtà fenomenica come strumento ideologico per screditare quest’ultima e rimandare la vera realtà all’incondizionato.

È ovvio, allora, che anziché cercare nelle cose ciò che noi stessi vi abbiamo posto, sarebbe più utile intraprendere una ricerca orientata ad approfondire la genesi del pensiero, e capace di ridare ai concetti più importanti della nostra logica la loro giusta centralità; scopriremmo in questo modo che la cosa in sé è in buona sostanza un falso problema, uno di quei concetti il cui utilizzo ha moltiplicato gli ordini dei problemi, creandone spesso dei nuovi (per esempio la classica opposizione tra mondo vero e mondo apparente). Adottando una soluzione di evidente stampo neokantiano, Špir ritiene che la cosa in sé non sia una realtà separata, ma che sia nella sostanza il prodotto dell’organizzazione delle nostre percezioni. Ne seguirà che risulta fondamentale stabilire le regole che determinano tale organizzazione133. Queste leggi del pensiero di cui parla

Špir richiamano da vicino gli apriori kantiani e, soprattutto la convinzione che le sensazioni debbano essere organizzate da leggi del pensiero che trascendo- no l’esperienza e che, come tali, sono innate.

Per Nietzsche, all’inverso, l’unico apriori di cui disponiamo è la nostra fisio- logia che, in qualche modo, determina e condiziona la realtà di cui possiamo far esperienza – per esempio, si può ragionevolmente supporre di non possede- re sensi per molte «cose» che ci stanno intorno, così come, analogamente, pos- siamo pensare di possedere una sensibilità tarata su alcune specifiche funzio- nalità (non vediamo tutto ciò che esiste, né percepiamo tutte le lunghezze d’on- da che possono costituire un suono) –; ovviamente, all’interno di una gamma di possibilità predeterminate (i nostri occhi non potranno mai vedere come se fossero dei microscopi), anche i nostri sensi si sono certamente evoluti: per questo si può pensare di ricostruire la loro storia e il loro passato, e di ripercor- rere le origini di tutte le credenze più importanti che riguardano il mondo134.

Analogo discorso vale – stando a Nietzsche – per le regole della logica; anch’essa fondamentalmente legata alle abitudini della nostra conservazione135,

si fonda in ultima istanza sulla fede nella corrispondenza tra i contenuti della coscienza e la realtà esterna. In sostanza, Nietzsche è dell’idea che una certa compulsione biologica che ci spinge, per esempio, a considerare due foglie di una stessa pianta identiche (mentre, nel dettaglio, identiche alla fine probabil- mente non sono mai) è invariabilmente in atto tutte le volte che ci serviamo dei concetti e/o giudizi con cui regolarizziamo e standardizziamo il mondo136:

«problemi della metafisica. Se un giorno sarà scritta la storia della genesi del pensiero, vi sarà anche illuminata da una nuova luce, la seguente posizione di un eccellente logico. “La legge generale originaria del soggetto conoscente con- siste nell’intima necessità di conoscere ogni oggetto in sé, nel proprio essere, come un oggetto identico a se stesso, che esiste quindi di per sé e rimane in fondo sempre uguale e immutabile, insomma come una sostanza»137.

Quest’intima necessità che a Špir pare il segno dell’esistenza dell’incondi- zionato, a Nietzsche pare nient’altro che un autoinganno ben riuscito, attraver- so cui il soggetto ritiene, sbagliando, di incontrare la realtà vera delle cose.