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La migliore delle interpretazioni possibili?

N IETZSCHE : I SUOI INTERPRETI , LE LORO RAGION

1.2. Quando un’ermeneutica diventa violenta: il caso Heidegger

1.2.2. La migliore delle interpretazioni possibili?

Vediamo ora – il nostro secondo punto – qual è il prezzo pagato da Nietzsche per rientrare (e non da comparsa) nella prospettiva heideggeriana. Secondo quel che abbiamo già anticipato, l’interrogazione che Heidegger rivolge a Nietzsche non è neutrale, piuttosto tiene costantemente presente la domanda guida della filosofia heideggeriana riguardo l’ente. Perciò, la questione filosofica di fondo – che tra l’altro mira a ricostruire la metafisica di Nietzsche (qui è interessante rilevare che Heidegger, a differenza di ciò che farà la maggior parte degli inter- preti posteriori, attribuisce al filosofo tedesco una metafisica ben precisa) – interpella Nietzsche soprattutto sulla formazione e sulla struttura dell’ente. Ripercorrendo questo filo conduttore (ci avverte Heidegger) avremo un’idea abbastanza precisa di quello che è il reale percorso filosofico nietzschiano. «Ora sappiamo che Nietzsche dà due risposte riguardo all’ente nel suo insieme: l’en- te nel suo insieme è volontà di potenza; e: l’ente nel suo insieme è eterno ritor- no dell’uguale. Finora, però, l’interpretazione filosofica della filosofia di Nietzsche non è stata in grado di capire queste due risposte contemporanee in

quanto risposte […] perché non conosceva le rispettive domande, cioè non le

dispiegava esplicitamente muovendo dalla domanda-guida dispiegata […]»27.

Dunque, l’eterno ritorno e la volontà di potenza pensano la stessa cosa e, soprattutto, sono le risposte ad un’unica domanda; sono perciò gli Haupttitel della filosofia nietzschiana. La volontà di potenza, in senso heideggeriano, è il princi- pio per una nuova fondazione di valori, e anche, all’opposto, ogni nuova posizio- ne di valori deve avere alla sua origine la volontà di potenza. La volontà di poten- za dunque è alla base della elaborazione di tutte le nuove tavole dei valori, questi, a loro volta sono ciò che fonda la vita, le condizioni imprescindibili perché la vita sia vita. Nietzsche – sempre nella prospettiva aperta da Heidegger – vedrebbe l’es- senza della vita non nell’auto-conservazione della vita stessa (come invece sem- brerebbero fare tanto la biologia quanto l’evoluzionismo), ma nel suo potenziarsi oltre se stessa. In questo senso, solo ciò che potenzia la vita ha valore, anzi secon-

do una prospettiva più aderente, è (un) valore. Inoltre, se la volontà di potenza è il carattere fondamentale dell’ente, è necessario che la si ritrovi in ogni regione dell’ente, dalla natura, all’arte, alla storia, alla scienza, alla conoscenza28.

Domandare perciò con Nietzsche quale è la natura della conoscenza e della scienza, e rispondere che sono entrambe volontà di potenza, significa determi- nare la natura della volontà di potenza. Per Heidegger la riflessione si fa deci- siva nel momento in cui si riferisce alla scienza, ovvero alla realtà teorica che per eccellenza, nella modernità, si occupa del raffronto con l’ente, della sua manipolazione, e che dunque gode di per sé di un rapporto privilegiato con la conoscenza: «la conoscenza è ritenuta nella storia dell’Occidente quel compor- tamento e quell’atteggiamento del rappresentare (Vor-stellen) mediante il quale il vero viene colto e serbato come possesso […] Il vero e il suo possesso […] costituiscono l’essenza della conoscenza. Domandando che cosa sia la cono- scenza si domanda in fondo della verità e della sua essenza»29.

Ricapitolando: se il pensiero fondamentale della metafisica nietzschiana (e, per Heidegger, della metafisica occidentale in genere nella sua fase finale) si struttura come volontà di potenza, allora l’essenza della conoscenza, indi l’essenza della verità, dovrà essere determinata proprio a partire dalla volontà di potenza. In que- sto senso, il nichilismo si annuncerebbe come l’esperienza nietzschiana fonda- mentale, dal momento che può essere inteso come la storia del processo attraver- so cui l’essente, nel suo insieme, si è rivelato come La volontà di potenza. Quindi, i mutamenti delle varie prospettive metafisiche, che Nietzsche riporta sotto il segno del valore, sono il punto di partenza per la scoperta del carattere fondamen- tale dell’essente; ovvero, per la tematizzazione della volontà di potenza che, ovvia- mente, in questi termini non ha nulla a che fare con un principio psicologico, piut- tosto: «essa conformemente al carattere metafisico del pensiero di Nietzsche (e proprio di ogni metafisica è definire l’essere dell’essente nella sua totalità, cioè che cosa è l’essente in quanto tale), indica la “generale costituzione dell’essente”»30.

Arrivare a pensare – come fa Nietzsche – il nichilismo come storia dei valo- ri, significa (dal punto di vista di Heidegger) aver in qualche modo capito che l’essenza dell’essente è proprio nella costituzione di questo processo, che si struttura in tappe successive (la storia dei valori) che altro non sono che la volontà dell’ente di autoperpetuarsi, dunque, ancora una volta, volontà di poten- za. Per realizzare questo percorso la volontà ha bisogno di porre dei punti fermi e insieme di prefigurare delle possibilità di nuove posizioni. Per questo la veri- tà corrisponde prima di tutto la conservazione delle posizioni via via raggiunte; e, ancora per questo, Nietzsche rimarrebbe ancorato alla verità in senso tradizio- nale (metafisico), che è anzitutto ricerca di stabilizzazione: si cerca la stabilità per poi poterla superare. Ogni metafisica però mentre istituisce un preciso rap- porto tra essere ed ente, dimentica anche sempre l’essere, nasce cioè sempre come problema dell’essere dell’ente; tuttavia, nel porre la differenza ontologi- ca, subito anche la dimentica. Tale processo (le cui radici sarebbero già, secon-

do l’elaborazione heideggeriana, nel primo pensiero greco, per poi continuare in Platone e Aristotele, e, nella modernità, in Cartesio e Leibniz, oltre che in Schelling e Hegel) avrebbe trovato in Nietzsche l’estremo tentativo di sintesi, tanto che questa volontà, che si è venuta gradualmente chiarendo nel corso sto- rico come l’essenza dell’essere, diventerà l’unico principio possibile.

Ma perché proprio a Nietzsche spetterebbe il compito di por termine alla storia della metafisica? Perché, ci dice Heidegger, la metafisica (ogni metafisi- ca) è possibile solamente fintanto che l’oblio dell’essere da parte dell’ente rimane celato. Essa nasce dalla distinzione tra essere ed essente, e si conserva soltanto fino a che tale distinzione in qualche modo continua a perpetuarsi: «Heidegger dichiara ripetutamente che nella dottrina nietzschiana dell’eterno ritorno come existentia dell’essentia Wille zur Macht cade proprio la distinzio- ne tradizionale tra i due termini e quindi uno dei capisaldi della metafisica. […] In Nietzsche con la scomparsa della distinzione tra essenza ed esistenza, spari- sce anche l’ultimo ricordo della differenza ontologica che, pur nell’oblio del- l’essere, rendeva ancora possibile la metafisica»31.

Dunque, dopo Nietzsche la metafisica non è più possibile, perché è a partire da lui che si consuma interamente la differenza ontologica, con la conseguenza (nota- ta anche da Gianni Vattimo nella sua lettura del Nietzsche di Heidegger) che proprio quest’assottigliamento della differenza ontologica apre la strada all’organizzazione globale e tecnicistica dell’ente. Perciò, la volontà di volontà si limita a lasciar spa- zio al suo perpetuarsi scientificamente organizzato attraverso la tecnica moderna.

E siamo arrivati a un altro dei punti nodali del pensiero heideggeriano che, come si vede, si riallaccia perfettamente all’interpretazione di Nietzsche: la polemica nei confronti del tecnicismo pianificante e oggettivante (in fondo, e più radicalmente, sta- bilizzante), della tarda modernità. E proprio il rapporto che Nietzsche avrebbe avuto con la scienza (che Heidegger considera la premessa teorica al tecnicismo, nell’acce- zione di sistemazione calcolante) forma uno dei problemi teorici che in Heidegger hanno maggior peso, e che per altro mi porterà direttamente al terzo punto.

Nel quadro interpretativo costruito dal filosofo tedesco – in cui Nietzsche sembra rientrare in modo del tutto funzionale – un posto particolare spetta a quel- lo che Heidegger definisce «il preteso biologismo di Nietzsche»32. Perché, ci si

può chiedere, Heidegger dedica tanto spazio e tanta attenzione per stabilire che il percorso teorico nietzschiano non può avere nulla in comune con un’idea del- l’ente di matrice biologica e, più in generale, con la scienza? Comprendere le ragioni della scelta di Heidegger è centrale per seguire non solo il suo discorso, ma anche gli orientamenti di tutti quegli interpreti che hanno avallato e seguito la medesima linea interpretativa; perciò converrà tornare ai testi.

Innanzitutto domandiamoci, sulla scorta delle considerazioni che ho elaborato sin qui, quale è l’idea heideggeriana di scienza33. «In che consiste l’essenza della

scienza moderna? Quale concezione dell’ente e della verità danno fondamento a quest’essenza? Se ci riuscirà di penetrare nel fondamento metafisico che sta alla

base della scienza moderna, ci sarà possibile, da esso, gettare uno sguardo sull’es- senza del Mondo Moderno stesso»34. Dunque, la scienza come manifestazione

importante (anzi, a ben guardare probabilmente la più importante) della fase fina- le della metafisica moderna35. Il pensiero scientifico si fonda su di una specifica

interpretazione dell’ente; per questo sarebbe sbagliato ritenere che la scienza moderna sia più giusta di quella antica (ad esempio la greca). Piuttosto, va rileva- to come le due prospettive si basino su di una diversa interpretazione dell’ente – in breve, Galileo avrebbe elaborato una lettura degli enti sostanzialmente differen- te rispetto a quella di Aristotele. In questo senso, la diversità di maggior rilievo tra antichità e modernità è probabilmente nella funzione della ricerca, dal momento che «l’essenza di ciò che oggi si chiama scienza è la ricerca»36.

Il carattere costitutivo della ricerca è l’elaborazione del progetto che, di fatto, la precede e che delimita e delinea senso e direzione della ricerca stessa: il suo compito è di rendere conosciuto il non-conosciuto operando nel senso della stabilizzazione. I fatti hanno la necessità di accedere alla rappresentazio- ne, cosa che è possibile solamente a partire da ciò che è già chiaro: «questa [la spiegazione] ha sempre un duplice aspetto. Dà fondamento a qualcosa di non conosciuto e, contemporaneamente, verifica questo conosciuto attraverso quel non-conosciuto»37. Questa verifica è poi resa possibile dall’esperimento che,

per sua natura, non fa altro che portare alla formulazione della legge.

La rappresentazione da cui ha inizio l’esperimento non è mai arbitraria e non ha nulla in comune con l’immaginazione, piuttosto le ipotesi vengono ricavate dal progetto di partenza e iscritte in esso; in questo senso, l’esperimento è ovviamen- te guidato dalla legge ipotizzata, e mira a trovare fatti che la verifichino. Ora, e qui sta l’elemento fondamentale, la scienza in genere non progetta mai tutto l’ente, al contrario, attraverso le sue molteplici suddivisioni regionali, si incarica di proget- tarne una parte. La tendenza specialistica non si configura perciò come un inci- dente di percorso nell’ambito dello sviluppo delle scienze occidentali, ma, più verosimilmente, come l’elemento essenziale per il progresso delle scienze stesse.

Com’è facile intuire dai presupposti heideggeriani, fintanto che la scienza seguirà la strada della ricerca specialistica e settoriale sull’ente (e la cosa non può, né potrà mai andare diversamente da così, perché questo, a giudizio di Heidegger, è ciò che è richiesto dal corso stesso della metafisica occidentale) nessuna indagine scientifica sarà mai in grado di dirci l’essenziale e l’origina- rio su ciò che riguarda l’ente e, soprattutto, sull’essere che lo fonda. Quindi, in altre parole, la scienza sarà sempre una forma di indagine derivata; il che vuol anche dire che non è attraverso una ricerca con la scienza o per mezzo della scienza che sarà possibile comprendere qualcosa di più sul senso dell’ente e sulla perdita dell’essere nella metafisica moderna. Piuttosto, è la scienza stes- sa (e la tecnica che ne deriva) a costituire il risultato più diretto ed evidente di una determinata interpretazione – metafisica – dell’ente; l’ente viene ridotto ad oggetto dall’uomo nella rappresentazione, e questa riduzione si rivela del tutto

funzionale alla manipolazione tecnico-scientifica dell’ente stesso38. Nella lotta

per il dominio delle visioni del mondo, l’uomo pone in campo il potere dei cal- coli e della progettazione illimitata della scienza.

Dunque, la scienza caratterizza in senso derivato e soprattutto negativo la meta- fisica del mondo moderno, e svolge un ruolo del tutto funzionale alla rappresen- tabilità dell’ente; non le si può quindi chiedere un’indagine che in qualche modo prescinda da quella settorialità regionalistica che le è per forza di cose connatura- ta: «ogni scienza, al di là di una mera raccolta di nozioni, è sapere, cioè custodia di una conoscenza genuina […] soltanto nella misura in cui essa […] pensa meta- fisicamente. Ogni scienza, al di là del padroneggiamento meramente calcolativo di una regione, è un sapere genuino soltanto nella misura in cui si fonda metafisi- camente – oppure ha capito che questa fondazione è una necessità inamovibile per la sua sussistenza essenziale»39. Un po’ come sostenere che ogni scienza è sapere

reale solamente nella misura in cui è anche metafisica; il che vuole soprattutto dire che, da sola, la scienza non è mai in grado di ripensare i presupposti teorici che la fondano e che concernono, non solamente un ambito specificatamente teorico e produttivo, ma, più in generale, una specifica regione dell’ente – «l’errore del bio- logismo non è solo la trasposizione e l’infondata estensione di concetti e tesi dalla regione di pertinenza del vivente al rimanente ente, ma l’errore sta già nel misco- noscere il carattere metafisico delle tesi regionali mediante le quali già ogni bio- logia genuina, limitata alla sua regione, rinvia oltre se stessa e dimostra quindi che essa, in quanto scienza, non può mai, con i propri mezzi, essere signora della sua essenza propria. Il biologismo non è tanto la degenerazione senza limiti del pen- siero biologico, quanto piuttosto la completa ignoranza del fatto che già lo stesso pensiero biologico può essere fondato e deciso soltanto nell’ambito metafisico e non può mai giustificare se stesso scientificamente»40.

Ogni scienza rimanda dunque alla metafisica che la apre e che la fonda. Va da sé perciò che, secondo Heidegger, l’approccio nietzschiano non può essere in senso specifico biologista, perché altrimenti Nietzsche si manterrebbe in una zona di pensiero derivata rispetto a quella più propriamente filosofica. È da notare che qui Heidegger si preoccupa di dimostrare l’insostenibilità di una tesi interpretativa condivisa da molti, e che proprio in quegli anni si stava afferman- do piuttosto agevolmente e anche, mi sembra, ragionevolmente: e cioè l’idea che Nietzsche durante tutto l’arco della sua attività produttiva abbia mantenu- to un dialogo aperto con le scienze41della natura, e certo non per una curiosi-

tà sterile e dilettantistica, ma per il concreto tentativo di elaborare una riflessio- ne filosofica il più possibile aperta alle indicazioni delle scienze. Non alle indi- cazioni dei singoli risultati concreti dettagliati dalle scienze (ovviamente Nietzsche non avrebbe nemmeno avuto la preparazione specifica per questo) ma di certo alle scelte teoriche prefigurate dalle scienze sette-ottocentesche.

Contrariamente ad Heidegger, alcuni autorevoli interpreti che lo hanno prece- duto sostengono che Nietzsche ha cercato costantemente e continuamente il con-

fronto con le scienze ottocentesche (la biologia, ma anche la fisica, l’astronomia e, in termini più generali, la matematica), per costruire una metafisica consona alle posizioni espresse dalle più importanti scienze positive42. Ora, questa assunzione

è ovviamente carica di tutta una serie di conseguenze che investono, da un lato, lo specifico dell’esegesi nietzschiana – in qualche modo si impone all’interprete di ripensare il senso complessivo del pensiero di Nietzsche e dei rapporti che la riflessione filosofica contemporanea ha instaurato con il suo pensiero – dall’altro il versante della lettura heideggeriana43e, in genere, dell’approccio ermeneutico.

Incomincerò dal problema Heidegger, mentre dell’altra questione cercherò di venire in chiaro solo dopo aver ripensato gli elementi essenziali della rifles- sione nietzschiana (infra, 1.4).

Da un punto di vista interpretativo la domanda che a questo livello mi pare essenziale è grosso modo questa: per quale motivo l’interesse di Nietzsche per la scienza, che formava uno degli elementi centrali delle interpretazioni pre- heideggeriane, è stato gradualmente accantonato? Quali sono state le ragioni teoriche alla base di questa specifica scelta che è stata, come ho tentato fin qui di mostrare, profondamente teorica?

Converrà ovviamente ritornare all’interpretazione heideggeriana e, nello spe- cifico, all’idea che Heidegger aveva della scienza – idea che, come vedremo, il filosofo tedesco non mancherà di retroflettere sulla sua esegesi del pensiero di Nietzsche. Heidegger, in pratica, non ha fatto altro che utilizzare alcuni dei pro- pri presupposti teorici sulla scienza moderna – intesa come il simbolo per eccel- lenza di un processo di progressiva oggettivazione dell’ente da parte dell’uomo, e di deriva e di oblio del senso e dell’apertura in cui si dà l’essere – imponen- doli alla struttura stessa del pensiero nietzschiano: «la scienza della natura fa necessariamente uso di una determinata idea di forza, di movimento, di spazio e di tempo, ma non può mai dire che cosa siano la forza, il movimento, lo spa- zio e il tempo, poiché essa, finché rimane scienza della natura e non compie improvvisamente il passaggio alla filosofia, non può domandare tutto ciò»44.

La centralità del passo appena riportato è abbastanza perspicua dal momen- to che non dà luogo solamente ad un problema storiografico e interpretativo (cosa pensasse Heidegger della scienza) che riguarderebbe, come tale, soprat- tutto la storia della filosofia. In realtà, qui ne va della stessa struttura teorica della speculazione nietzschiana, oltre che dei suoi obiettivi e del suo significa- to complessivo, proprio perché l’interpretazione heideggeriana di Nietzsche non intende essere solo una parte (per altro consistente) dell’impianto filosofi- co di Heidegger – ovvero, non è fondamentale solamente per gli studiosi di Heidegger – ma ha giocato e continua a giocare un ruolo decisivo nell’econo- mia della direzione presa dalle recenti ermeneutiche nietzschiane. Quindi, gio- coforza, ha assunto essa stessa una funzione storiografica fondamentale.

Perciò, non si possono liquidare i problemi di misinterpretazione interni al

(come del resto sottolinea a più riprese Heidegger stesso) non intende assumer- si delle finalità storiografiche, bensì teoriche in senso stretto, semplicemente perché le «ricadute» dell’interpretazione heideggeriana di fatto sono state evi- denti e profonde, tanto in ambito storiografico, quanto, di rimando, in sede teo- rica. Tali ricadute storiografiche poi sono più consistenti proprio all’interno del- l’implicito sillogismo che Heidegger costruisce a spese di Nietzsche: questi sarebbe un pensatore ancora profondamente metafisico (anzi addirittura, stando a Heidegger, l’ultimo dei metafisici), la scienza, a sua volta, occupa un ambito regionale, il che vuol dire che è derivata rispetto alla metafisica, quindi – e si tratta del punto che verrà assunto in modo del tutto irriflesso dalla maggior parte delle ermeneutiche posteriori – la speculazione di Nietzsche può essere riporta- ta alla scienza solo a prezzo di un grave fraintendimento filosofico.

A questo proposito è interessante rilevare che Heidegger, a differenza degli interpreti che lo seguiranno, si accorge dei legami di Nietzsche con la scienza e dei suoi interessi per questioni in genere epistemologiche, e che proprio per questa ragione nega che l’attenzione verso problematiche largamente scientifi- che possa essere una parte sostanziale del pensiero nietzschiano, convinto (e crediamo a ragione) che su questo punto ne vada del senso complessivo della speculazione di Nietzsche45. Ovviamente, per legittimare il proprio percorso

interpretativo, Heidegger omette del tutto (e non è solo una questione di suffi- cienza storicistica) di discutere alcuni, importanti, riferimenti teorici di Nietzsche, e anzi fa molto di più allorché associa Nietzsche a percorsi filosofi- ci che gli sono relativamente estranei – almeno (o forse soprattutto) nella dire- zione indicata da Heidegger: si pensi per esempio alle riflessioni heideggeria- ne su Aristotele e Nietzsche o a tutto il lavoro che nel Nietzsche è dedicato a Platone e a Descartes. In questa prospettiva, nulla di più assurdo per Heidegger di una filosofia che cerchi conferma nelle scienze della natura, come per altro Nietzsche, in più di un caso, sembra fare – il pensiero corre immediatamente al problema dell’eterno ritorno, ma, come vedremo, il Nietzsche sembra essersi costantemente impegnato nel tentativo di costruire un’ontologia che tenga in debito conto tanto dei risultati delle scienze positive, quanto di quelli dell’epi-