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Il Dante di Modena

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 182-200)

Le Dantate costituiscono forse la cosa più compiutamente politica con la quale Modena si cimenti nel corso della sua vita. Una realizza- zione in cui, proprio per questo, contenuto e forma, le parole dette e il modo di dirle meglio convivono, rafforzandosi e giustificandosi a vicenda.

Si tratta di uno dei vertici dell’arte modeniana, insieme al Saul e al

Luigi XI.

Le prime rappresentazioni di cui abbiamo notizia risalgono agli an- ni dell’esilio. Come si è già detto, Modena recita Dante a Parigi fra il 1835 e il 1836. Poi a Londra, nel maggio 1839, poco prima del rimpa- trio in Italia. A partire dall’autunno di quello stesso anno le Dantate entrano stabilmente a far parte del suo repertorio, sin dalle recite del settembre a Padova e Venezia58.

La novità della “nuova scuola” di cui Modena si fa portatore alla ripresa dell’attività teatrale assume un rilievo del tutto speciale pro- prio con gli “esperimenti di recitazione”59in cui l’attore declama i

versi della Divina Commedia.

Non che in quegli anni recitare versi fosse inusuale, ma è ancora una volta il particolare modo in cui Modena affronta l’impresa (“una maniera originale davvero” annota Imperatori60) che fa scrivere ai re-

censori di un vero e proprio “nuovo genere di rappresentazione”61.

L’attore si presenta in scena in costume, “vestito” come Dante, e nell’atto di comporre i versi.

62 [Sia], Esperimento di declamazione, cit.

63 C. Meldolesi, R. M. Molinari, Il lavoro del dramaturg, cit., p. 81. 64 G.I., Gustavo Modena al teatro Carcano, cit.

65 W., Critica teatrale, in “Il Vaglio”, 25 giugno 1844.

66 Questa novità nell’approccio al verso viene rapidamente ripresa da alcune com- pagnie che provano a sfruttare a proprio favore il successo ottenuto da Modena. La compagnia Zoppetti, diretta da Antonio Riva, annunciando un corso di rappresenta- zioni a Reggio Emilia nel giugno del 1840, informa il pubblico che per sole due sere il capocomico avrebbe declamato “nel framezzo della rappresentazione” alcuni versi del- la Divina Commedia “vestito in istretto costume, difficilissimo esperimento approvato ed introdotto da poco in Italia” con “Dante appoggiato ad un tronco” che “detta” a un “genio” seduto su un “sasso” (l’episodio è citato in D. Seragnoli, L’industria del tea-

tro. Carlo Ritorni e lo spettacolo a Reggio Emilia nell’Ottocento, Il Mulino, Bologna

1987, p. 151; devo a Livia Cavaglieri la segnalazione di questo episodio in relazione alle Dantate modeniane).

Egli è Dante che qua e là rivede alcuni passi della Divina Commedia, e gli declama [sic], o piuttosto gli recita seguendo l’impeto della fantasia non già l’ordine del Poema. Il suo abito è in costume, e precisamente conforme, se la memoria non mi tradisce, al quadro che ci rappresenta l’Alighieri nel Duomo di Firenze. Con varj rotoli di carta tra mano egli siede sopra un sasso in luogo romito, selvaggio, che alla tua immaginazione può ben ricordare o gli orrori di Fonte Avellana, o le rovine di Tolmino, o qual altra siasi [sic] solitudine in cui Dante abbia meditato il poema sacro […]. Poco lungi da esso una donna, in cui vuolsi forse rappresentare la immortalità, sta incidendo sul bronzo i versi del divino Poeta62.

Il quadro appena descritto varia in realtà nel corso del tempo. La scenografia muta (non sempre troviamo i “sassi” ma la rappresenta- zione mantiene un carattere essenziale) e anche la figura che lo affian- ca non è ogni volta la stessa, e in qualche circostanza manca. La don- na (che è probabilmente Giulia Calame, la moglie di Gustavo63) in al-

cuni casi viene sostituita da un “amanuense”, che trascrive “in un an- golo della scena” i versi composti dal poeta64, in altri è assente ed è lo

stesso Modena a vergare sui “fogli” il dettato dantesco65.

Quando progetta di recitare Dante, Modena non pensa semplice- mente alla declamazione del verso (come normalmente accade in que- sti anni) ma ai diversi aspetti della rappresentazione nel suo insieme. Egli, qui come altrove (lo vedremo nel prossimo capitolo), non si fa soltanto autore della propria esibizione d’attore ma cerca di proporsi come l’artefice di un’opera complessiva, che prevede un quadro sceni- co articolato66. E se la cosa non riesce a svilupparsi quanto Modena Arte e politica: le Dantate 183

67 Lettera a G. B. Savon [?] del 1856 [?], ora in E, p. 249. 68 Ibidem.

69 [Sia], Esperimento di declamazione, cit.

70 O. Brizzi, Recitazione del Dante in Arezzo, in “Indicatore pisano”, n.25, 1841. 71 [Sia], Appendice. Ciarle del lunedì, in “Il Risorgimento”, 23 aprile 1856.

stesso avrebbe voluto (con musiche e scenografie scelte appositamen- te, attori e cantanti67) è perché

questa poetica idea non si realizza senza “Il fondamento che Natura pone”, fondamento materiale infernale d’ogni celestiale poesia: senza molto denaro68.

La scelta di presentarsi in scena in costume, recitando il personag- gio di Dante che compone i propri versi, risponde a un’esigenza pre- cisa. L’intenzione è di dare al pubblico qualcosa di diverso da ciò che questi si aspetta, di spiazzarne le attese, di indurlo per questa via a “pensare”.

Intanto Modena evidenzia così la dimensione artificiale dell’arte, la sua non naturalità, il suo carattere costruito. Il Dante di Modena è raffigurato nell’atto della creazione artistica. I versi sono “ora medita- ti, ora letti, ora come ispirati dalla fervida fantasia”69. A volte Dante-

Modena corregge il testo che scrive, lo modifica, come a voler intro- durre gli spettatori nell’“officina” dantesca: “Egli […] muovesi a len- to passo, s’asside, si rialza, medita, s’ispira, scrive, cancella, rilegge, crea”70. I versi “sublimi” della Commedia, che buona parte degli spet-

tatori conosce a memoria, sono pur sempre versi scritti da un uomo del proprio tempo che li ha composti così ma avrebbe potuto anche comporli diversamente.

Io non vedeva in lui l’artista, che avesse la pretensione cogli spostamenti delle braccia, colle stonature della voce e cogli sgangheramenti della faccia, di farci la geroglifica rappresentazione degli enti fantastici della Divina Comme- dia, ma vedevo nell’artista il poeta che si compiaceva di contemplare la pro- pria creazione, e che nel ripetersela, risentiva le trepide gioie del plasmarne e vivificarne i concetti71.

In secondo luogo, vestirsi come Dante ha paradossalmente l’effetto di “avvicinare” Dante al pubblico, di portare la figura del “divino poeta” nella contemporaneità, anche nella contemporaneità politica: di far coincidere Dante con Modena. Come già abbiamo osservato a proposito di altri personaggi, anche in questo caso non è Modena a trasfigurarsi, diventando Dante, poiché accade piuttosto il contrario:

72 G.I., Gustavo Modena al Teatro Carcano, in “La Moda”, 20 gennaio 1840. 73 T., Notizie teatrali, in “Corriere delle dame”, 28 febbraio 1842.

74 Scrive Pezzi nel gennaio 1840 in conclusione della sua recensione molto per- plessa sul “nuovo genere di declamazione” a cui ha assistito: “Ove poi Modena voglia assolutamente continuare in questa sua nuova carriera, noi oseremo pregarlo di fare il sagrifizio della sua barba e de’ suoi mustacchi per non offerire sulle scene ad un Pub- blico intelligente la figura di Dante con una testa da Beduino” (Pezzi, Declamazione, in “Glissons, n’appuyons pas”, 25 genaio 1840. Vedi anche, per un altro esempio: w., Cri-

tica teatrale, in “Il Vaglio”, 25 giugno 1844).

75 G. Modena, Il catolicismo di Dante, ora in S, p. 302. 76 [Sia], Appendice. Ciarle del lunedì, cit.

77 W., Critica teatrale, in “Il Vaglio”, 25 giugno 1844.

è Dante, grazie alle forza dell’attore, alla sua volontà caparbia (che piega a sé il personaggio), a trasformarsi in Modena. Pur assumendo le sembianze del poeta, quest’ultimo fa sempre volutamente capolino sotto il costume dantesco.

Ci sono innanzi tutto le fattezze fisiche a evidenziarlo: “se la natura lo avesse favorito di una fisionomia più opportuna a ricordare almeno in parte quella tanto nota del divino poeta, certo l’effetto da lui pro- dotto sarebbe stato più grande”72. Il modo di presentarsi in scena del-

l’attore sottolinea poi ulteriormente questa circostanza: la barba e i baffi, per esempio, che nonostante le proteste dei recensori fin dalle prime dantate (nuocciono alla “verità dell’imitazione”73), Modena

mantiene volutamente nel corso degli anni, incurante delle censure74.

Ci sono poi alcuni gesti che evidenziano in scena la presenza spiaz- zante dell’attore, collocando in primo piano Modena a discapito della “finzione”. Qualche recensore – “insieme ai più alti encomj”, come annota Macchi75– lo annovera fra i pochi “difetti” della sua interpre-

tazione: “uno – si legge sul “Risorgimento” – è quello di scordare qualche volta il poeta, che rammenta se stesso per fare l’artista dram- matico, che vuole rappresentare in sé uomini e cose”76.

Un altro recensore scrive che “non tutte le sue arti appariscono sempre senz’arte”, lamentando nell’uso che Modena fa della penna per scrivere, o nel suo reiterato stracciare i fogli di carta, un distanziar- si dalla giusta rappresentazione del “poeta che ripete i suoi Canti”:

No, no, s’accerti il Modena, la penna non gli è necessaria, né si conviene. Rappresenti veramente il poeta che ripete i suoi Canti, e non cerchi che di te- nersi rigorosamente entro i limiti di questa finzione. Ed allora vedrà pure, che non si addice quello insignificante stracciar della carta ch’ei fa in vari punti della sua recitazione, e che distoglie, diremo quasi, l’attenzione al soggetto, per non dire che muova a riso77.

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78 [Sia], Appendice. Ciarle del lunedì., cit. 79 G. Modena, Il catolicismo di Dante, cit., p. 303.

80 Lettera a Salvatore De Benedetti del dicembre 1859, ora in S, p. 308.

81 Vedi, fra gli altri, i due importanti interventi di Mazzini Dell’amor patrio di Dan-

te (1826-27) e Dante (1841) (in Id., Scritti editi ed inediti, cit.).

Torneremo su queste parole, che, alludendo al “riso”, preannuncia- no il tratto grottesco delle Dantate. Limitiamoci per ora a rilevare la forte sottolineatura della presenza dell’attore in scena, pur sotto il sembiante dantesco.

Modena ha l’esigenza di collocare un “uomo di parte” come Dante nella contemporaneità, per valorizzarne al massimo la forza critica e il potenziale dirompente rispetto all’attualità politica. Per questo consi- dera molto importante la sovrapposizione fra se stesso e Dante, per- ché proprio quella circostanza dovrebbe consentire di non distingue- re più fra i due, pur mantenendo l’uno separato dall’altro: Modena in scena è Dante, come Dante oggi sarebbe Modena. Si verifica una stra- na “rifrazione di raggi” – scrive il “Risorgimento” – per cui l’attore riesce a “far vedere contemporaneamente il Modena vestito da Dante e Dante vestito da Modena”78.

Leggiamo ciò che scrive l’attore stesso:

Dante, nel suo poema, è uomo; uomo primitivo; tutto uomo, senza velo, senza cipria, rabbioso, altero, intollerante; e deride, e strapazza, e parla, e trulla, secondo che gli frulla, proprio come farei io, se avessi il suo genio poe- tico, e mi sentissi lena da inventare un inferno per i dottrinarii moderati – op- portunisti – caudati79.

E ancora:

Povero Dante! […] Le speranze rinascenti in lui a quando a quando, e ri- solte sempre in delusioni, riaccendevano la sua bile fremente, ed egli allora disacerbava il dolore collocando nuovi uomini e nuove cose nel vasto quadro della sua commedia, la quale fu per lui un registro aperto alla sola vendetta possibile, quella delle parole. Ecco perché io credo di non poter meglio chia- rire l’idea informatrice e gli episodi del poema, che figurando in me la perso- na del Poeta mentre ruguma, corregge e completa il suo lavoro. I nostri odier- ni dolori spiegano assai meglio la Divina Commedia, che non la parola morta delle glosse80.

Il Dante di Modena è significativamente distante dal Dante a cui guarda Mazzini, campione dell’“amor patrio” e di una vibrante ten- sione all’unità d’Italia81.

82 [Sia], Appendice. Ciarle del lunedì, cit. 83 G. Modena, Il catolicismo di Dante, cit., p. 303.

84 Lettera a Giovanni Tadolini del 28 aprile 1837, ora in E, p. 25. 85 G. Modena, Il catolicismo di Dante, cit., p. 303.

86 [Sia], Appendice. Ciarle del lunedì, cit.

87 Lettera a Zanobi Bicchierai del 16 luglio 1841, ora in E, p. 39. 88 [Sia], Appendice. Ciarle del lunedì, cit. (i corsivi sono nel testo) 89 G. Modena, Il catolicismo di Dante, cit., p. 303.

Modena consegna al pubblico un Dante dal ghigno feroce, rabbio- so, veemente, un “moderno uomo di parte dall’ira beffarda”82, tutto

rivolto a “irridere” duramente il potere temporale della Chiesa e a sollecitare nel pubblico – come “personaggio nel suo poema”83– una

lettura grottesca (e perciò critica) di quello che Modena stesso consi- dera un “dramma serio e buffo”84.

Gli spettatori si trovano così di fronte a una recitazione intensa, coinvolgente, caratterizzata dall’espressione di un forte sentimento che unisce “ira” e “scherno”85.

Come quando Modena, osservando la pena di Papa Niccolò III, con una della sue “rivelazioni”, si “frega[…] le mani con satirico riso e con comico e basso atteggiamento”, destando più di una perplessità in alcuni commentatori, che preferirebbero maggiore “riverenza” piuttosto che lo “scherno dell’uomo di parte”86.

O come, poco prima, recitando nello stesso Canto (il XIX dell’In-

ferno) il celebre passo sul potere temporale della Chiesa:

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote.

Qui Modena – “con gran gioia della mia bile, e del popolo che ascoltava”87scrive egli stesso – sostituisce all’ultimo verso le parole “e

la tua conversion e quella dote”, fingendo subito dopo un errore e ri- pristinando il dettato originale, suscitando un riso “storto” degli spet- tatori:

com’è permesso di rappresentare il cattolico Dante volterrianizzando la […] terzina? […] Gli è ben vero che fingendo error di memoria, quasi tra pa- rentesi, si corresse e tutti ne risero, dopo il gran plauso d’attualità. Ma ad ogni modo fu disdicevole […]88.

L’attore considera Dante un “eretico”89e si incarica di “liberare”,

attraverso alcune sue rivelazioni sceniche, tutto il potenziale critico di cui il poema, su questo piano, è capace.

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90 G.C., Teatro Lentasio – Gustavo Modena, in “Figaro”, 2 marzo 1842. 91 T., Notizie teatrali, in “Corriere delle dame”, 28 febbraio 1842. 92 G. Modena, Il catolicismo di Dante, cit., p. 303.

93 Ibidem. 94 Ibidem.

95 Lettera a Zanobi Bicchierai del 16 luglio 1841, ora in E, p. 39. 96 Ibidem.

Una recitazione che si fa dunque graffiante, e che non risparmia al- cuni passaggi “al dir di taluno, talvolta troppo ardit[i]”90 o qualche

gesto giudicato “forse un po’ spinto, o troppo materiale”91.

Modena tiene molto al carattere irriverente, eccessivo, profonda- mente di parte della Commedia: “Tutto il poema è ira, scherno, sfogo di passioni sue di lui… ed ERESIA. Dante è sempre uomo di partito”92. E ancora, in una lettera che l’attore scrive proprio per ri-

battere ad alcune delle critiche formulategli:

[Dante] si compiace delle pene, che accocca a coloro che odia, e Dio ne lo- da e ne ringrazia, e li prende per la cuticagna, e vi torna sopra, e dice: Ben ti sta. Fa le sue riserve d’artificio rettorico, dicendo: non so se fui troppo folle a dir co- sì, e userei parole più gravi se…, ma poi dice sassate, e si sciacqua la bocca93.

E con riferimento esplicito al Canto dei simoniaci e al modo in cui egli stesso lo recita:

dopo che la fantasia gli ebbe suggerito quel comico propaginamento dei papi, e quelle solette calde, si fregò le mani per gusto feroce. Gnorsì: lo affer- mo come lo avessi veduto. E sai che così che me lo rivela? Le parole che usa. Mentre io gli cantava cotai note: non diceva, ma cantava; lo canzona, capisci? E dice: spingava per spingeva, e piote per piedi: termini derisorii, presi dal po- polo di Verona, dove prese un quarto del suo dizionario94.

Ed ecco un altro tasto sul quale Modena batte con insistenza: il ca- rattere “popolare” della Divina Commedia.

Dante infatti, secondo l’attore, è “il più popolare”: “perché chi è grande, grandissimo, è sempre popolare: sono i mezzi ingegni che so- no oscuri, e cercano d’esserlo”95.

Per Modena parlare al “popolo” e cercare di farsi intendere è diri- mente. Non perché egli si faccia soverchie illusioni sui risultati:

ho detto il canto dei Simoniaci […]. Quando dissi: O Costantin di quanto mal… il pubblico applaudì frenetico – ma tutti andarono a cena, e il Papa sta, e se ne buggera delle chiacchiere96.

Ma perché non trova alternative alla necessità di stimolare la facoltà

97 Lettera a Zanobi Bicchierai del 6 giugno 1841, ora in E, p. 34. 98 G. Modena, Il catolicismo di Dante, cit., p. 303.

99 Un carattere talmente insistito, questo, che Modena stesso si chiede a volte se non risulti eccessivo: “Se sapessi quante volte mi arrabbio, con me, per questa recita- zione di Dante, che mi fa scivolare nel brutto vizio di telegrafare e gesticolare come un lazzarone!” (Ibidem).

100G. S-a., Dell’arte comica in Italia e di Gustavo Modena, in “Rivista europea”, II trimestre 1843, p. 115.

101Ibidem.

102[Sia], Appendice. Ciarle del lunedì, cit. (i corsivi sono nel testo)

critica in un pubblico che “cresc[e] e viv[e] nella crassa, stupida, feroce e vile ignoranza in cui si svoltola come in un letto di rose”97.

Perciò è molto importate farsi ben capire dagli spettatori (“ho sempre paura che il colto pubblico non intenda”98). In questo senso

le Dantate assumono davvero un accento popolare, che si traduce stili- sticamente in una recitazione dal tratto fortemente didascalico99.

Quel carattere intenso e coinvolgente della presenza scenica mode- niana di cui abbiamo detto trova così una sorta di contraltare nella corda più asciutta e sobria che qui fa capolino.

Modena “spiega” Dante, “dipinge [il poema] e quasi lo scolpisce dinanzi ‘a suoi spettatori” e lo “raffigura in tante scene d’un bello vi- sibile, sovranamente proporzionato all’intendimento popolare”100.

La “poesia” di Dante esce così “dalla sua bocca quasi trasfigurata” in un sentimento che è insieme “più forte” e “più gentile”101.

Se la rabbia di Dante è qui sottolineata e rafforzata, giungendo al gesto “forse un po’ spinto”, la declamazione è poi talmente chiara, scolpita, cristallina, che finisce paradossalmente per ingentilire il verso.

udii e vidi altri declamatori farmi ad ogni verso… accenti d’ira, voci alte e fioche e suon di man con elle, i quali mi mandavano nell’orecchio e nell’animo un gran tumulto, ma poi mi lasciavano d’error la testa cinta, mentre quest’uo- mo con molta parsimonia di movimenti, con poca varietà di toni, giungeva a far comprendere, non a me solo, ma all’accolta d’un miliaio [sic] di persone tutta la serie delle immagini dantesche come appalesavasi dai vari fremiti del- l’assemblea a certi passi per finezza di osservazione ed elaboratezza di dizione astrusi, resi dal Modena, col commento della sua rivelatrice potenza rappre- sentativa, facili ed ovvii alle teste più indotte e disattente102.

Modena, scrive altrove Imperatori, colpisce “l’orecchio e la mente” dello spettatore con una “voce dolce ed insinuante”, una “maniera inaspettata di colorir la dizione”, un “parco gestire” e soprattutto con un “singolar e giusto modo di analizzare a così dire in ogni sua più

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103G.I., Gustavo Modena al teatro Carcano, in “La Moda”, 20 gennaio 1840. 104A. Bocchi, Declamazione, in “Il Vaglio”, 21 settembre 1839.

105Lettera di Mauro Macchi ad Ausonio Franchi del 16 maggio 1856, ora in S, p. 302.

106V. Andrei, Gli attori italiani, cit., p. 16. Vedi per esempio G. Mazzoni, Dante

nell’Ottocento e nel Novecento, in Studi su Dante. Dante nel Risorgimento, Hoepli, Mi-

lano 1941.

107W., Declamazione. Gustavo Modena, in “La Fama”, 24 gennaio 1840.

108G.I., Teatro Re. Drammatica Compagnia Lancetti, in “La Moda”, 14 settembre 1840.

piccola parte i mirabili concetti del poeta, rendendoli facili, piani, ac- cessibili, e serbando ad essi nel medesimo tempo tutto il vigore della ritmica forma”103.

I versi vengono restituiti al pubblico “facili” ed “ovvii” e allo stes- so tempo impreziositi dal “vigore” artistico del loro ritmo.

All’attore si riconosce d’altra parte un’inconsueta finezza interpre- tativa nell’“intendere” e nell’“esporre” il verso. Arrigo Bocchi, uno dei primi scrittori a riferire delle Dantate, osserva:

questo attore mette riverenza ai più culti ingegni, i quali possono ammira- re piuttosto che contendergli la vittoria nello intendere, ed esporre in pari tempo, i pensieri sublimissimi di quell’immortale italiano104.

E Mauro Macchi, intimo di Modena, parla di lui in una lettera al direttore della rivista “La Ragione” nel 1856 come di “quell’uomo […] che per la vastità dell’ingegno, e per li studj che fece su le canti- che del fiero ghibellino, è universalmente acclamato come ‘il migliore commento del gran poeta’”105. Significativa anche l’annotazione più

tarda di Vincenzo Andrei che registra il permanere di un riconosci- mento a Modena fra gli studiosi come “Dantofilo” anche diverso tem-

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 182-200)