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La rabbia dello stile

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 179-182)

La radicalità politica di Modena si traduce in teatro in una poetica artistica che si propone di risvegliare negli spettatori le coscienze so- pite, di sconfiggere l’intento dei “mestatori del guazzetto politico-ita- lico” che è quello di trasformare gli “Uomini” in “talpe orbe”46. Scri-

ve nel già più volte citato programma di sala per il Maometto del 1858:

L’arte per l’arte sola è cosa vuota di senso, e precipuo scopo del teatro è l’aprire gli occhi ai ciechi estirpando pregiudizi e superstizioni. […] molto sarà ottenuto se gli spettatori, più che a sentire, saranno indotti a pensare47.

Lo strumento di questa operazione, per Modena, è una recitazione dal tratto allegorico e non immedesimato, in grado, attraverso il reali- smo grottesco, di scuotere gli spettatori, di portarli a guardare le cose con occhi nuovi e diversi.

A differenza di Mazzini, che tende ad assumere una prospettiva comprensibilmente “strumentale” sull’arte (“Missione speciale del- l’Arte è spronare gli uomini a tradurre il pensiero in azione”48), Mode-

na considera scopo precipuo del teatro indurre il pubblico a “pensa- re”. Egli vorrebbe creare attraverso l’arte uomini liberi, che quindi agiscano.

Proprio per questo Modena è un critico così intransigente del tea- tro del suo tempo (“Le baracche d’oggi che si dicono teatri, alle fiam- me. […] Per correggerlo bisogna bruciarlo. Bruciar le tavole, bruciar- ne il morale, bruciarne... l’idea”49). Perché il teatro così com’è, il tea-

tro-Bottega, è conciliante, digestivo50, non si fa strumento di critica

ma di accondiscendenza e di consenso.

Arte e politica: le Dantate 179

51 G. Modena, Il teatro educatore, cit., p. 244.

52 G. Modena, Condizioni dell’arte drammatica, ora in S, p. 283

53 Del Fornaretto diremo nel prossimo capitolo. Una tratta di negri in Piemonte viene rappresentato da Modena nel marzo-aprile del 1853 al teatro Sutera di Torino con la compagnia Petrucci-Toselli. Modena recita la parte del vecchio Masone che con- clude il dramma con queste parole: “Vorrei che si pensasse un poco se per pulir bene le canne dei cammini [sic] ci sia bisogno di usare della carne umana” ([Sia], Rivista dram-

matica, in “Gazzetta piemontese”, 12 aprile 1853); chiosa la “Gazzetta del popolo”:

“mentre deploriamo gli schiavi che gemono in America e che anima e corpo apparten- gono a crudeli speculatori, non pensiamo che anche noi nel libero e civile Piemonte ab- biamo una classe d’infelici il cui corpo è usato come una cosa, e che, come una cosa, si consuma a benefizio di speculatori ed a comodo di classi agiate” ([Sia], Sacco nero, in “Gazzetta del popolo”, 11 marzo 1853).

Bisognerebbe perciò cambiare il teatro alla radice, a partire dalla sua struttura organizzativa. È inutile prendersela con la “canaglia” dei comici51– che pure all’occorrenza Modena rimprovera duramente –

perché la vera sfida è sconfiggere il “teatro-commercio”: “L’ignoran- za, la trascuraggine del maggior numero degli artisti non sono la causa, ma la conseguenza necessaria dell’abbiezione dell’Arte […] La Botte-

ga! That is the question: qui sta il to be or not to be dell’ARTE”52. Ma

di questo diremo ancora nel prossimo capitolo. Restiamo per ora alle questioni artistiche.

Gli argomenti affrontati in scena hanno naturalmente per Modena un peso rilevante. La scelta del repertorio da recitare è in questo sen- so un elemento non trascurabile nella prospettiva della costruzione di un’arte critica, che scuota gli spettatori. Ciò vale tanto nel caso di drammi meno significativi sul piano letterario, come per esempio Il

Fornaretto di Francesco Dall’Ongaro o Una tratta di negri in Piemon- te di Giovanni Sabbatini, due testi che Modena recita negli anni Qua-

ranta e Cinquanta e che evidenziano con una certa asprezza il tema dello sfruttamento e delle disuguaglianze sociali53. Ma vale anche nel

caso di testi letterariamente più importanti, per esempio le tragedie di Alfieri (o i versi di Dante, di cui diremo fra poco). Non va dimentica- to infatti il forte significato politico che nella prima metà dell’Otto- cento assumono le rappresentazioni alfieriane, oggetto in questo pe- riodo di un’attenta censura da parte delle Autorità. Ne è un buon te- stimone Stendhal, il quale – spettatore a Napoli nel 1817 di Saul – an- nota nei suoi diari: “qui sono permesse solo tre tragedie di Alfieri; a Roma, quattro; a Bologna, cinque; a Milano, sette; a Torino, nessuna.

54 Stendhal, Roma, Napoli e Firenze, cit., p. 222.

55 Vedi anche: M. Cambiaghi, Rapida… semplice…, cit., pp. 82-84.

56 G. Mazzini, La situazione, in Id., Scritti editi ed inediti, cit. (ora in F. Della Peruta, Scrittori politici dell’Ottocento, cit., p. 728).

57 G. Visconti di Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute 1847-1860, BUR, Milano 2011, p. 113.

Di conseguenza, l’applauso è una questione politica, e trovargli dei difetti è atteggiamento da reazionario”54. Certamente va considerato

che il clima di piena Restaurazione del 1817 si va man mano stempe- rando negli anni successivi, eppure recitare Alfieri resterà per tutto il periodo risorgimentale un atto immediatamente caratterizzato in sen- so politico, e Modena, che amava esplicitare le proprie posizioni, era naturalmente ben compreso di quel che faceva55.

Ma se le scelte di repertorio costituiscono spesso per l’attore un modo per schierarsi e per manifestare apertamente il proprio pensie- ro, l’afflato critico del suo teatro risiede per certi versi soprattutto nel- lo stile con cui egli si propone in scena, nel modo cioè di recitare quei testi.

Modena era capace di eccitare forti entusiasmi politici fra gli spet- tatori in sala. Una ricca memorialistica è lì a testimoniarlo.

Il ricordo di Mazzini, per esempio, fissa un Modena trascinatore del pubblico quando recita la Clarina di Berchet, fino a coinvolgere anche gli “uomiciattoli”, coloro che si collocano in realtà fra gli inde- cisi, e che poi tradiranno.

Io li conosco questi uomiciattoli […] Li udii applaudire frenetici, tanto da impaurire il povero tremante governuccio ticinese, la Clarina di Berchet reci- tata da Gustavo Modena e rizzarsi in piedi e urlare in vece sua ogni sera il sangue avrà dell’ultimo verso56.

Ma un altro testimone, Giovanni Visconti di Venosta, ricorda quel- le stesse recite richiamando, forse anche involontariamente, accanto all’immagine del pubblico in delirio la rabbia dello stile di Modena, la sotterranea presenza in lui di un attore “scalmanato” che, subissato di applausi, spezza la sedia su cui s’appoggia.

Gustavo Modena, patriota caldissimo, e in quei giorni scalmanato più che mai, dava delle serate a Lugano, a Bellinzona, a Locarno, a favore degli emigra- ti, e negli intermezzi declamava il Berchet, ripetendo ogni volta l’esecrato Cari- gnano, tra un subisso di applausi, e spezzando la sedia a cui s’appoggiava57.

Arte e politica: le Dantate 181

58 Sul Dante di Modena vedi anche: P. Puppa, Gustavo Modena dramaturg e lettore

di Dante, in AA.VV., Ripensare Gustavo Modena, cit.

59 [Sia], Gustavo Modena, in “Figaro”, 11 gennaio 1840; F. Regli, Milano, in “Il Pi- rata”, 21 gennaio 1840; [Sia], Esperimento di declamazione dato da Gustavo Modena, in “Il Ricoglitore di notizie teatrali”, 13 giugno 1840.

60 G.I., Gustavo Modena al teatro Carcano, in “La Moda”, 20 gennaio 1840. 61 Pezzi, Declamazione, in “Glissons, n’appuyons pas”, 25 gennaio 1840.

Dove Mazzini richiama l’attore patriota, che “urla” i versi di Ber- chet “in vece” del pubblico, Visconti di Venosta sovrappone al ricor- do del “patriota caldissimo” la veemenza di un attore che “spezza” la sedia. Un’eco lontana, forse, ma efficace, della rabbia critica, cupa, di quella recitazione.

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 179-182)