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Il “languore” anti-tragico: Oreste

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 40-47)

Una recensione di Tommaso Locatelli al suo Oreste del 1828 ci aiuta a capire meglio.

17 Vedi ancora A. Paladini Volterra, Antonio Raftopulo contro Gustavo Modena, cit. Non è del tutto chiaro quando Modena iniziasse davvero a recitare con Raftopulo. Il contratto riportato dalla Paladini, datato 18 giugno 1826, indica Modena nel pro- spetto della compagnia per l’anno comico successivo (1827-1828) ma sembrerebbe di capire che, nonostante i fastidi di salute, Modena inizi a recitare prima. Probabilmente sin dal mese di luglio e cedendo alle pressioni di Raftopulo – come scrive Modena stes- so – per poi pentirsene. Altrettanto poco chiaro è quanto duri la permanenza nella compagnia. Certamente non tre anni, come ipotizza la Paladini anche sulla base di stu- di precedenti. Su “Teatri, Arti e Letteratura” Modena è ancora indicato come “primo attore” della compagnia per i mesi di gennaio e febbraio 1827 (anche se, vista la dura controversia con il capocomico ricostruita dalla Paladini, non è detto che Modena ef- fettivamente recitasse sempre). Dal periodico “I Teatri” sappiamo che almeno dal giu- gno dello stesso anno Modena è scritturato nella compagnia Ghirlanda, anche se già in agosto torna a dare qualche recita con Raftopulo a Firenze (vedi A. Manzi, Gustavo

Modena. Il Governo e la Compagnia Reale Sarda, con nuovi documenti e lettere inedite di G. Modena, Marsano, Genova 1936, pp. 12-13; e anche Ricordi della vita e delle opere di G.B. Niccolini raccolti da Atto Vannucci, vol. II, Le Monnier, Firenze 1866, p. 74).

Nei primi mesi del 1828 è poi in compagnia Pani (vedi per esempio “I Teatri” dell’8 maggio). Dal settembre, infine, è in compagnia con il padre Giacomo fino all’abbando- no delle scene all’inizio del 1831.

18 Lettera a Maddalena Pelzet del 3 settembre 1827, ora in Ricordi della vita e delle

opere di G.B. Niccolini, cit., p. 74.

19 Cit. in A. Paladini Volterra, Antonio Raftopulo, cit., p. 108.

Modena era tornato a recitare nella seconda metà del 1826. Scrit- turato in compagnie minori, forse anche a causa dei problemi di salu- te, cambia burrascosamente almeno tre formazioni in un anno e mez- zo, sempre come primo attore: quella dello scaltro Raftopulo, del me- diocre Ghirlanda, del vecchio Pani17. Le testimonianze di questo pe-

riodo lasciano intuire il forte temperamento e l’irrequietezza del gio- vane Modena. Niccolini lo ricorda “briaco” in scena18. Raftopulo si

lamenta dell’attore in una memoria scritta che utilizza per la causa in- tentata contro di lui.

L’inadempimento […] per parte del Sig. Modena […] può provarsi col fatto contestato da tutti gli attori suoi compagni. Quasi mai intervenendo ai concerti, alle letture, alle prove destinate dal Capo Compagnia è giunto a di- sgustarli in modo che quando sapevano data ad esso una parte per recitarsi, stanchi di averlo aspettato inutilmente un’altra volta, non volevano neppur essi recarsi al concerto, alla prova. Ciò era un disordine essenziale per la su- bordinazione della Compagnia, e per la scenica produzione, che si doveva rappresentare. Come negava la sua presenza al concerto comico, così del pari reputavasi in diritto d’essere inobbediente al Capo della Compagnia, a riman- dargli le parti: Ti rimando il Borgomastro, che non è parte mia esso dice in un suo biglietto; e poco più appresso: faccio il comico, e non lo spadaccino ritor- nando indietro le parti della commedia Enrico quarto19.

Gli esordi 41

20 Vedi A. Colomberti, Memorie di un artista drammatico, a c. di A. Bentoglio, Bul- zoni, Roma 2004, p. 275.

21 L. Bonazzi, Gustavo Modena e l’arte sua, cit., p. 14. 22 Ibidem.

23 Vedi R. Alonge, Teatro e spettacolo nel secondo Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1988, p. 13.

24 Oltre alle diciture utilizzate nei tamburini dei periodici (“Compagnia Modena e socij”), una conferma la si trova nella lettera di Gustavo Modena a Enrico Asti dell’11 giugno 1829 (ora in E, pp. 3-4; la lettera è attribuita erroneamente da Grandi a Cesare Asti, mentre dall’originale conservato all’Archivio di Stato di Padova, si deduce essere indirizzata a Enrico Asti, che tratta con Modena per conto del Nuovo Teatro di Pado- va: Archivio di Stato di Padova, Fondo T. Verdi, busta 85).

Per chi ha dimestichezza con l’epistolario di Modena non c’è da stupirsi. Va certo tenuto conto che Modena si rifiuta di recitare per- ché malato, ma dobbiamo anche pensare che neppure gli fosse molto congeniale la modalità “a grande spettacolo” di Raftopulo (“Gratta- popolo” lo definisce il Belli), con quell’Enrico quarto da recitarsi in quattro serate pieno di effetti e di trovate20. Non doveva essere del

tutto vero, d’altra parte, ciò che scrive Raftopulo a proposito del rap- porto difficile fra Modena e gli altri attori. Per esempio il legame con la prima attrice della compagnia, Carlotta Polvaro (dalla “bizzarra vi- vacità”, come scrive Bonazzi21) era piuttosto buono, tanto è vero che

proprio la Polvaro sarà ancora la prima attrice della formazione che Modena inaugurerà di lì a poco con il padre. Il vero problema, malat- tia a parte (che pure dovette avere un peso non piccolo), era l’insoffe- renza di Modena nei confronti di compagnie in fin dei conti men che mediocri: “faccio il comico, e non lo spadaccino” scrive l’attore. Leg- giamo ancora Bonazzi – che spesso nella sua biografia si appropria proprio del punto di vista di Modena – in un lapidario giudizio su Ghirlanda al termine di un rapido affresco del teatro italiano degli an- ni in cui Modena inizia a recitare: “nell’orgia del pubblico mescevano largamente a chi beveva più grosso Solmi, Paci, Ghirlanda, ed altri corifei della lunga caterva dei ciurmadori”22.

Dalla metà del 1828 forma compagnia con il padre, la “Modena e socij”, una delle poche compagnie importanti di questi anni costituite ricorrendo a un sistema misto di compagnia “sociale” (che prevede soci e non scritturati) e “capocomicale” (in cui il capocomico è a tutti gli effetti un impresario con dei dipendenti)23. La compagnia Modena

è appunto “mista”, formata cioè da alcuni soci e da altri attori il cui legame con il direttore è regolato da un contratto di prestazione24.

25 Vedi almeno S. Ferrone, Fortuna di Alfieri nell’Ottocento: dall’autobiografia al

repertorio, in “Annali alfieriani”, IV, 1985; S. Geraci, Comici italiani: la generazione “al- fieriana”, in “Teatro e storia”, 7, ottobre 1989; A. Barsotti, Alfieri e la scena. Da fanta- smi di personaggi a fantasmi di spettatori, Bulzoni, Roma 2001; M. Cambiaghi, “Rapi- da... semplice... tetra e feroce”. La tragedia alfieriana in scena tra Otto e Novecento, Bul-

zoni, Roma 2004; e anche M. Apollonio, La classicità di Alfieri e il teatro teatrale, in “Teatro Scenario”, 1953.

26 S. Geraci, Alfieri in sala prove, in AA.VV., La passione teatrale. Tradizione, pro-

spettive e spreco nel teatro italiano: otto e novecento. Studi per Alessandro d’Amico, a c.

di A. Tinterri, Bulzoni, Roma 1997, p. 144.

27 Lettera a Ippolito d’Aste del 22 gennaio 1852, ora in E, p. 155. 28 A. Barsotti, Alfieri e la scena, cit., p. 112.

Per più di due anni – dal settembre del 1828 fino ai primi mesi del 1831 – Modena, grazie al sodalizio con il padre, ha qualche agio in più nel concentrarsi sul lavoro artistico, il proprio e quello della com- pagnia. La formula organizzativa riflette infatti una situazione a lui ben congeniale di affiatamento con gli altri protagonisti della società, il padre Giacomo e la prima attrice, Carlotta Polvaro. Per di più Mo- dena assume ora la veste di Direttore e può quindi cercare di perse- guire con maggiore organicità sulla scena il proprio progetto artistico.

Fermiamoci, come anticipavamo, all’Oreste e a ciò che ne scrive Locatelli.

Non insistiamo qui sull’importanza di Alfieri per il rinnovamento della scena italiana dei primi decenni dell’Ottocento: è già stato fatto in modo convincente da più di uno studioso25. Ci interessa semmai

approfondire il rapporto fra quelle “commedie impazzite” – come Stefano Geraci ha definito i testi alfieriani26 – e Gustavo Modena.

L’impressione infatti è che se è vero che Alfieri ha aperto in teatro una strada, non solo drammaturgicamente ma appunto anche scenicamen-

te, è probabilmente altrettanto vero che i frutti migliori e più maturi

del percorso avviato dall’Astigiano li si ritrova poi in chi – Gustavo Modena negli anni di cui stiamo parlando, e qualcun altro più tardi – dà compiutezza non soltanto scenica ma anche artistica a ciò che Al- fieri tesse sottotraccia nei suoi versi. Il giudizio di Modena su Saul (“credo che Alfieri stesso l’abbia fatto senza accorgersene, ed è morto senza conoscerlo”27) va probabilmente esteso, come vedremo, almeno

anche a Oreste. D’altra parte il filo che lega Oreste a Saul, sul piano testuale, incoraggia questa ipotesi.

Come ha scritto Anna Barsotti, Oreste è – per Alfieri – un “perso- naggio scisso”28 che compie il gesto inconsapevole di uccidere la Gli esordi 43

29 Ibidem. 30 Ivi, p. 110. 31 Ivi, p. 113.

32 T.L., Appendice, in “Gazzetta privilegiata di Venezia”, 27 settembre 1828. La re- censione è anche riportata in appendice al saggio di Nicola Mangini Gustavo Modena e

il teatro italiano del primo Ottocento, cit.

33 Ibidem. Si tratta di un giudizio ricorrente nella critica al giovane Modena. La grandezza di Modena attore è troppo evidente per poter essere messa in discussione. Gli interventi critici, quando vogliono esprimere perplessità, si concentrano perciò sul- la poetica modeniana, sui presupposti della sua arte, a volte (come in questo caso) con- traddicendola ma sempre riconoscendo di trovarsi di fronte a scelte artistiche consape- voli e meditate. Si vedano per esempio le cronache di Luigi Prividali del maggio del 1829 pubblicate sul “Censore universale dei teatri” di Milano.

34 L’espressione è di Luigi Bonazzi: L. Bonazzi, Gustavo Modena e l’arte sua, Lapi, Città di Castello 1884, pp. 16 e 116.

madre “fuori di sé, come nell’inconscio”29(ricordiamo che è precisa-

mente l’involontarietà del matricidio la novità – almeno rispetto agli autori classici – immessa da Alfieri). Un gesto rivelatore di un “io di- viso da se stesso”30che apre a una possibile lettura di Oreste in chiave

di dimidiamento del sublime tragico. Qui è il punto di contatto con

Saul. Leggiamo ancora Anna Barsotti: “Dunque l’eroe alfieriano, già

nell’Oreste, appare un personaggio dalla psicologia spezzata e contor- ta, al punto che la sua ansia di libertà si trasforma in alienazione, con tratti di onirismo grottesco che risulteranno evidenti in Saul”31.

Modena sembra sfruttare fino in fondo, portandola in certo qual modo a compimento, questa caratteristica di Oreste. Locatelli ne è un prezioso testimone.

Egli riconosce lo straripante talento di Modena, ma dopo aver lo- dato l’attore per il suo magistrale secondo atto, lamenta il “languore” di cui si impadronisce la recitazione: “ne’ tre [atti] susseguenti si sparse nella sua recitazione un non so quale languore per cui tutte non gli riuscì di cogliere le più felici situazioni, benché ne cogliesse pur molte”32. Locatelli si rende perfettamente conto di trovarsi di

fronte a una scelta precisa e consapevole, e non a un errore: “Il Mo- dena come ognun vede non isbagliò per imperizia, ma solo per falso giudizio”33.

L’attore, in realtà, procede proprio nella direzione suggerita da Al- fieri, facendone però una sua “seconda creazione”34.

Vale per questo Oreste ciò che Vittorio Bersezio scriverà diversi anni più tardi del Filippo di Modena: “Alfieri in quel suo stampo stretto e inesorabilmente severo della tragedia antica non v’ha gettato,

35 V. Bersezio, Arte Drammatica. L’artista Gustavo Modena al Teatro Carignano, in “Rivista contemporanea”, IV, 1856.

36 Ibidem.

37 Vedi G. Livio, La scena italiana. Materiali per una storia dello spettacolo dell’Ot-

to e Novecento, Mursia, Milano 1989, pp. 29-50.

38 T.L., Appendice, cit.

per così dire, che lo scheletro del tiranno della Spagna; più che una parte è una traccia per l’intelligenza e la faconda arte d’un attore che sappia interpretarla”35. Se Alfieri fosse vivo – aggiungeva Bersezio –

vorrebbe che si dicesse Filippo di Alfieri e di Modena: “Questo non è più un rappresentare, ma un comporre; egli non è più un attore, ma un autore”36.

Torneremo su questo aspetto dell’arte modeniana. Fermiamoci per ora a Oreste.

Vibra, qui come altrove nella recitazione di Modena, un tratto di disincanto, lucido e cupo, ma allo stesso tempo rabbioso e per nulla pacificato, che lo porta a trasformare l’empito tragico in una sorta di abbandono sofferto (il languore), che annuncia e in parte già sconfina nel grottesco, e cioè in una commistione di elementi tragici e elementi comico-drammatici incaricati di denunciare l’impossibilità tutta mo- derna di frequentare il sublime37. La scena finale descritta da Locatelli

ne è una testimonianza chiarissima.

Freddo a cagione di esempio riuscì il primo suo affacciarsi sul palco dopo commesso il doppio misfatto. Il passo lento, la spada a terra rivolta, l’abbatti- mento della persona ben si convengono è vero al pentimento, che suol succe- dere in colui che mette mano nel sangue, appresso la esecuzione del fatto; ma tale Oreste non era. Nella opinion sua quella vendetta era debita, e quasi olo- causto ai mani dell’inulto suo padre. La sua mente era piena tuttora di quel cieco furore che gli tolse dinanzi fino la sembianza materna, e tale dovea pure mostrarsi l’attore, come leone che rugge sulla palpitante sua preda, non come lupo che pasciuto si parte. Tale comparsa sarebbe stata più franca, più ardita, più grande; e quand’anche l’avesse egli voluto mostrarci il pentimento, che mai dal colpevole non si discompagna, bello era farlo subentrare nel suo ani- mo piccol’ora appresso sotto gli occhi del pubblico38.

L’Oreste di Modena non ha nulla del tragico che il pubblico si aspetterebbe. Al posto del “cieco furore” che Locatelli reclama da un Oreste “leone che rugge sulla palpitante sua preda”, Modena compa- re in scena con “passo lento”, la “spada a terra”, l’“abbattimento del- la persona”. Non si tratta di un modo di sottolineare il pentimento –

Gli esordi 45

39 Vedi G. Mazzini, Del dramma storico (1830), in Id., Scritti politici editi ed

inediti, vol. I, Galeati, Imola 1906, p. 259.

40 Ancora fondamentali su questi temi gli studi di Sebastiano Timpanaro: vedi S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Nistri-Lischi, Pisa 1965.

avverte Locatelli (che, appunto, capisce, pur non condividendo) – perché il pentimento ha a che fare con l’evoluzione psicologica del personaggio e dovrebbe subentrare passo a passo, “piccol’ora appres- so sotto gli occhi del pubblico”. Si tratta invece di mostrare un disin- canto sofferto, che rovescia il sublime tragico nell’evidenza della sua impraticabilità, alludendo al grottesco: Oreste, dopo aver ucciso la madre, non solo non si presenta in scena come un leone palpitante ma sembra un “lupo che pasciuto se ne parte”. Quel tormentare la trage-

dia che, secondo Mazzini, è la caratteristica, e anche il limite, della

scrittura alfieriana39, in Modena diventa vera e propria cifra stilistica

di un’arte imperniata su una poetica che possiamo per ora definire – in attesa di una precisazione nei capitoli successivi – come realismo

grottesco.

Iniziamo così a intravedere la peculiare declinazione del romantici- smo di Gustavo Modena. Che romantico in senso stretto non fu mai, e piuttosto coniugò l’afflato romantico che era in parte suo e che ere- ditò anche da Mazzini (di cui come vedremo fu amico e stretto colla- boratore soprattutto negli anni dell’esilio) con una sensibilità più luci- da e “smitizzante” di derivazione illuministica40. In questo singolare e

interessantissimo impasto di pulsione “eroica” e di dolorosa consape- volezza del suo fallimento, di empito tragico e di coscienza della sua impossibilità, sta probabilmente uno dei tratti più nitidi della gran- dezza artistica di Gustavo Modena, e insieme della profonda “moder- nità” della sua figura. Un rivoluzionario che non mancava di lucidità – una lucidità, la sua, che non faceva velo allo slancio rivoluzionario.

1 E.L. Franceschi, Studii teorico-pratici sull’arte di recitare e di declamare, cit., p. 231.

2 A. Ghislanzoni, Storia di Milano dal 1836 al 1848, cit., p. 140.

3 V. Andrei, Gli attori italiani da Gustavo Modena a Ermete Novelli. Studio critico, Elzeviriana, Firenze 1899, p. 31.

4 [Sia], Teatri, in “Il Gondoliere e l’Adria”, 5 febbraio 1848. 5 Regli, Gazzetta teatrale, in “Il Pirata”, 15 febbraio 1842.

IV. Ancora gli esordi. La sfida

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 40-47)