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Torelli: “ispirazione” o “studio”?

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 147-152)

Nel settembre del 1842 la rivista “Il Pirata” diretta da Francesco Regli, probabilmente il più importante e il più letto fra i fogli teatrali milanesi, pubblica una serie di quattro articoli scritti da Serafino To- relli, intitolati Osservazioni sulla Drammatica e Gustavo Modena.

Torelli è una figura singolare nel panorama del teatro della prima metà dell’Ottocento (anche se non così inusuale come potrebbe sem- brare). Cantante, attore, “direttore di spettacoli”, “istruttore”, agente teatrale, autore di alcuni trattati sulle arti sceniche, Torelli, coetaneo di Modena, incarna nella sua stessa persona la multiforme poliedricità e la complessità della vita teatrale del periodo1.

1800 e qui muore nel 1870 (U. Gironacci, M. Salvarani, Guida al “Dizionario dei musici-

sti marchigiani” di Giuseppe Radiciotti e Giovanni Spadoni, Editori delle Marche Asso-

ciati, Ancona 1993, ad vocem). Nel suo Analisi generale della mimica, pubblicato nel 1845, Torelli scrive di avere a quella data “quasi venti anni di professione, trascorsi co- me cantante, direttor di scena, e quindi maestro di declamazione” (S. Torelli, Analisi ge-

nerale della mimica. Discorso preliminare al corso teorico-pratico di declamazione, Truffi,

Milano 1845, p. 37). Ancora Torelli, in un altro suo scritto, il Trattato dell’arte scenica, del 1866, si riferisce ai “quarantaquattro anni di esperimento e come attore, e come di- rettore di spettacoli, e come istruttore sì privato che pubblico” (S. Torelli, Trattato del-

l’arte scenica diviso in sei parti, Albertari, Milano 1866, p. 9). Nel periodo in cui pubbli-

ca gli articoli sul “Pirata” è “maestro di declamazione a Milano”, come si legge sul “Corriere delle dame” in una nota informativa sulla compagnia che agisce al teatro Re (una formazione di canto lirico, di cui è “Direttore degli spettacoli, signor Serafino To- relli, maestro di declamazione in Milano”: “Corriere delle dame”, 13 dicembre 1844). Molto utile, ai fini di una panoramica su questi aspetti dello storia dello spettacolo ot- tocentesco, il volume di Livia Cavaglieri Arte e mercato (cit.).

2 S. Torelli, Osservazioni sulla Drammatica e Gustavo Modena. § I, in “Il Pirata”, 13 settembre 1842.

3 S. Torelli, Osservazioni sulla Drammatica e Gustavo Modena. § II, in “Il Pirata”, 16 settembre 1842.

4 S. Torelli, I. 5 Ibidem.

La sua testimonianza è per questo motivo particolarmente interes- sante, restituendoci la percezione dell’arte modeniana “dall’interno” dell’humus teatrale della metà del secolo.

La tesi di Torelli è piuttosto chiara. Osservando Modena recitare si potrebbe pensare, sbagliando, che egli sia “bravo artista perché pieno

d’anima, perché pieno di naturalezza, perché ispirato”2. Niente di più

falso, argomenta Torelli: per “divenir sommo attore” ci vuole “alto studio” e “sudate ricerche”3, e Modena – “nella estetica peritissimo”

– in scena è “profondo filosofo” e “ragionator sommo”4. L’esatto con-

trario dell’“istinto”, dell’“ispirazione”, della recitazione tutta “anima” e “naturalezza”.

Vediamo meglio. Torelli esordisce salutando Modena come “l’atto- re per eccellenza”, colui che “surse gigante” con i suoi “ammirandi esperimenti” per richiamare “all’antico onore i drammatici d’Italia”5.

Modena, sempre secondo Torelli, è capace di soggiogare il pubblico e di restituire sul palcoscenico l’evidenza del tipo che recita con una straordinaria precisione nel disegno complessivo.

La “verità” della sua recitazione risiede in questo senso nel caratte- re necessario di ciò che accade in scena.

6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Ibidem. 9 Ibidem.

In lui non un guardo a caso gettato, non un volger di capo, che non sia esprimente il pensiero che lo moveva, non un affetto, che sulla sua pupilla, e sulla modificazione del suo volto non baleni, prima che dalla sentenza palesa- to venga6.

Uno stile volutamente misurato ma allo stesso tempo estremamen- te coinvolgente.

Il suo sospingersi dagli effetti miti ai più concitati, è un armonico aumento da passione a passione, colla più esatta e rigorosa estetica; è una graduazione dimostrata con tanta verità di filosofia, che insensibilmente ti chiama a sé, ti prende, ti avvince, ti trascina, e rapisce7.

Una recitazione attenta ai dettagli, ai piccoli movimenti, ai “moti appena distinti” che contribuiscono in modo determinante alla co- struzione del profilo complessivo del personaggio:

Ei, senza l’ajuto del vocabolo, sa indicarti l’insorger d’un’idea, il contrasto d’un’altra, il rifiuto d’una di quelle, e questo con moti appena distinti, ov’egli voglia, che appajano involontari, non determinati, nascosti; un inavvertito se- gno della mano, un passo, che dagli altri differisca per inegual vigore, o subi- to trattenersi, un volger della persona, un girar di guardo d’intorno a sé, farà sempre, prima che egli il dica, conoscere in Modena un dubbio insorgente, la ricerca d’una risoluzione8.

Anche i silenzi sono sapientemente utilizzati per delineare al me- glio il carattere.

Nel silenzio dell’attenzione, scoglio al quale quasi tutti i più valorosi artisti fan qualche naufragio, egli è parlante nel suo tacere. Nella sua sembianza si legge l’impressione di quanto egli ascolta, la sua interna determinazione, e prima che egli la dica, nel suo ciglio, nella sua fronte, nella tinta delle pupille, nella modificazione intera delle sembianze s’ha la risposta9.

Di fronte a “tale e tanta naturalezza”, lo spettatore “che ignori quante sieno le difficoltà di quest’arte” potrebbe pensare a una “di- sposizione ed ispirazione della natura e dell’anima”. Ma non è così, dal momento che quel risultato lo si può ottenere in realtà soltanto con “l’improbo studio, le veglie sudate, l’elaborato raziocinio, la fati-

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10 S. Torelli, I, cit. 11 S. Torelli, II, cit. 12 Ibidem. 13 Ibidem.

14 Vedi su questo tema: C. Vicentini, Teorie della recitazione. Diderot e la questione

del paradosso, in: AA.VV., a cura di R. Alonge e G. Davico Bonino, Storia del teatro mo-

cata ricerca, l’esatta combinazione, e la pura analitica forma”10.

La “naturalezza” nella recitazione di Modena deriva, a ben vedere, dal fatto che non c’è mai “stentatezza” nel suo modo di presentarsi in scena (nulla cioè suona falso) e tutto partecipa al contrario perfetta- mente (“armonicamente”) al “dominio dell’arte” (dando luogo a una costruzione mirabilmente finta).

Modena – argomenta Torelli – è un “vivo esempio” di quanto i ter- mini “anima, natura, ispirazione” siano “vote parole” e “usi general- mente a puntello della scenica ignoranza”11.

Quella capacità di “trattar nobilmente con verità” tanto la fisiono- mia del volto quanto il gesto agito in scena o la parola detta, e di farlo “senza stentatezza, con castigata analogia, con severo legame alla debita estetica”, non è dunque “natura” ma “arte”: “ecco ciò che appare, ed è chiamato natura, laddove è arte, ed arte somma, straordinaria e diffici- le”12.

La creazione dell’attore è sempre finzione, studio, calcolo.

Il dire adunque che un attore ha anima, ha natura, che ha ispirazione, fuo- co, sentimento, ec., non è altro che dichiararlo buon ragionatore e capace di distinguere, analizzare, sentire in sé stesso quanto egli, esponendo, fa scende- re al cuore di chi l’ascolta. Ma per rettamente e logicamente sentire quanto si dice, ben v’ha d’uopo di animo calcolatore, istrutto delle fibre tutte del core umano, educato dalla cultura delle lettere, osservatore profondo delle qualità innumerabili degli usi, de’ caratteri, de’ segreti difetti e delle virtù della so- cietà, ed assoggetando il risultato delle sue osservazioni, e degli studj suoi sul- la morale, agli studj fisici delle tre elocuzioni suddette [fisionomia, gesto, pa- rola], dovrà l’attore con vera, esatta ed analitica disciplina renderle inerenti all’estetica di ciò che egli rappresenta; ed ecco quest’attore nel vasto, ed im- mensurabil dominio dell’arte13.

Siamo qui, come è ben evidente, pienamente nel solco della discus- sione colta, che prosegue ormai da più di un secolo, sul modo in cui l’attore debba avvicinarsi alla parte che recita: provando egli stesso i sentimenti e le emozioni del personaggio, oppure mantenendo un di- stacco, una differenza fra queste ultime e ciò che egli sente?14O, per

derno e contemporaneo. II. Il grande teatro borghese. Settecento-Ottocento, Einaudi, To-

rino 2000, pp. 5-47.

15 Così la prima parte del sottotitolo di uno degli interventi di Torelli, che si con- clude con le parole: “Gustavo Modena attor guidato dalla filosofia e dall’arte a grado eminente della rappresentativa”.

16 S. Torelli, II. 17 Ibidem.

18 S. Torelli, Analisi generale della mimica, cit., p. 27. 19 Ivi, pp. 26-27.

20 S. Torelli, II. 21 Ibidem.

dirla con Torelli, “se chi brama avvenire o fama di attore egregio deb- ba più alla natura che all’arte abbandonarsi”15.

Torelli, citando nei suoi articoli alcuni degli artisti che si sono oc- cupati dell’argomento, da Riccoboni a Lessig, insiste sul fatto che seb- bene Modena riesca a “scotere, infiammare, gelare, commovere, infondere infine nell’animo di chi ascolta” lo “stato morale di chi de- clama”16, e anzi proprio per questo, non reciti mai abbandonandosi

all’ispirazione e piuttosto poggiandosi sullo studio e sulla costruzione consapevole della sua presenza scenica.

La “psicologica maestria” e la “ricchezza di modificazioni” che “si trova nello sguardo di lui”17sono perciò frutto di studio e di control-

lo di sé, e non di uno “slancio ardente ed impreveduto dell’anima”18.

Infatti, “con buona pace […] de’ signori panigiristi dell’anima e della

ispirazione, l’anima artistica del bravo attore si formerà soltanto collo

studio dell’arte”19.

Sbaglia perciò chi pensa che le “esteriori modificazioni del corpo sieno naturali conseguenze dell’interior movimento dell’anima”, e che quindi l’attore debba abbandonarsi “alla foga dell’anima sua”20. Sba-

glia perché l’obiettivo della rappresentazione – argomenta Torelli ci- tando esplicitamente Lessing – è realizzare un’opera d’arte (“a tanto recata di perfezione, che più a sperare non ne rimanga per imitativa del bello, pel fiore dell’eleganza, per la verità del morale, per determi- nata conformazione ad ogni determinato affetto”), non l’espressione subitanea, “fatta come che sia, rozza ed imperfetta”21.

Dove, al di là del concetto di “perfezione”, legato a una forma di neoclassicismo in realtà distante dalla sensibilità artistica di Modena, ciò che qui Torelli intende contrapporre è la profondità e il rigore del- l’approccio modeniano, alla apparente facilità che può diventare mal- destra dell’approccio semplicemente emotivo, ispirato, alla recitazione.

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22 S. Torelli, Analisi generale della mimica, cit., p. 27. 23 S. Torelli, Trattato dell’arte scenica, cit., p. 53.

24 A. Morrocchesi, Lezioni di declamazione e d’arte teatrale, Tipografia all’insegna di Dante, Firenze 1832 (ristampa anastatica: Roma, Gremese, 1991), p. 17.

25 Ivi, pp. 94-95.

Della ispirazione poi, tanto da’ moltissimi predicata, non si potrebbe mai abbastanza ridere, contemplandola, qual’eglino la pretendono, base e fonte, non che maestra dell’arte rappresentativa, la quale è arte di fatto, comeché imitativa22.

Ecco un punto per noi importante, sul quale torneremo: l’“ispira- zione”, oltre che fonte di errori e di sbavature in scena, è fonte di tra- visamento di cosa sia la scena. Che è “di fatto”, nella sua concretezza, un’“arte” (e quindi un campo per l’attore di studio, di indagine, di progressiva acquisizione della consapevolezza artistica di sé), e non un luogo dove si manifesta un’“anima”, gioco forza astratta, dove “basta il cuore”23, e dove perciò l’elemento riflessivo e critico, e dun-

que anche di conoscenza e di affinamento artistico, viene progressiva- mente meno.

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 147-152)