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Hugo e Shakespeare

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 96-147)

Ma se il pubblico e la critica – ne abbiamo già avuto diverse dimo- strazioni – non possono fare a meno, nonostante tutto, di ammirare il fascino d’attore di Modena, il suo “magnetismo artistico-animale”91,

92 [Sia], Teatri di Milano, in “Corriere delle dame”, 28 gennaio 1846. 93 F. S-a., Appendice teatrale, in “Figaro”, 28 gennaio 1846. 94 Ibidem.

95 [Sia], Rivista teatrale, in “Corriere delle dame”, 18 ottobre 1844. 96 F. S-a., Appendice teatrale, in “Figaro”, 16 ottobre 1844. 97 Bermani, Gazzetta teatrale, in “Il Pirata”, 18 ottobre 1844. 98 Ibidem.

le perplessità – quando ci sono – si concentrano sull’operazione com- plessiva tentata dal “maestro”.

La cosa risulta particolarmente evidente – e assume una dimensio- ne tutta particolare – nel caso di testi poco amati dal pubblico. Come accade per esempio proprio con Hugo.

Modena fra il 1844 e il 1846 recita Maria Tudor e Ernani. Nono- stante “l’arte sublime” riconosciuta al grande attore, Ernani non pia- ce: “una delle esagerazioni della scuola drammatica francese, in cui il grottesco è posto come principale elemento d’arte”92. Pur non man-

cando “infinite bellezze”, accanto a “infinite stramberie”, la rappre- sentazione ha un esito “infelice”93. Mentre “alcuni pochi ammirava-

no, la più parte, fra tanta potenza d’ingegno e di ridicolo, schernivano e fischiavano”94. Non va meglio con Maria Tudor, che Modena rap-

presenta “con quella verità e maestria cui non ebbe e non avrà forse mai chi lo eguagli” e pur nondimeno si presenta come un “dramma sanguinoso che appartiene ad un genere di letteratura altamente ri- provata dalla critica odierna”95. Uno “strano aborto del teatro france-

se” – scrive un altro cronista – frutto di un “forte ingegno, trascinato dalla smania di voler tentare effetti nuovi, grandi e violenti”, e che si mette “senza saperlo, sulla via dello strano, dell’incomposto, del falso, dell’assurdo”96. Bermani sembra invece attribuire la responsabilità

dell’insuccesso più a Modena che a Hugo. Il critico del “Pirata” è in- fatti disposto ad ammettere che Maria Tudor è “una di quelle strane convulsioni, che doveano preludere il sorgere della giovane arte mo- derna” e si dichiara “ammiratore del genio di Ugo [sic]”97. Ma la rap-

presentazione, spingendo ulteriormente sul pedale del realismo grot- tesco, lascia il cronista (e il pubblico) perplessi:

se togliete la loro veste lirica a queste scene inverosimili per non lasciarvi che il disordine della loro concezione drammatica, allora il Pubblico accoglie in un desolante silenzio, od accompagna coi zì queste produzioni98.

Complice anche una “magra traduzione”, forse dello stesso Mode-

Il realismo grottesco: lo stile, i personaggi 97

99 Ibidem.

100G. Modena, Letto di rose dell’arte drammatica, cit., p. 258.

101N. Tommaseo, Diario intimo, a c. di R. Ciampini, Einaudi, Torino 1939, p. 367 (14 maggio 1845).

102Vedi H. Gatti, Shakespeare nei teatri milanesi dell’Ottocento, Adriatica Editrice, Bari 1968.

103T., Notizie teatrali, in “Corriere delle dame”, 3 ottobre 1842.

104Lo si legge nella lettera del 6 giugno 1841 a Zanobi Bicchierai, ora in E, p. 35. 105T., Notizie teatrali, in “Corriere delle dame”, 20 settembre 1840.

na, la mancanza della “parte poetica”, di cui l’attore “spoglia” Maria

Tudor, finisce per evidenziare ancora di più quell’“epicismo” che

“dissangua” il “lirismo”99.

Una testimonianza importante, che conferma il rifiuto di Modena dell’“Arte-sublimato”100(il “merdoso ammanto”) e il tentativo conse-

guente di dissanguare il lirismo giungendo a una forma particolare, molto raffinata, di “epicismo” anti-drammatico. “Il Modena – scri- verà Tommaseo, che non apprezza – pensa troppo a quello che dice e fa; per non cantare, predica”101.

Qualcosa di molto simile accade quando, nel 1842, l’attore decide di recitare a Milano l’Otello di Shakespeare, uno dei primi Otello mai tentati in Italia102. Sappiamo che Modena vagheggiava “da lungo tem-

po” quella rappresentazione103 e sappiamo anche quanto fosse ben

consapevole del probabile rifiuto da parte del pubblico104. D’altra

parte, come abbiamo già notato, alcuni cronisti manifestano per tem- po le proprie perplessità sull’operazione. Ecco il critico del “Corriere delle dame”, già nel 1840:

Quando pur voglia ricorrere al teatro moderno […] abbia in animo in che tempi e per cui [sic] recita, e non s’attenti di tirar pe’ capegli sulla scena una produzione che troppo ripugni alle nostre consuetudini: e ciò diciamo, per- ché è voce che il Modena voglia rappresentare l’Otello […] ma il pubblico […] vuol essere dilettato, commosso e nulla più, e richiede cosa che appar- tenga a sé ed a’ suoi tempi105.

L’attore non si lascia intimorire e due anni dopo presenta al pub- blico del teatro Re il proprio Otello. L’esito, come previsto, è sfavore- vole. Gli spettatori rumoreggiano, in un crescendo di dissensi, e Mo- dena interrompe la rappresentazione poco prima del finale.

A indisporre il pubblico e a suscitare le reazioni più ostili sono an- cora le “esagerazioni poco dignitose della realtà”, quel “laid” che di-

106S. Torelli, Osservazioni sulla drammatica e Gustavo Modena, in “Il Pirata”, 4 ot- tobre 1842.

107E. Rossi, Studii drammatici e lettere autobiografiche, Le Monnier, Firenze 1885, p. 84.

108T., Notizie teatrali, in “Corriere delle dame”, 3 ottobre 1842. 109Ibidem.

110Ibidem.

venta “beau”, qui naturalmente già presenti nel testo. Ne è convinto un critico molto acuto, Serafino Torelli (del cui giudizio sulla recitazio- ne di Modena diremo meglio nel prossimo capitolo), che osserva come fosse proprio il “misto genere” caratteristico di Shakespeare, il “Tragi-

co-drammatico, genere ignoto ed inusitato” per le scene italiane a ren-

dere Otello “mal compreso dagli attori”, e cioè dalla compagnia Pala- dini con la quale Modena recita in questa occasione, e dal pubblico106.

È lo stesso Modena a sottolineare questa circostanza, raccontando più tardi l’episodio a Ernesto Rossi:

alla scena fra Jago e Rodrigo, quando questo si mette a gridare dalla strada alla casa di Brabanzio: “Olà, Brabanzio! olà, messer Brabanzio, badate alla casa, ai ladri, ola! messer Brabanzio”, il pubblico cominciò a bisbigliare: Che cos’è ciò? una tragedia o una farsa? e quando Brabanzio alla fine compare sul balcone, scomposto nelle vesti ed assonnato, e dice “che fu? quali grida?” e Jago: “La famiglia vostra è tutta in casa? ogni porta sprangata?” dal bisbiglio, il pubblico passò al riso ed allo zittire. Avevano letto sul cartellone, tragedia, credettero di assistere a una scena Goldoniana, o ad una fiaba del Gozzi107.

Proprio ciò che interessa di più a Modena della scrittura shakespea- riana, tanto dal punto di vista della struttura drammatica (“l’ardimento del concetto, il gigantesco delle proporzioni, l’arte maravigliosa di con- durre l’intreccio sopra una vastissima tela e di svilupparla senza sten- to”108), quanto dal punto di vista dei personaggi (la loro “schietta e

rozza verità”109) è ciò che viene rifiutato dagli spettatori, indotti a que-

sto evidentemente anche dal mancato affiatamento in scena fra gli at- tori (non a caso Modena sta cercando in questi anni di realizzare una compagnia-scuola, come vedremo meglio nel capitolo IX).

Tenca aveva avvisato Modena per tempo: il pubblico vuol essere “dilettato commosso e nulla più” da una vicenda “che appartenga a sé ed a’ suoi tempi”. Modena offre invece agli spettatori un Otello contraddittorio, diviso fra pulsioni contrastanti e perciò anche grotte- sco (la “naturale impronta selvaggia” qui da Modena “cresciuta”110), Il realismo grottesco: lo stile, i personaggi 99

111A. Ghislanzoni, Libro serio, cit., p. 94.

112T., Notizie teatrali, in “Corriere delle dame”, 3 ottobre 1842. 113A. Ghislanzoni, Libro serio, cit., p. 95.

114Ivi, pp. 95-96.

nel quale dunque gli spettatori non possono identificarsi e dal quale si difendono con lo scherno:

segni di noia nei primi atti, negli ultimi aperte dimostrazioni di biasimo; si udirono perfino, nei tratti più sublimi della tragedia, delle risa sguaiate111.

Come già aveva fatto in Zaira, Modena, “snervando l’intreccio e scemando logica alle passioni”112, sposta l’accento del dramma dalla

vicenda passionale alla contraddittorietà grottesca di un uomo di fronte alla decisione terribile che lo dilania, suscitando la reazione di rifiuto degli spettatori. La situazione in teatro precipita, secondo la preziosa testimonianza di Ghislanzoni, proprio nel momento del mo- nologo che precede l’uccisione di Desdemona.

Prima di accostarsi a lei, gli viene in pensiero di spegnere la lampada che rischiara l’alcova; ma riflettendo sull’orribile eccidio che sta per compiere, egli esita un istante – “Se io ti spengo, o debole fiamma che mi rischiari, po- trò raccenderti, ove le tenebre mi increscano; ma una volta che tu sii estinta, tu meravigliosa opera della benefica natura, di dove potrò io trarre la celeste scintilla che ti rianimi?” […] Orbene, fu a questo punto del dramma, quando il Modena colla lampada alla mano profferì le parole da noi citate, che il pub- blico proruppe in una risata compassionevole113.

È l’Otello dubbioso, contraddittorio che suscita il rifiuto degli spettatori. Modena reagisce con veemenza: rovescia la propria rabbia sul pubblico trasformandosi repentinamente in un Otello riduttiva- mente “borghese”, come scrive ancora Ghislanzoni. Dà sprezzante- mente al pubblico quel che il pubblico vuole, mostrandogli uno spec- chio parodico, e chiude velocemente la rappresentazione:

Da quel momento, la rappresentazione dell’Otello si volse in parodia. Gu- stavo Modena, offeso dalla riluttanza degli spettatori, non seppe contenersi dal dimostrare il proprio sdegno. Egli cessò di esser Otello; gettò di mal gar- bo la lampada, e dandosi a passeggiare ed a gesticolare come un semplice borghese, dopo avere con affrettata recitazione esaurita la scena seguente, or- dinò che il sipario venisse calato sulla uccisione di Desdemona114.

Un esito in fondo prevedibile, come si è detto. Tanto è vero che il ri- cordo di Ghislanzoni dell’incontro con Modena al caffè del teatro dopo

115Ivi, p. 96.

116Lettera a Zanobi Bicchierai del 6 giugno 1841, ora in E, p. 34. 117Ibidem.

118Citiamo da un intervento di Laura Mariani dedicato a una ricognizione sugli studi modeniani di Claudio Meldolesi: L. Mariani, “Andare contro per strappare il bel-

lo”. Studi di Claudio Meldolesi su Gustavo Modena, in AA.VV., Ripensare Gustavo Mo- dena, cit., p. 254. Sul rapporto di Modena con Shakespeare vedi anche il saggio di So-

nia Bellavia, Shakespeare, Teatro e Nazione: il pensiero europeo alle origini della riforma

di Modena, in AA.VV. Ripensare Gustavo Modena, cit.

la rappresentazione ci restituisce un attore “meno accigliato che mai”.

Quella sera, finita la rappresentazione, vidi il Modena entrare nel caffè del teatro. Il di lui volto era meno accigliato che mai. Taluni comici gli si fecero intorno; qualcuno osò dirgli che l’Otello non era tragedia rappresentabile. Egli taceva; ma tratto, tratto, girando gli occhi dintorno con una espressione di sarcastica bonomia, zuffolava sommessamente115.

Modena è troppo lucido per stupirsi di ciò che accade. Combatte perché le cose siano diverse, e combatte con ancora più rabbia quanta più forte è la sua lucidità, nondimeno sa bene che nelle condizioni at- tuali dell’arte drammatica le cose non potrebbero andare in altro mo- do. Scrive nel 1841 in una lettera a Zanobi Bicchierai:

non abbiamo pubblico. Che è quanto dire: – finché il nostro popolo cre- scerà e vivrà nella crassa, stupida, feroce e vile ignoranza in cui si svoltola co- me in un letto di rose, noi non avremo teatro drammatico116.

Ma dal teatro, nelle condizioni in cui è – un “bazar” gestito da “bottegai” – non si può certo pretendere efficacia educativa.

Qualcuno pensa che il teatro drammatico dovrebbe tirare fuori il popolo da questo lezzo della ignoranza: quando ciò fosse vero, ella sa meglio di me se ciò sia concesso, e possa essere mai perdonato a chi s’avvisasse di tentarlo – E per popolo intendo anche i laureati; che l’assenza d’ogni educazione lette- raria la preferisco anzi a una falsa e scempiata educazione117.

D’ora in avanti Modena desiste dal recitare opere shakespeariane, anche se non rinuncia a lavorare su uno Shakespeare “ispiratore na- scosto di vari personaggi”118e a inserire qua e là, nei testi che affron-

ta, riferimenti espliciti o veri e propri brani tratti da Shakespeare. Al- cune volte nella forma semplicemente arguta o divertita della citazio- ne, come quando in Una catena di Scribe aggiunge, nella traduzione messa a punto per la rappresentazione, un richiamo all’“ombra di

Il realismo grottesco: lo stile, i personaggi 101

119Nella traduzione di Modena del 1842 la battuta di Ballandard “Così il mio terri- bil cliente, come un fantasma persecutore, mi segue dovunque… dovunque io lo veg- go… (accorgendosi di St-Géran che esce dall’appart. a sinistra) Povero me, che cosa dia- volo diceva?” (citiamo dalla traduzione di Giorgio Briano, fedele all’originale, pubbli- cata anch’essa nel 1842), diventa: “Quel mio gradasso di cliente l’ho sempre lì ritto da- vanti agli occhi come l’ombra di Banco (vedendo Sen-Geran ch’esce da sinistra) To’! non te lo dicevo io? Eccolo qui lo spettro (prendendo tuono ilare)”. Dove è da notare fra l’altro che il riferimento shakespeariano coincide in Modena con una più marcata sot- tolineatura comico-parodica della battuta di Ballandard, il personaggio recitato dall’at- tore (segnaliamo che Modena nelle sue traduzione scrive volutamente i nomi stranieri come si pronunciano, come qui per esempio “Sen-Geran”). Vedi: Una catena. Dramma

in cinque atti di Eugenio Scribe tradotto dall’artista drammatico Gustavo Modena, Visaj,

Milano 1842, pp. 76-77; Una catena. Commedia in cinque atti di Eugenio Scribe, versio-

ne di Giorgio Briano, Castellazzo, Torino 1842, p. 107.

120Si veda il copione di scena di proprietà di Modena conservato presso la Biblio- teca Teatrale del Burcardo (C.171.09). Il manoscritto sostituisce i brani di Romeo e

Giulietta presenti nell’originale dumasiano con parti di Amleto, ma allude forse anche

ad eventuali interpolazioni di Macbeth. Circostanza quest’ultima che sembrerebbe con- fermata da una recensione pubblicata sul “Pirata” nel dicembre 1844, in cui si ricorda l’“intrusa scena del Macbeth” nella rappresentazione (V.D., Teatro Carcano, in “Il Pira- ta”, 27 dicembre 1844). Sul copione modeniano vedi le riflessioni di Simona Brunetti in

Autori, attori, adattatori. Drammaturgia e prassi scenica nell’Ottocento italiano, Esedra,

Padova 2008, pp. 1-51. E anche: S. Arancio, A proposito del “Kean” di Gustavo Mode-

na. Nota, in “Teatro e storia”, 2009, pp. 375-389.

121S. Brunetti, Autori, attori, adattatori, cit., p. 49.

Banco” riferendosi al “fantasma persecutore” di St-Géran119. Altre

volte rispondendo a un’esigenza interpretativa più complessa, come quando, più corposamente e più significativamente, inserisce nel

Kean parti di Amleto (e in qualche caso, forse, di Macbeth), al posto

dei brani previsti nell’originale dumasiano di Romeo e Giulietta120.

Una scelta che ha un duplice obiettivo. Per un verso rafforzare il trat- to di “dignità” (nel senso dell’accento etico, non dell’accento tragico) – dignità anche artistica – che Modena intende attribuire a Kean. Scrive al proposito Simona Brunetti: “la decisione di sostituire una scena amorosa con la riflessione sull’onore e sul senso della vita pre- sente in Amleto, rende evidente il desiderio di Modena di focalizzare il nucleo fondamentale della concezione del personaggio di Kean sul tema della dignità”121. Per un altro contribuire anche attraverso que-

sta scelta a togliere al protagonista quell’aura stereotipata e enfatica in cui – come ci dice Bonazzi – lo collocavano i “soliti recitanti”:

Vedeste mai il Kean rappresentato dai soliti recitanti? Vi ricorderete anco- ra con che furibonde declamazioni Kean atterriva quella povera miss Anna 102 Gustavo Modena. Teatro, arte, politica

122L. Bonazzi, Gustavo Modena, cit., pp. 133-134.

123G.I., Cronaca drammatica del Teatro Re, in “Figaro”, 11 settembre 1844. 124Vedi G. Livio, La scena italiana, cit., pp. 51-62; D. Orecchia, Il sapore della men-

Damby che voleva farsi attrice, con che minacciosa e trasteverina veemenza inveiva contro lord Mewill […]. Modena nella prima scena si mostrava mo- dello della più squisita cavalleria, e quanto più amare erano le sue dichiara- zioni, tanto più cortese, delicato, peritoso era il modo ond’ei le sponeva; nella seconda, appunto perché Mewill gli ha dato del saltimbanco, egli assumeva il contegno di un perfetto gentleman, e gli dava in risposta una lezione di modi nobili e distinti nel rifiutare le ingiurie, sussurrandogli perfino gentilmente al- l’orecchio quella frase: e questa è un’azione da galera122.

Il tutto naturalmente corroborato da una nota di fondo chiaramen- te grottesca – di cui le cronache non mancano di serbare evidenti tracce proprio in rapporto alla scelta di recitare Amleto – che si inca- rica di precisare e di fissare la lettura complessiva di questo Kean. Ec- co Imperatori:

[Modena] non indietreggiò alle terribili difficoltà del monologo essere… e non essere dell’Amleto di Shakespeare, ed alla successiva scena con Ofelia! […] Voi sapete di quella specie di delirio che coglie improvviso durante la re- cita il povero Kean, e pratici quali siete della felicità dei passaggi del Modena da uno stato di passione ad un altro di non men forte passione, non durerete fatica ad immaginarvi come terminasse fra gli applausi quell’atto, cui, uscen- do dall’ordine teatrale comune, mal non si addirebbe l’epigrafe a diffidazione di certi attori mediocri: Du sublime au ridicule il n’y a qu’un pas!123

Ancora un volta, ciò che affrontato da altri scivolerebbe semplice- mente nel “ridicolo”, in mano a Modena si mantiene in bilico fra il re- gistro sublime e quello comico e diventa perciò, auspice ancora Hu- go, grottesco.

Ma, al di là di queste interessanti interpolazioni, sappiamo che non è recitando Shakespeare che Modena riuscirà a farsi apprezzare fino in fondo dal pubblico e a portare a compimento la propria poetica. I testi shakespeariani sono infatti ancora troppo indigesti per gli spettatori e per buona parte della critica, e tanto i primi quanto la seconda possono così aggrapparsi alle riserve artistiche sulla scrittura drammatica, come accade nel caso di Otello, per rifiutare in blocco l’operazione modenia- na. Non a caso per avere Shakespeare sui palcoscenici italiani biso- gnerà aspettare lo stile emendato dal grottesco, e più adatto ai tempi, di Rossi e Salvini (per altri aspetti così diversi l’uno dall’altro)124.

Il realismo grottesco: lo stile, i personaggi 103

zogna, cit., passim; e i contributi di Buonaccorsi, Livio, Alonge, Bellingeri Poeta, Perrel-

li e Attisani nel volume a cura di Eugenio Buonaccorsi Tommaso Salvini. Un attore pa-

triota nel teatro italiano dell’Ottocento, cit.

125G.I., Teatro Re, in “La Moda”, 7 settembre 1840.

126B. Maier, Introduzione a V. Alfieri, Saul, Garzanti, Milano 2010, p. LXXIII.

L’operazione modeniana riesce invece laddove la scelta dramma- turgica non suscita particolari riserve di tipo letterario (e dunque non dà adito ad alibi per il pubblico), o perché si tratta di testi il cui valore artistico è considerato indiscutibile (come è il caso di Alfieri o Dante), oppure perché scritti da autori contemporanei estranei alle dispute letterarie più appassionate e roventi (come è il caso di Delavigne).

Saul

Nel Saul troviamo l’esempio forse più compiuto del realismo grot- tesco di Modena. Non è un caso che – come abbiamo visto – tanto Regli quanto Imperatori, nel discutere il tentativo modeniano di crea- re un nuovo genere, si riferiscano proprio a Saul.

È infatti osservando Modena cimentarsi con il personaggio alfieria- no che il primo rileva la messa a punto nell’attore di un inedito modo di coniugare in scena gli opposti, ed è sempre osservando Modena misurarsi con Saul che il secondo lo dice impegnato a dare nuova lin- fa a un “siffatto difficile e quasi per noi favoloso ramo d’arte rappre- sentativa”125.

Il personaggio alfieriano attrae fortemente Modena, consentendogli di realizzare in scena ciò che lo interessa davvero: mostrare l’uomo con tutto il “groviglio delle sue contraddizioni”126, i suoi abissi, le sue oscu-

rità. Modena ritiene che solo portando il pubblico a misurarsi con que- sti elementi del carattere umano – e a misurarsi perciò, fino in fondo, con se stesso – si potrà indurlo a pensare, e perciò poi anche ad agire.

L’accento politico del teatro di Modena a ben vedere sta precisa- mente qui. Non tanto e non solo nei riferimenti politici più aperti e scoperti presenti in alcuni testi (e fra di essi anche Saul), pure impor- tanti, piuttosto in quello scavo impietoso e crudele nel carattere e nel- l’indole dei personaggi recitati che consente di vedere il potere che in- carnano in azione in tutta la sua contraddittorietà, la sua mostruosità, la sua fragilità.

Non si tratta tanto per Modena di giudicare la perversione del pote-

127G. Mazzini, Scritti editi e inediti, vol.II, Commissione Editrice degli Scritti di G. Mazzini, Roma 1887, p. 13.

128A. Barsotti, Alfieri e la scena, cit., p. 116. La studiosa è tornata ancora su Mode- na e Saul in: A. Barsotti, Modena e Alfieri: un corpo a corpo modernizz-attore (con un ap-

profondimento nel Saul), in AA.VV., Ripensare Gustavo Modena, cit (una versione più

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 96-147)