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Luigi Vestr

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 66-71)

L’influenza di Vestri e De Marini su Gustavo Modena si fa sentire in particolare sul piano dello stile.

Luigi Vestri (1781-1841) è uno degli attori più ammirati del suo tempo. Modena – lo abbiamo visto – esordisce al suo fianco. Recita con lui per poco tempo ma resta legato alla sua figura anche in segui- to. Scritturerà il figlio Angelo nella compagnia dei giovani e dopo la morte dello stesso Luigi (avvenuta nel 1841), ricorderà in scena il maestro recitando il Burbero benefico di Goldoni, uno dei cavalli di battaglia che lo aveva reso celebre. In quella circostanza Gaetano Im- peratori scrive sulla “Fama” di Milano che la recitazione di Gustavo è “quasi un omaggio ch’egli fa alla memoria di Vestri; perocché, ripro-

61 G.I., Teatri, spettacoli e concerti, in “La Fama”, 8 dicembre 1845.

62 [L. Prividali], Teatro Re, in “Il Censore universale dei teatri”, 4 aprile 1829. 63 N. Tommaseo, Luigi Vestri, in “Strenna teatrale europea”, 1842, pp. 69-70. 64 Ivi, p. 70.

ducendo egli la parte di Geronte con quella valentia con cui un gran pittore potrebbe imitare per bizzaria lo stile d’un altro pittore non men grande di lui, ed abbandonare per un istante il proprio, ci ricor- da gli immensi pregi e ci fa altamente deplorare la perdita dell’artista defunto”61.

Vestri era considerato un autentico creatore delle parti che recitava. Prividali lo definisce un “attore-poeta”. Proprio recensendo il suo

Burbero benefico (“inarrivabile al solito”) osserva:

Io lo esaminai in questa parte più volte, e nel trovarlo sempre lo stesso nel suo carattere, lo trovai sempre diverso nel modo di esprimerlo. La circostanza è riflessibile. Bernardo Tasso comincia cento volte i canti del suo Am[a]digi descrivendo l’aurora, cento volte li termina descrivendo la notte. La pittura è sempre quella, sempre varj i colori. Vestri è dunque anche poeta? Lo è attore- poeta, creatore inesauribile di mezzi infiniti per imitar la natura62.

Un attore, secondo Prividali, interamente artefice della propria pre- senza scenica, in grado di trasformare l’opera letteraria, recitandola, nell’opera di un attore. Lo conferma anche Niccolò Tommaseo, il quale scrive che Vestri ripetendo “rifaceva”, eseguendo “creava”, e dal mo- mento che “mancavano (tranne poche) opere da ispirarlo”, la sua “era musica eletta sopra parole indegne”63. Una circostanza in fondo “dolo-

rosa” – ancora secondo Tommaseo, che scrive queste righe alla morte di Vestri – perché evidenzia in teatro la “grandezza solitaria” dell’arte- fice in scena, che se certo per lo spettatore è fonte di piacere, lascia però un senso di angoscia per la contraddizione fra lo sfolgorare del- l’arte del grande attore e la sua difficoltà a dispiegarsi compiutamente:

Doloroso pensare che tale potenza si consumasse per quarant’anni in dar vita ad inezie; come scultore che rimpastasse figure con fango. […] Dolorosi pensieri, e che altri dolorosi ne destano! Farsi schiavo alle stolte voglie ed oscene di platee schiamazzanti, che volevano non azione ma lazzi, e non le- zioni dalla scena ma lenocinii. Egli degno e idoneo a creare una scuola d’atto- ri, muor senz’erede, e lascia, per il paragone, più vivo e più mesto desiderio di sé. Mesta cosa la grandezza solitaria! Mesta a sé stessa, e all’occhio che di lon- tano, con amore accorato e quasi disperato, la mira64.

Tradizione e innovazione 67

65 Stendhal, Roma, Napoli e Firenze, cit., p. 224.

66 F. Scifoni, Biografia di Luigi Vestri, cit. in A. Colomberti, Memorie di un artista

drammatico, cit., p. 102n.

67 N. Tommaseo, Luigi Vestri, cit., p. 69.

68 L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, cit. in G. Cosentino, Modena

Lombardi e Vestri e Bologna, Zanichelli, Bologna 1901, pp. 106-107.

69 T. Salvini, Ricordi aneddoti ed impressioni, Dumolard, Milano 1895, p. 37. 70 Ivi, p. 39.

71 G.A. Canova, Lettere sopra l’arte d’imitazione, cit., p. 115.

Più sobriamente, e forse anche lucidamente, Stendhal:

Il grasso Vestris è il miglior attore d’Italia e del mondo; uguaglia Molè e If- fland nel Burbero benefico, nell’Ajo nell’imbarazzo, e io non so quante brutte rapsodie che egli valorizza. È un uomo che si può vedere venti volte di fila senza annoiarsi65.

Vestri, come ricorda Stendhal, è un attore dalla corporatura mas- siccia, vigorosa. Una caratteristica questa che se gli è utile per dare ul- teriore forza alla sua presenza scenica, si rivela anche particolarmente adatta per le sottolineature comiche. Scrive un suo biografo, Felice Scifoni: “Al solo vederlo pareva che la natura lo avesse creato non ad altro che al genere comico. Era pingue della persona, e aveva il ventre sporgente innanzi; alto però quanto si conveniva non notavasi nelle sue membra alcuna spiacevole proporzione”66. In realtà la sua recita-

zione univa la corda comica e la corda drammatica in un tutt’uno, mescolando spesso il riso con il pianto. Le testimonianze in questo senso sono univoche. Così Niccolò Tommaseo: “Volgeva le chiavi e del riso e del pianto: della vita sentiva il duplice aspetto, e lo ritraeva con libera agevolezza, per quasi innata facoltà”67. E con maggior pre-

cisione Luigi Bonazzi: “ei poteva rappresentare tutta quanta la uma- nità, e nelle parti promisque, ove la natura umana è dipinta come è realmente, faceva piangere e ridere allo stesso tempo”68. Prezioso an-

che il ricordo del giovane Tommaso Salvini, che lo vede recitare una sola volta, a 13 anni, restando fortemente colpito da quella che gli ap- pare come una cifra stilistica chiara: “e allora per la prima volta m’ac- corsi che si poteva piangere e ridere insieme!...!”69(e con il tempo,

negli anni successivi, mantiene una memoria nitida di quella recitazio- ne: “sentivo risuonare all’orecchio quegli accenti che mi avevano fatto piangere e ridere insieme!...”70).

Luigi Vestri si specializza nel ruolo di caratterista o, per dirla con Canova, “nei caratteri specialmente promiscui”71. Prividali, ammiran-

72 [L. Prividali], Teatro Re, in “Il Censore universale dei teatri”, 21 marzo 1829. 73 C. Jandelli, I ruoli nel teatro italiano tra Otto e Novecento, Le Lettere, Firenze 2002, pp. 268-269.

74 E. Montazio, Cronaca fiorentina. II. Luigi Taddei, in “Appendice teatrale della Rivista”, 13 dicembre 1844.

75 Vedi E. Montazio, Cronaca fiorentina. La prima settimana della compagnia Ma-

scherpa al teatro del Cocomero, in “La Rivista”, I aprile 1845.

do la sua arte, scrive che mentre gli attori nei ruoli più definiti (“l’in- namorato, il tiranno, il padre nobile, la servetta, l’inegnua”) agiscono in una “sfera ristretta”, e cioè maggiormente circoscritta dai confini del ruolo stesso, il caratterista “dev’essere universale”:

e chi sforza al pianto nelle parti serie, al riso nelle buffe, ed in tutte all’am- mirazione, sarà l’attore drammatico per eccellenza, e questo attore è il nostro Vestri72.

Vestri in realtà – come suggeriscono implicitamente tanto Canova quanto Bonazzi – diventa il principale artefice di quella lenta ma im- portante trasformazione del caratterista in “promiscuo”, segnata pro- prio dal maggior rilievo che acquista, in quest’ultimo, la commistione di elementi comici e elementi drammatici.

Leggiamo Cristina Jandelli nel suo Dizionario dei ruoli:

Le note [del caratterista] sono prevalentemente comiche, ma – dopo la co- siddetta ‘riforma’ operata dagli attori Vestri e Taddei – non gli è interdetto il repertorio drammatico; progressivamente si appropria anche delle note pate- tiche. Da quando i miglior caratteristi dell’Ottocento iniziarono a impadronir- si anche di parti serie il ruolo finì per sconfinare in quello del promiscuo che farà le spese della sua espansione all’interno del repertorio: da qui anche l’as- sommarsi dei due ruoli in uno stesso interprete (caratterista e promiscuo) e la denominazione di caratterista promiscuo che sancisce l’avvenuta fusione73.

Non è un caso, naturalmente (come vedremo), che proprio Luigi Taddei – attore della generazione successiva a quella di Vestri e De Marini, e contemporaneo di Modena – sia spesso avvicinato dai critici a quest’ultimo: li accomuna per esempio un approccio simile al “reali- smo” in scena. Come non è un caso che proprio un critico fortemente ostile a Modena come Enrico Montazio – anch’egli accostando Tad- dei a Modena (entrambi persuasi dallo “stolto teorema” di Victor Hugo a “inalberare quel magnifico stendardo su cui sta scritto Le laid

c’est le beau”74) – ironizzi negli anni quaranta a proposito del progres-

sivo affermarsi del ruolo del “promiscuo”75. Tutto si tiene: l’afferma- Tradizione e innovazione 69

76 [L. Prividali], Teatro Re, in “Il Censore universale dei teatri”, 21 marzo 1829. 77 Ibidem.

78 Alcune censure alla recitazione di Vestri alludono a questa contraddizione di fondo. Scrive una cronista sul “Pirata” nel 1838: “in alcune parti è una copia del suo originale; fa troppi storcimenti di bocca; ed usa in abbondanza certi lazzi alquanto tri- viali per secondare il buon umore del pubblico” (“Il Pirata”, 27 aprile 1838). E una conferma la troviamo nei riferimenti, pochi anni dopo la sua morte, a “quegli attucci”, “quelle boccacce”, “qualche bassezza di forme” di cui leggiamo sul “Caffè Pedrocchi” di Padova ([Sia], Luigi Taddei, in “Il Caffè Pedrocchi”, 15 novembre 1846).

zione del realismo in teatro è parallela all’affermazione del grottesco: l’un processo informa l’altro. I primi segnali che emergono nella reci- tazione di Vestri e poi di Taddei precipitano in una vera e propria poetica compiuta in Modena, che troverà l’ostilità aperta di critici co- me Montazio, sostenitori invece della poetica improntata a un classi- cismo pre-naturalistico della “raffaellesca” Adelaide Ristori. Ma di questo diremo più ampiamente in seguito.

L’attenzione di Vestri per il dettaglio – di cui abbiamo detto all’ini- zio di questo capitolo – coincide a volte con una sottolineatura insisti- ta che sfiora l’“esagerazione”76. Eppure l’attore si mostra molto sorve-

gliato. Non soltanto ciò avviene infatti “sempre con discrezione ed ar- tifizio”, commenta ancora Prividali. Ma egli sa poi bene qual è il con- fine fra un “vezzo” e una “sgarbatezza”:

giacché caricando anche con qualche tinta troppo forte la sua azione, lo fa come chi scherzasse sull’orlo d’un precipizio nella sicurezza di non temerlo, o come quel virtuoso che per eccesso di d’abilità cantasse tutta un’aria in un tuono diverso da quello della sua orchestra77.

Un attore che padroneggia con eccezionale bravura, e altrettanta sicurezza, i mezzi espressivi di cui dispone. Attenzione al dettaglio, realismo, commistione dei generi: in Vestri è soprattutto un “eccesso di abilità”, e cioè un formidabile talento, a favorire il loro contempo- raneo affacciarsi sul palcoscenico. Così come è probabilmente ancora un “eccesso di abilità” – e cioè l’irrefrenabile prevalere di un talento controllato tecnicamente ma un po’ meno criticamente – a limitarne le potenzialità, fermando Vestri al di qua delle conseguenze artistica- mente più interessanti di ciò che egli stesso lascia intravedere sul pal- coscenico (e che Modena riprenderà da par suo)78.

Non è un caso che Luigi Viganò scriva nel suo “schizzo storico” sul teatro italiano che se Vestri mostra notevoli capacità nel restituire

79 L. Viganò, Il teatro italiano. Schizzo storico, Cornienti, Milano 1857, p. 86. 80 Ibidem.

81 F.A. Bon, Scene comiche, e non comiche della mia vita, cit., p. 93. 82 Ibidem.

83 C. Meldolesi, F. Taviani, Teatro e spettacolo, cit., pp. 190-191. 84 Stendhal, Roma, Napoli e Firenze, cit., p. 224.

in scena personaggi contraddittori, fatti di pregi e difetti (“gli uomini te li presentava come tante creature i cui pregi non ponno dai difetti andare disgiunti”79), allo stesso tempo finisce per edulcorarne gli ef-

fetti con delicate pennellate rassicuranti: “questi stessi difetti – non vizj – egli non te li dipingeva che con rosei colori”80.

“Difetti”, appunto, non vizi – dipinti per di più con rosei colori: ri- nunciando volutamente alle più inquiete tinte scure di cui si avvarran- no invece spesso Modena e, prima di lui, De Marini.

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 66-71)