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Un nuovo genere

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 77-81)

“Quando Modena riapparve sul teatro italiano – scrive Bonazzi – vi riapparve come fondatore d’una nuova scuola, come creatore di un nuovo metodo di recitare”9. Francesco Regli, consapevole dell’impor-

tanza della novità introdotta da Modena, annota nel suo Dizionario

biografico: “La storia terrà esatto conto della generale sorpresa che

produsse la nuova scuola ch’ei veniva a fondare, e che portava una compiuta rivoluzione nell’arte”10.

Una “nuova scuola” dunque.

In effetti, al ritorno alle scene nel 183911, Modena concentra le

proprie energie su due piani distinti ma complementari.

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12 C.T., Teatro Re, in “Corriere delle dame”, 25 marzo 1841.

13 A. Piazza, Teatro Re, in “Gazzetta privilegiata di Milano”, 13 settembre 1840. 14 “Domandate pure a voi stessi tutto quello che occorra all’artista che voglia farsi

Intanto, per ciò che riguarda l’espressione artistica, dando piena compiutezza a un nuovo genere, il realismo grottesco, e facendosi contemporaneamente interprete in scena di una recitazione dal tratto fortemente antiemozionalistico.

In secondo luogo, sul piano organizzativo, cercando di realizzare a più riprese una compagnia-scuola, stabile, capace di mettere gli attori nelle condizioni migliori per realizzare ciascuno la propria arte e, allo stesso tempo, l’arte della rappresentazione nel suo complesso, intesa come opera unitaria.

Naturalmente i due piani, agli occhi dello stesso Modena, doveva- no risultare strettamente intrecciati, e l’uno – almeno fino a un certo punto – avrebbe dovuto rafforzare l’altro.

In realtà, come vedremo, mentre dal punto di vista dell’espressione artistica Modena riuscì a realizzare quanto aveva in mente, dal punto di vista organizzativo i suoi tentativi si scontrarono con più di un im- pedimento. Circostanza questa che se per un verso rende ai nostri oc- chi parzialmente ragione delle difficoltà affrontate da Modena per portare avanti la sua “riforma”, per un altro contribuirà a rafforzare nell’aneddotica su di lui – in particolare dopo la morte – l’immagine irrigidita e semplificata di un attore concentrato essenzialmente sulla propria grandiosa esibizione solitaria, con ciò tradendo il senso profondo della visione del teatro di Modena, che era invece molto più complessa, articolata e raffinata.

Affronteremo più avanti il problema della compagnia-scuola. Iniziamo ora a precisare e ad approfondire meglio il nodo dell’arte attorica di Modena.

Leggendo le cronache che raccontano del suo ritorno sulle scene, la prima impressione che si ha è che in Modena venga riconosciuto il “rigeneratore” del tragico a teatro.

“Il solo Modena – scrive Tenca nel 1841 – ha compreso la vera di- gnità della tragedia”12. E Piazza, sulla “Gazzetta di Milano”, ricono-

sce che Modena è “il primo uomo il quale [abbia] fatto conoscere co- me, anche in Italia, si possa recitar la tragedia, non declamarla”13.

Bermani, alludendo a quella parte degli spettatori che di fronte al- l’evidenza della grandezza artistica di Modena14frappone una distan-

il degno interprete della tragedia, della tragedia favolosa collezione di uomini e di pas- sioni così spesso evaporizzati attraverso il lambicco dell’idealismo; fabbricate pure un artista a vostro piacere dandogli genio, voce, figura, sguardo, fisionomia eminentemen- te opportuni a tradurre questa vita tragica che ha sì pochi rapporti, e quindi sì leggiere simpatie colla vita prosaica del giorno; e sovra questo artista gettate il sublime paluda- mento d’un manto greco, fra le sue labbra un piccolo ristretto mitologico, nel suo cuore una orrenda e violenta passione, e poi raffrontate questo figlio della vostra immagina- zione con Modena, coll’inimitabile, coll’immenso attore […] Povera fantasia costretta a rinunziare alla tua lotta contro la realtà […] tu non saresti giunta a creare nelle tue ore di solitudine un attore, che come il Modena, ti parlasse con tanta verità ed altezza il lin- guaggio di Dante e d’Alfieri!” (Bermani, Teatro Re, in “La Moda”, 28 settembre 1840).

15 Ibidem.

16 G.I., Teatro Re, in “La Moda”, 7 settembre 1840.

za politica, osserva: “perché mai sono ancora così numerosi gl’incre- duli sul genio di Modena, perché ancora tanti negano la possibilità che un solo attore giunga a rimettere la tragedia sull’altare da cui fu riversata, e far questo col beneplacito, e fra gli applausi del pubbli- co?”15. Un critico acuto come Imperatori, infine, scrive che Modena

“impugna” lo “scettro tragico” che “giaceva negletto”, tanto che que- sto “ramo d’arte rappresentativa” – il tragico appunto – “è risorto, e fors’anco nato con esso lui”16.

Tutti giudizi che, al di là delle parole utilizzate per esprimerlo, tra- discono la percezione di un cambiamento profondo apportato da Modena sulla scena.

Spesso – non solo in questi anni – i cronisti teatrali restituiscono le impressioni avute a teatro attraverso un linguaggio che per noi è oggi effettivamente da decifrare e da approfondire. Si tratta a volte dell’im- precisione nell’utilizzo di alcuni termini o, in qualche circostanza, del fatto che le definizioni adottate abbiano – quasi due secoli dopo – un significato diverso o sfumature differenti. Tutto ciò comporta per lo studioso non solo l’obbligo della cautela nell’interpretarne il vero sen- so ma, soprattutto, la necessità di uno sforzo supplementare di conte- stualizzazione, per cercare di capire di quali impressioni siano il rifles- so e il sedimento sulla pagina scritta.

Se è vero – con il celebre argomento di Feuerbach – che il “salato” è il modo soggettivo per affermare una qualità oggettiva del sale, po- tremmo dire, riferendoci al nostro caso, che le parole utilizzate dai cronisti riflettono in termini soggettivi qualcosa che rimanda a una qualità oggettiva della rappresentazione e dell’esibizione dell’attore: qualità che va indagata sapendo che essa si intravede, traluce, appare

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17 G. Mazzini, Del dramma storico, cit., p. 259. 18 V. Andrei, Gli attori italiani, cit., p. 81.

19 [Sia], Gustavo Modena al Teatro Carignano, in “Il Trovatore”, 9 aprile 1856. 20 T., Teatro Re, in “Corriere delle dame”, 30 settembre 1840.

21 Regli, Teatro Re, in “Il Pirata”, 2 ottobre 1840 (corsivo nostro).

e scompare nella sua oggettività proprio sotto quelle parole, irrime- diabilmente soggettive (come infine irrimediabilmente soggettivo, no- nostante tutto, rimarrà il cimento di chi prova a definirla).

Ma appunto, tornando alle recensioni citate e cercando di capire di quale “qualità oggettiva” siano traccia, ciò a cui i cronisti alludono, scrivendo di un Modena impegnato a far rinascere la tragedia, è in realtà un processo di radicale rivisitazione del tragico, con qualche punto di contatto, almeno nella percezione dei contemporanei, con quel “rigenerare” la tragedia “tormentandola” che Mazzini – lo ab- biamo già ricordato – avvertiva come la cifra profonda dell’operazio- ne teatrale di Alfieri (il che rende anche meglio ragione del motivo del ripetuto accostamento di Modena e Alfieri da parte dei critici della prima metà del secolo)17.

Modena infatti, lungi dal tornare semplicemente alla tragedia, rove-

scia piuttosto, e deforma il tragico, immettendo sistematicamente nella

sua recitazione il contrappunto dell’elemento comico (“Mai sulla sce- na italiana era comparsa tanta morbosità fisica e morale, tanta rivela- zione tirannica improntata da una comicità più unica che rara”18) e lo

spiazzamento del realismo (“Il maggior dei pregi e dei difetti di Gu- stavo Modena è quello di essere troppo vero. Nel Luigi XI, se io con- templo l’attore rimango stupefatto; se il re di Francia nauseato. Po- tenza dell’arte!”19). Quell’apparente voler “rigenerare”20il tragico, at-

tribuito in questi anni a Modena, coincide a ben vedere con la defini- zione consapevole di un nuovo genere, che rubricheremo con termine nostro come realismo grottesco.

Alcuni critici colgono più chiaramente gli intendimenti modeniani. Francesco Regli per esempio scrive di un attore che “va creando” un genere tutto suo:

Gustavo Modena conosce troppo addentro le difficoltà della sua profes- sione per non cercare di perfezionarsi, e specialmente in un genere, ch’ei va creando or’ora… in cui, di mano in mano che inoltrasi, va trovando ei medesi- mo e risorse e pericoli, e triboli e rose21.

22 G. Guerzoni, Gustavo Modena e l’arte sua, in “Il Diritto. Giornale della demo- crazia italiana”, 9 marzo 1865.

23 V. Andrei, Gli attori italiani, cit., pp. 77, 80-81, 83.

24 W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, Einaudi, Torino 1980, p. 23.

Guerzoni annota più tardi come non ci fosse nulla di più “impro- prio” che “chiamare Gustavo Modena ‘attore tragico’”, essendo egli – “per adoperare il vocabolo tecnico” – piuttosto un generico, “ma un generico originale”22.

Vincenzo Andrei – spettatore acuto dell’ultimo Modena e attore egli stesso – ricorda che il Luigi XI modeniano, “profilato da Victor Hugo” (un “arlecchino camuffato da Re” che “riassumeva in sé stess[o] l’elemento tragico, drammatico, comico”), produceva negli spettatori una “commozione nuova”:

poiché era nuovo il caso che il grottesco scenico manifestato con parole spesso comiche, destasse interesse23.

Dove registriamo non semplicemente una conferma della sottoli- neatura comica del tragico operata da Modena ma, appunto, qualcosa per noi in questo frangente ancora più importante: il riferimento al fatto “nuovo” che tutto ciò “destasse interesse”, che avesse cioè la forza della proposta artistica compiuta e consapevole, e consapevol- mente avvertita dagli spettatori come tale.

Modena, irrobustito dalla maturazione intervenuta negli anni del- l’esilio, porta ora a pieno compimento quanto aveva lasciato intrave- dere negli anni giovanili. E realizza così quello che secondo Walter Benjamin appartiene sempre alle grandi opere d’arte in rapporto al genere. Queste ultime infatti, per essere davvero grandi, o “fondano” il genere o lo “liquidano”:

proprio le opere più significative, in quanto in esse il genere non appare per la prima volta ed istantaneamente come l’ideale, si situano al di fuori dei limiti del genere. Un’opera significativa – o fonda il genere oppure lo liquida; nelle opere perfette le due cose si fondono24.

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 77-81)