Giuseppe De Marin
VI. Il realismo grottesco: lo stile, i personagg
L’esilio
Gli anni Trenta costituiscono per Modena un periodo molto inten- so. Anni di distanza dal teatro – è in esilio in Francia, in Svizzera e in Belgio fra il 1831 e il 1839 – ma fondamentali per la sua formazione, anche artistica. Conosce Mazzini, ne diventa amico intimo, partecipa attivamente alla Giovine Italia e poi alla Giovine Europa, entra in contatto con ambienti culturali e teatrali soprattutto francesi, incontra in Svizzera Giulia Calame (che sarà sua moglie e la compagna di tutta la vita), mette a fuoco un vero e proprio pensiero sul teatro e sull’arte. Diremo più avanti della formazione politica, certo è che Modena – pur occupandosi prevalentemente di tutt’altro1– pensa in questi anni
con continuità al teatro, maturando e precisando un proprio punto di vista anche sulla scena italiana, di cui è traccia in alcuni scritti, in par- ticolare Il teatro educatore e Viaggio per Francia di un povero diavolo, entrambi pubblicati a Parigi nel 18362. Un punto di vista arricchito
da due circostanze: la distanza dall’Italia (e dunque anche dalla pro-
fessione comica), che gli consente uno sguardo più distaccato e più lu-
cido sulle cose del teatro; la vicinanza alla temperie culturale francese, vivace e tumultuosa (il 1830 è l’anno della “battaglia” di Ernani, per fare un solo esempio), che esercita una influenza non piccola sulle sue riflessioni.
Nel 1833 scrive da Montpellier a un amico, anch’esso esule, di una sua traduzione di Delavigne declinata in chiave grottesca:
3 Lettera ad A.*** del 15 agosto 1833, ora in E, p. 5. 4 E. Franceschi, Studii teorico-pratici, cit., p. 231. 5 L. Bonazzi, Gustavo Modena, cit., p. 48.
6 T. Grandi, Gustavo Modena, cit., capp. V-VI-VII, pp. 63-64, p. 69, pp. 77-83. Modena recita certamente a Parigi brani della Divina Commedia fra il 1835 e il 1836. Progetta poi il famoso “concerto” londinese nel maggio del 1839 per procurarsi i soldi necessari al rimpatrio in Italia, aiutato da Mazzini e dagli esuli italiani presenti a Lon- dra. Il “grand concert” prevede arie e duetti d’opera di Bellini e Donizetti, brani stru- mentali di violino e soprattutto le “recitations (in character)” di Modena (“The celebra- ted Italian Tragedian who is well remembered by all English visitors to Italy”) che pre- senta al pubblico brani dall’Inferno di Dante e “un coro del Manzoni”, come scrive Agostino Ruffini (T. Grandi, Gustavo Modena, cit., p. 80) e confermano le cronache londinesi (“some extracts from a tragedy by Manzoni”). La “prima” è del 17 maggio. Nonostante qualche replica e l’annuncio fatto da Modena di essere a disposizione per lezioni di declamazione (annuncio riportato sui giornali londinesi dopo il 17 maggio), il risultato dal punto di vista economico non è all’altezza delle aspettative. Ai primi di giugno Modena e Giulia, che nel frattempo aveva raggiunto il marito da Bruxelles, ri- partono per l’Italia passando da Parigi (per le notizie sulle recite londinesi vedi, oltre alle pagine citate di Grandi: “The Morning Post”, 8 maggio 1939; “The Odd Fellow”, 18 maggio 1839; “The Times”, 18 maggio 1839; “The Standard”, 25 maggio 1839; rin- grazio il dottor Diego Laezza che mi ha fornito queste preziose indicazioni reperite alla British Library).
7 Scrive al padre nell’ottobre del 1838: “Il mio fisico non mi consente più di farlo come mestiere; non vi durerei tre mesi senza cadere malato”, aggiungendo di essere an-
Tu riderai di questo stile della Mandragora portato da me profanamente nei sacri, sublimi concetti di Melpomene. Un italiano avvezzo a tener Alfieri per unico tipo di tragedia, dee turarsi le orecchie, scandalizzato e impaurito di tanta sfrontatezza. Tu hai buon senso però; stando fuori d’Italia devi esserti avvezzato alla libertà letteraria, e capirai che questo dramma di De La Vigne non comportava il nostro linguaggio convenzionale sui trampoli, e i passi da angelo de’ nostri Eroi canonizzati tamquam tragediabili3.
Un critico attento come Enrico Franceschi scriverà negli anni Cin- quanta che Modena, alla conclusione dell’esilio, “non ritornava come partito era […] ma arricchito di profonde osservazioni sui comici francesi”4.
Considerazione che verrà ripresa da Bonazzi nella sua biografia, rimarcando l’importanza del “nuovo metodo, come allora dicevasi” introdotto sulle scene italiane da Modena “reduce da lunghi esigli politici”5.
Pur avendo ogni tanto e sporadicamente recitato durante gli anni di distanza dall’Italia6, avvicinandosi il momento del rientro, Modena
si mostra scettico sulla possibilità di riprendere regolarmente a fre- quentare i teatri come attore (anche per motivi di salute7) e conferma
che “offeso nell’udito” (Lettera a Giacomo Modena del 13 ottobre 1838, ora in E, p. 27). Nel 1845 scriverà a Somigli di essere “sordastro” (Lettera a Mariano Somigli del 20 agosto 1845 ora in E, p. 71).
8 Lettera a Giacomo Modena del 12 novembre 1838, ora in E, p. 30. Già nell’ot- tobre scriveva, sempre al padre: “intanto gettate pure, se volete, una lettera a Milano, per farmi avere la direzione del teatro progettato da Battaglia. Direzione e scuola quanti si vuole, ma recitare no” (Lettera a Giacomo Modena del 13 ottobre 1838, ora in E, p. 28). Le incertezze di Modena, secondo la testimonianza di Dall’Ongaro, proseguono fi- no al rientro in Italia: “Egli esitava ancora quando io lo vidi la prima volta a Trieste” (F. Dall’Ongaro, Gustavo Modena, in “Rivista contemporanea”, agosto 1861, pp. 290-291).
9 L. Bonazzi, Gustavo Modena, cit., p. 40. 10 F. Regli, Dizionario Biografico, cit., p. 336.
11 Rientrato in Italia nel mese di luglio, Modena riprende a recitare a Padova all’i- nizio di settembre con la compagnia Berlaffa (vedi quanto scrivono in quei giorni per esempio la “Gazzetta privilegiata di Venezia”, “Il Pirata” e “La Fama”).
semmai di voler perseguire il progetto di una compagnia “stabile”, come già abbozzato qualche anno prima nel Teatro educatore. Scrive infatti al padre nel novembre del 1838:
Se i comici vi domandano s’io torno sulle scene dite pure che no: assoluta- mente non posso più esser attore nelle condizioni dell’arte e degli artisti in Italia: accetterei la direzione d’un teatro stabile a Milano… Ma quello resterà sempre negli spazi immaginari8.
Le cose andranno diversamente, come sappiamo, un po’ per neces- sità (Modena non aveva molte altre possibilità di procurarsi da vivere), un po’ per quella caparbietà, tipicamente modeniana, che pur nel pes- simismo di uno sguardo lucido e per certi versi disincantato scatenava in lui una volontà tenace, contraddittoria ma sempre pronta alla sfida.