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I “giocherelli scenici” di Bon

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 59-63)

Torneremo sul punto, quando affronteremo più approfonditamen- te la poetica artistica di Modena. Per ora limitiamoci a registrare alcu- ne prime avvisaglie di un clima culturale e artistico in via di cambia- mento.

Una spia interessante – a suo modo parziale – di questa nuova tem- perie la troviamo in un gustoso episodio raccontato da un attore an- ch’esso della generazione precedente a quella di Modena, Francesco Augusto Bon. Un attore molto interessante, arguto, autore di scritti sulla recitazione, memorie, testi teatrali20. Un conservatore intelligen-

te, che aveva in antipatia Modena, sia sul piano artistico che sul piano politico21. Non di meno un attore fortemente consapevole, colto, do-

tato di mezzi espressivi raffinati, la cui prudenza lo porta però a non eccedere mai, a fermarsi a forme artistiche molto sorvegliate, gradevo- li ma equilibrate. Lo rileva implicitamente fra gli altri Prividali, il qua- le dice Bon eccellente nel recitare “i caratteri più stravaganti”22ma lo

rimprovera di non aver reso sufficientemente ridicolo Pellegrin in Sior

Todero Brontolon, troppo timoroso di “mascherarsi a segno di

distruggere esteriormente gli indizi della sua accortezza e del suo talento”23.

Bon racconta nelle memorie di una sua invenzione teatrale, “una commediola vivace, che tuttora mi sembra non mancare di una certa tinta di novità”, mai pubblicata perché di “assoluta circostanza”24.

Avviando un corso di recite a Milano (probabilmente nel 182725), la

prima sera un attore compare a proscenio, “tutto mesto e sconforta- to”, a dire che la compagnia, in arrivo da Genova (che effettivamente era la piazza precedente), è in ritardo:

È l’ora di dar principio allo spettacolo, il teatro è pieno d’uditori, e due terzi della compagnia non sono ancora arrivati. In sì trista circostanza come

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26 F.A. Bon, Scene comiche, cit., p. 220. 27 Ibidem.

28 Ivi, pp. 220-221. 29 Ivi, p. 220. 30 Ivi, p. 221.

regolarsi? – Si dà indietro il denaro, – rispondeva ad alta voce un attore con- fuso fra gli spettatori. – Bravissimo – gridava tutto il pubblico, battendo le mani, – bravissimo – ripetevano più voci – si dà indietro il denaro – e molti si alzavano, uscivano e andavano al camerino dell’impresa per riprendere il loro biglietto d’ingresso26.

Ma qui riprendeva il dialogo fra palcoscenico e platea:

L’attore soggiungeva che quello era l’ultimo dei rimedi al quale la pruden- za insegnava di ricorrere, e ch’egli credeva migliore avviso di sostituire alla commedia nuova già annunziata (Trovatemene un’altra) due graziose farse… Quello di prima ripiglia ironicamente – Due farse? Certamente Il pazzo ragio- nevole, e L’ombra di Rinaldo! – Le quali due farse siccome conosciutissime erano venute a noia a tutto il pubblico. Gli spettatori tornavano ad applaudi- re l’intrepido oppositore, non sospettando mai un attore della compagnia27.

A questo punto dai corridoi dei palchi giunge voce che gli attori stanno sopraggiungendo in teatro:

si sentiva correre pel corridoio de’ palchi, e gridare di dentro – Alzate il si- pario, che sono qui – […] gli attori comparivano a tre a quattro tutti vestiti da viaggio, ma tutti con qualche malanno addosso. Chi per aver viaggiato di notte aveva guadagnato una flussione d’occhi, chi d’orecchie, a chi si era ab- bassata la voce, chi s’era stravolto un piede ecc. ecc. Il primo attore era deso- latissimo di dover mancare al suo impegno […] chiedeva conto del direttore, e gli veniva risposto che il direttore passeggiava al chiaro di luna sulla piazza del Duomo, pensando al prologo28.

E mentre il pubblico “incominciava a indovinare la burla, e con piacere ne prendeva parte”29, giunge in teatro anche la prima attrice a

raccontare la disgrazia accaduta alla compagnia: “un carro dei nostri equipaggi si è rovesciato nel fiume, e la più parte dei nostri effetti è perduta”30. Gli attori, a questa notizia, “davano tutti segno di dispe-

razione”. Insomma, conclude Bon, “questa rappresentazione d’ingan- no divertì moltissimo”:

Intanto giacché il direttore non compariva, e tanto tardi si era riserbato onde pensare al prologo si deliberava di non tediare più il pubblico, e di dar 60 Gustavo Modena. Teatro, arte, politica

31 Ibidem.

32 G. Modena, Il teatro educatore, cit., p. 247. 33 F. A. Bon, Scene comiche, cit., p. 221.

principio alla commedia. Allora il suggeritore sorgendo dalla sua tana, e diri- gendo la parola al primo attore gli diceva che mancava il manoscritto; aven- dogli detto il direttore che lo avrebbe portato in teatro con sé. Nuovo scom- piglio! E come si rimedia?... Ecco improvvisamente comparire l’aspettato di- rettore con la nuova commedia. Nuovi applausi. Si domanda del prologo… e il prologo è già bello e rappresentato, giacché gl’inconvenienti che possono procedere ad una compagnia comica sono stati esposti con la maggior verità31.

È evidente qui l’arguzia di Bon. Un attore molto sensibile al “gio- co” teatrale, capace di sfruttare fino in fondo, con intelligenza e cu- riosità, le prerogative dell’arte scenica cimentandosi con la finzione su più livelli (quando si ritirerà dal teatro, scriverà e reciterà un testo in- titolato Addio alle scene il cui oggetto è il suo – proprio il suo, di Bon – abbandono delle scene). Allo stesso tempo un attore attento a fiuta- re l’aria che tira, pronto a registrare una esigenza crescente nel pub- blico di misurarsi con elementi di “realtà” anche all’interno della rap- presentazione – e cioè, in fin dei conti, con elementi di realtà della rappresentazione. L’irruzione degli attori nella “commediola” è lo specchio, nel tranquillo mondo teatrale dei “giocherelli scenici” di Bon (l’espressione è di Modena32), di quell’irrompere della realtà nel-

la storia di cui si è detto. Ma in Bon, appunto, tutto ciò resta sempli- cemente un gioco, un coup de théâtre, e non sembra avere molto dello spiazzamento e del rovesciamento che è proprio invece –come vedre- mo – del realismo. Egli lascia intravedere una crepa – e qui sta uno dei motivi di interesse della sua figura – che però si manifesta per ora nella sua semplice variante piacevole e leggera. La cosa infatti può funzionare solo per poco tempo (e per poche piazze: “tolta la novità la si scioglieva come una bolla di sapone”33), perché il bello sta nella

sorpresa, non nel rovesciamento che potrebbe prodursi. Bon è natu- ralmente in questo senso molto distante dall’approccio metateatrale che maturerà poi, nella fase “regressiva” della modernità, con l’arte del Novecento, quando quella gradevolezza diventerà sgradevole per- ché indirizzata ormai risolutamente a scardinare il canone artistico: a contraddire, attraverso le sue convenzioni, l’arte ufficiale.

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34 Sul rapporto di Modena con la tradizione teatrale vedi anche: E. Buonaccorsi,

L’arte della recita e la bottega. Indagini sul grande attore dell’800, Bozzi, Genova 2001,

pp. 46-47, 56-57, 77.

35 G. Modena, Maometto o il fanatismo. Lettera a Francesco Regli, o “due parole

d’esordio” (1857), ora in S, p. 313.

36 G. Modena, Stramberie di Democrito, cit., p. 267. 37 G. Costetti, Il teatro italiano nel 1800, cit., p. 119. 38 Ivi, p. 114.

39 L. Bonazzi, Gustavo Modena, cit., p. 68.

40 G. Bottiroli, Teoria dello stile, La Nuova Italia, Firenze 1997, p. 229.

Tradizione e innovazione

Modena ha un rapporto ambivalente con gli attori della generazio- ne precedente alla sua. Ne raccoglie in parte l’eredità ma ne contrasta su altri piani lo stile. Anzi, è proprio portandone a compimento il la- scito artistico che giunge paradossalmente a modificarne in profon- dità, e a volte addirittura a rovesciarne, alcuni dei tratti stilistici34.

Innanzi tutto ne raccoglie l’eredità, misurandosi e ripensando il “vero” di cui quegli attori sono stati interpreti e conducendo a piena maturazione ciò che in loro si presentava ancora in nuce. In questo aspetto troviamo una delle manifestazioni più interessanti dell’arte di Modena, il quale trasforma gli elementi di maggior “realismo” – che a propria volta immette nella recitazione – in puntelli di una poetica ca- pace di spiazzare le attese del pubblico, vero e proprio grimaldello, come vedremo, per “aprire gli occhi alle cieche moltitudini”35. Un

realismo che infatti non sarà mai banale e “digestiva” (il termine è dello stesso Modena36) riproduzione della realtà. Lo noterà diversi

anni più tardi Giuseppe Costetti: “Non già ch’egli parteggiasse per quegli scolorimenti della dizione scenica, che quarant’anni dopo ve- dremo gabellarsi per metodo moderno da attori impotenti e da critici microcefali”37.

Ed è proprio sviluppando ciò che eredita dai maestri che Modena riesce a porre “modo, freno, e indirizzo” all’enfasi della generazione precedente, rovesciandone lo stile38. Egli – scrive Bonazzi – si incarica

di “abbattere l’antico metodo di recitare compassato e pesante” sosti- tuendovi “una maniera più disinvolta e più rapida”, mai però dimen- ticando la necessità di attenersi al “vero scenico”39(Modena sa bene

che il problema nell’arte non è mai sbarazzarsi della “convenzione”, ma della “sua variante povera”40)

41 L. Bonazzi, Gustavo Modena, cit., p. 68. 42 Ivi, pp. 68-69.

43 Ne abbiamo notizia da un copione conservato alla Biblioteca del Burcardo di Roma. Sul frontespizio si legge “Lear re d’Inghilterra | dell’attore | Giacomo Modena”. Il testo, in 5 atti, è un rifacimento shakespeariano. Al fondo del manoscritto il permes- so per la rappresentazione datato Venezia, 4 ottobre 1827 (periodo che precede il soda- lizio artistico fra Gustavo e il padre: non avendo altre notizie al proposito non sappia- mo se Gustavo recitò mai in seguito quel testo).

44 Vedi G. Modena, Massime e assiomi sull’arte della parola, in “Il Pirata”, 4 agosto 1840; G. Modena, Un mio pensiero, in “Il Pirata”, 16 ottobre 1840.

Quel medesimo che nella recitazione introduceva quella sprezzatura e quell’abbandono che vela l’arte, era maestro nel modo di dire il verso e di puntare il periodo41.

E ancora:

a quegli attori che per paura di declamare, e per mal inteso amore di verità e novità spoetizzano la stessa poesia, rammenterò come l’accento poetico fos- se il pregio artistico che nel grado più eminente il Modena possedesse42.

Sprezzatura, abbandono, finzione naturalmente esibita: Modena, attraverso una spiccata e raffinata sensiblerie realista, mette a fuoco un nuovo stile, giungendo al cuore del problema della recitazione, che per l’attore coincide con la capacità di misurarsi concretamente sulla scena con la realtà della finzione (più che con la finzione della

realtà), facendo i conti fino in fondo con il carattere artificiale e co-

struito del teatro e raccogliendone perciò la vera sfida artistica. Con Modena iniziamo a capire qualcosa che caratterizza tutta la modernità teatrale e cioè che uno degli oggetti più interessanti del teatro è il teatro stesso.

Nel documento Gustavo Modena. Teatro, arte, politica (pagine 59-63)