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1. Quella dei patrimoni cartolarizzati può essere considerata una fattispecie di imputazione di redditi da fonti non possedute solo in una prospettiva economica, non giuridica: i portatori dei titoli sono sì rimborsati con i flussi dei crediti posseduti dalla società-veicolo (o spv), ma percepiscono un reddito di capitale o d’impresa, che origina dai titoli sottoscritti105. Si tratta, invece, di un’altra ipotesi di “redditi provvisori”, ossia “temporaneamente senza possessore”, che è utile segnalare perchè ha posto problemi in parte simili a quelli dell’eredità giacente, ma la cui soluzione, in mancanza di una disciplina specifica, è stata lasciata all’interpretazione amministrativa.

Nel modello-base di cartolarizzazione previsto dalla l. 130/99106, la società-veicolo acquista dall’originator un portafoglio di crediti, normalmente incagliati, finanziandosi tramite l’emissione di titoli - generalmente, obbligazioni - che saranno rimborsati con i flussi generati dal portafoglio acquistato (e, eventualmente, con i proventi derivanti dal loro reinvestimento).

L’operazione è insomma circolare e i flussi finanziari seguono in senso inverso e uguale i diversi passaggi: il primo flusso è quello che origina dalla sottoscrizione dei titoli e che serve a finanziare l’acquisto dei crediti dell’originator da parte della società-veicolo; il secondo è quello che la società-veicolo consegue dall’incasso dei crediti e dei relativi interessi, dalle plusvalenze da realizzo dei crediti e da altri proventi da reinvestimento, ed è destinato, per legge, al rimborso dei portatori dei titoli (artt. 1, c. 1, lett. b) e 3, c. 2-bis, l. 130/99)107. Al netto dei costi, questi proventi rappresentano l’utile di periodo (o provvisorio) della società-veicolo, da distinguere dall’utile finale che residua al termine dell’operazione, una volta che siano stati soddisfatti tutti i portatori dei titoli, e che spetta alla società-veicolo solo se così previsto nel prospetto di emissione dei titoli (art. 3, c. 3, lett. e), l. cit.).

2. Il trattamento fiscale dell’utile di periodo ha creato, in passato, problemi di carattere teorico, relativi all’imputazione e alla stessa esistenza di un reddito; e di carattere pratico, riguardanti il il rimborso delle ritenute d’acconto subite dalla società-veicolo durante l’operazione. Problemi che non si pongono, o si pongono in misura minore, per l’utile finale, che matura ed entra nel possesso della società o dei portatori dei titoli solo al termine dell’operazione, quando il patrimonio è liquidato e il vincolo di destinazione cessato.

L’utile di periodo è infatti costituito da proventi di cui la società-veicolo non può disporre, essendo obbligata per legge a ritrasferirli ai portatori dei titoli (artt. 1, c. 1, lett. b) e 3, c. 2-bis, l.

105 Specialmente quando la gestione della società-veicolo concerne un numero molto elevato di crediti, si ritiene spezzato il legame tra bene gestito e proprietario giuridico dei relativi frutti. Per analoghe considerazioni, ma in tema di mandato, v. M. Nussi, L’imputazione del reddito, cit., 557.

106 E’ la cartolarizzazione attuata mediante creazione di un nuovo soggetto, che si affianca alla separazione endo-soggettiva, che prevede la cessione dei crediti a favore di un fondo comune di investimento (art. 7, c. 1, lett. b), l. 130). Tra i primi contributi in tema di cartolarizzazione: P. Schlesinger, La cartolarizzazione dei crediti, in Riv. dir. civ., 2001, 265; P. Gabriele, La cartolarizzazione dei crediti: tipizzazione normativa e spunti analitici, in Giur. comm., 2001, 512 s.; L. Carota, Della cartolarizzazione dei crediti, Padova, 2002; AA.VV., La cartolarizzazione. Commento alla

legge n. 130/99, a cura di Ferro-Luzzi, Pisanti, Milano, 2005. Per altri riferimenti, v. S.M. Sepe, Cartolarizzazione, in Dig. comm., (Agg.), Torino, 2009, 65-66.

cit.)108; e che, insieme ai relativi crediti, costituiscono «un patrimonio separato e distinto» da quello generale della società-veicolo e da quello di altre cartolarizzazioni, destinato esclusivamente alla garanzia dei portatori dei titoli e inaggredibile dai creditori generali della società e da quelli di altri patrimoni cartolarizzati (art. 3, cc. 2 e 2-bis, l. cit.)109.

Tale utile, e i suoi componenti, non trovano quindi espressione nel bilancio della società-veicolo, ma nella nota integrativa, e, per il principio di derivazione previsto, per i soggetti Ires, dall’art. 83, d.p.r. 917, non confluiscono nell’imponibile complessivo, restando di fatto detassati sino alla distribuzione ai sottoscrittori (sotto forma di redditi di capitale o di componenti del reddito d’impresa)110

.

Questo (forse inevitabile e) peculiare effetto di sospensione, frutto di un’impostazione contabile consolidata nella prassi111, è stato confermato dall’Agenzia delle Entrate112

, che ha riconosciuto la non imponibilità, in capo all’spv, dell’utile di periodo, perché non posseduto ai sensi dell’art. 72, d.p.r. 917. É stata così respinta la tesi secondo cui, nonostante il vincolo di destinazione, l’utile di periodo generato dal patrimonio cartolarizzato costituiva comunque reddito dell’spv, quale titolare della fonte produttiva113.

108 La società-veicolo può anche reinvestirle medio tempore, ma solo se previsto nel prospetto informativo di emissione dei titoli e, comunque, sempre nell’interesse dei portatori (art. 2, c. 3, lett. e), l. 130).

109 Si tratta di una separazione bilaterale, simile a quella che connota i fondi d’investimento, che, per l’art. 3, c. 2, l. 130, si estende a tutte le somme spettanti all’spv in connessione con l’operazione, che affluiscono sui suoi conti bancari; v. P. Iamiceli, op. ult. cit., 284 s.; e però R. Quadri, op. ult. cit., 44 s., secondo cui i creditori del patrimonio cartolarizzato possono invece aggredire il patrimonio generale della società-veicolo.

110 Per il rapporto di pregiudizialità-dipendenza del reddito fiscale dall’utile civilistico, le componenti che confluiscono nell’utile o perdita risultanti dal bilancio rilevano automaticamente come componenti del reddito fiscale, in un «”concorso” di norme civilistiche e fiscali»; v. M. Grandinetti, Il principio di derivazione, cit., 78, anche per riferimenti. Tuttavia, se è vero che la tassazione dei proventi rilevati a bilancio non costituisce una conseguenza necessaria del principio di derivazione ma una scelta precisa del legislatore - come affermato, tra gli altri, da M. Miccinesi, Le plusvalenze d’impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Milano, 1993, 30 - allora occorrerebbe verificare se lo sia anche l’automatica esclusione dall’imponibile Ires di proventi conseguiti sol perché non iscritti a bilancio. E’ certo che non si applica, in questo caso, l’allora art. 75, c. 3 (oggi, 109, c. 3), d.p.r. 917, che impone di considerare anche i ricavi non imputati a bilancio, la cui portata è limitata alla fase patologica del rapporto tributario (cfr. rel. gov. allo schema di testo unico delle imposte sui redditi, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, sub art. 75; A. Fantozzi, Il reddito d'impresa: relazione introduttiva, in Rass. trib., 1989, I, 6); né l’art. 103-bis (oggi 112) sulle operazioni fuori bilancio, che si riferisce a quelle a termine su titoli, valute e tassi d’interesse; cfr. R. Lupi, op. ult. cit., 393; D. Marisco, L. Zoani, Art. 112 del Tuir: operazioni fuori bilancio, in Rass. trib., 2007, 918. Il problema rimane aperto, non potendosi risolvere in queste poche righe, ma inviterebbe a riflettere sui rapporti che intercorrono tra possesso del reddito, principio di inerenza e principio di attrazione per i soggetti tassabili in base a bilancio. Spunti possono trovarsi in A. Vicini Ronchetti, La clausola dell’inerenza nel reddito d’impresa. Inquadramento teorico e

profili ricostruttivi, Padova, 2016, 92-96. 111

E confermata dalla Banca d’Italia con provvedimento del 29 marzo 2000, recante istruzioni per la redazione del bilancio delle società di cartolarizzazione. L’autorità si è richiamata all’art. 7, c. 5, d.lgs. 87/92, per chiarire che, in applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, l’spv non deve rappresentare a bilancio le attività i cui rischi (di credito) e benefici (interessi) siano stati trasferiti a terzi (i portatori dei titoli, i quali sono appunto rimborsati con e garantiti dai flussi del portafoglio crediti).

112 Ag. Entrate, circ. 6 febbraio 2003, n. 8/E; in senso dubitativo la precedente ris. 26 febbraio 2002, n. 54/E. Per questa soluzione erano già orientati gli operatori: Assonime, circ. 24 maggio 2000, n. 39, 27; C.V. Navone, I profili

fiscali della securitization, in Rass. trib., 2002, 1277, e, con riferimento al solo utile di periodo, G. Luschi, R. Salvatori, La neutralità fiscale della società per la cartolarizzazione dei crediti alla luce del provvedimento della Banca d’Italia del 29 marzo 2000, in il fisco, 2000, 9427; successivamente, e in senso sempre adesivo, E. Di Vona, D.A. Donati, L.

Nannini, Aspetti fiscali della cartolarizzazione ex L. n. 130/1999, in il fisco, 2004, 64.

113 P. Bontempi, G. Scagliarini, La securitization, Milano, 1999, 207-208; R. Lupi, op. ult. cit., 389-390; Id., Per le

società veicolo un allarme esagerato (cartolarizzazione già in linea con le indicazioni del Fisco), Il Sole 24 Ore, 9

Si è perciò posto il problema di come consentire il recupero delle ritenute d’acconto operate dalla banca depositaria sugli interessi maturati medio tempore su conti correnti della società-veicolo, poichè anche questi proventi non concorrono alla formazione del reddito della società, non risultando dal relativo bilancio, e nemmeno al termine dell’operazione, in mancanza di un residuo attivo ad essa spettante114. Problema pragmaticamente risolto dall’Agenzia, in parte confermata dalla giurisprudenza, considerando quelle ritenute un prelievo provvisorio su un reddito anch’esso provvisorio, di cui la società può comunque chiedere il rimborso, o scoputarle, al termine dell’operazione, e anche a nome dei portatori (se spetta loro il residuo attivo dell’operazione)115

. In senso critico, è stato però osservato che un regime di “sospensione” dell’imposizione, in deroga al principio della tassazione del reddito alla produzione, avrebbe richiesto una norma espressa, come quella prevista dall’art. 183, c. 2, d.p.r. 917, per i redditi prodotti durante il fallimento. E, poichè il reddito di periodo non può essere imputato all’spv nè si può attenderne la distribuzione ai portatori dei titoli, va imputato e tassato, come reddito d’impresa, in capo al patrimonio cartolarizzato, quale autonomo soggetto passivo. Il fondo, si spiega, è l’unico centro cui sia possibile riferire la capacità contributiva espressa dall’utile di periodo, perchè esprime l’interesse in funzione del quale può esclusivamente essere utilizzato il reddito in questione. Per questo, non per il principio di derivazione, il reddito non va imputato alla società-veicolo116.

Si aggiunge poi - correttamente - che la tassazione nel periodo di produzione dell’utile provvisorio si rende necessaria perchè questo utile incorpora differenziali tra elementi di reddito che non residuano nei proventi distribuiti ai sottoscrittori dei titoli117.

3. La tesi merita attenzione, perchè coglie un aspetto nodale dell’identificazione del possessore del reddito: la relazione tra reddito e responsabilità patrimoniale.

L’idea del reddito come insieme di utilità acquisibili per soddisfare un ben individuato nucleo di interessi e bisogni, normalmente riferibile alla persona umana ma anche ad altre organizzazioni, è accettabile.

Non è da scartare nemmeno la possibilità di attribuire autonoma soggettività passiva ai patrimoni destinati (se pure a certe condizioni, di cui si discuterà nel prossimo capitolo): si evita, da un lato, che il soggetto passivo debba rispondere col proprio patrimonio generale per un’imposta che grava su un reddito complessivo di cui - in parte - non può disporre; dall’altro, che il fisco veda ridotto, per la stessa parte, la garanzia del proprio credito. Ma si tratta di una soluzione residuale, da percorrere quando non è possibile collegare la capacità contributiva espressa dai redditi generati dal patrimonio ad altri soggetti passivi tipici.

Come si spiegherà meglio oltre, si può infatti imputare il reddito o ai beneficiari della destinazione (i sottoscrittori dei titoli in questo caso) o al soggetto che vanta con esso la più immediata relazione materiale.

In questo caso, la prima non è praticabile, la seconda sconsigliabile.

L’imposizione diretta in capo ai sottoscrittori dell’utile di periodo, al di là delle difficoltà pratiche, rispetterebbe la neutralità contabile dell’operazione ma non il principio di capacità contributiva: manca infatti qualsiasi forma di controllo dei sottoscrittori sull’spv o di partecipazione

Dir. prat. trib., 2001, I, 455; S. Marchese, Nastri, La Dre conferma la soluzione prospettata dalla Spv, Il Sole 24 Ore,

20 novembre 2002. Nella prassi: Ag. Entrate, Direz. reg. Lombardia, nota 24 ottobre 2002, n. 81382.

114 I soggetti passivi dell’Ires scomputano le ritenute d’acconto subite quando i relativi proventi concorrono a formarne il reddito d’impresa, il che a sua volta presuppone la preventiva imputazione a conto economico - in questo caso, come detto, mancante (artt. 3, c. 2, lett. e), d.p.r. 602/73 e 79, c. 2, d.p.r. 917/86).

115 Ag. Entrate, ris. 5 dicembre 2003, n. 222/E; Id., ris. 4 agosto 2010, n. 77/E.

116 P. Laroma Jezzi, I profili soggettivi dell’imposizione nella cartolarizzazione dei crediti, tra separazione

patrimoniale e trust, in Riv. dir. trib., 2003, I, 274-277. 117 P. Laroma Jezzi, op. ult. cit., 300.

alla sua gestione, che consenta loro di apprenderne giuridicamente i redditi (i sottoscrittori sono semplici creditori dell’spv); un’anticipazione dell’imposizione su una ricchezza non disponibile nè giuridicamente apprensibile, peraltro in assenza di un consenso preventivo del soggetto passivo, sembra poco giustificabile.

Si può immaginare di assoggettare l’utile di periodo ad imposizione separata, in capo all’spv, in base ai dati della nota integrativa, di modo da “isolare” anche fiscalmente l’obbligazione corrispondente al reddito e al patrimonio dai quali è garantita (e che sono indisponibili per l’spv). Rispetto alla tassazione provvisoria applicata ai redditi dell’eredità giacente, in questo caso la tassazione separata sarebbe definitiva da subito, senza riliquidazione delle imposte sui sottoscrittori e senza necessità di coordinare l’imposizione sull’spv con quella sui sottoscrittori. Tuttavia, quest’opzione riduce l’appeal dell’operazione.

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