Questi redditi non potrebbero allora dirsi posseduti dal beneficiario, perchè altri per lui li destinano ad interessi che gli pertengono solo in parte e, comunque, di riflesso, indirettamente. Della sua inclusione sociale e della sua condizione di effettiva eguaglianza si interessa infatti la comunità tramite il legislatore stesso, il quale se ne fa indirettamente carico agevolando l’assistenza privata diretta a tal fine.
Si dovrebbe così concludere che nessun prelievo a titolo personale può essere applicato su redditi che non sono liberamente disponibili ad un simile “beneficiario”.
90. Funzioni e limiti del principio di imputazione.
1. Va infine annotato che, come varia la finalità delle norme impositive nelle quali trova applicazione, così varia la funzione del principio di imputazione.
Tipicamente, il principio di imputazione individua il possessore del reddito: i soci delle società di persone e di capitali in regime di trasparenza, i beneficiari individuati di trust e i coniugi per i redditi del fondo patrimoniale.
In altre circostanze, ha anche una ratio difensiva o antielusiva: si pensi all’imputazione dei redditi prodotti dalle CFC e dai fondi immobiliari “trasparenti”.
Ancora, il principio di imputazione può essere previsto per evitare distorsioni ed elusioni: è il caso dell’imputazione dei redditi da locazione (art. 26, comma 1, d.p.r. 917).
2. Pare appena il caso di precisare che il principio di imputazione non “supera” il possesso del reddito, inteso come possesso della fonte; nè può essere utilizzato al di fuori delle ipotesi normativamente previste, al fine di attribuire il reddito ad un soggetto diverso da colui che lo possiede (secondo il criterio generale della fonte).
Il principio di imputazione è complementare al principio della fonte e non distoglie il reddito dal possessore, ma anzi glielo attribuisce.
76 Adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 dicembre 2006, entrata in vigore il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18, la Convenzione intende promuovere e tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone con disabilità, rimuovendo le barriere che ne ostacolano la partecipazione alla società in condizioni di effettiva uguaglianza. La Convenzione, e la legge “dopo di noi” che vi si richiama, è diretta a realizzare i principi fondamentali di dignità, eguaglianza e non-discriminazione, nonché l’autonomia individuale, la partecipazione, l’inclusione nella società e l’accettazione della disabilità come parte della diversità umana (art. 3 della Convenzione); valori e principi tutti che mi pare appartengano alla comunità sociale prima che alla persona del disabile, siccome variamente protetti dagli articoli 2, 3, 32 e 38 della Costituzione. Emblematico è l’art. 19, paragrafo 1 della Convenzione, recante «Vita autonoma ed inclusione nella comunità», che si riporta: «Gli Stati Parti di questa
Convenzione riconosco- no l’eguale diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella comunità, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e prendono misure efficaci e appropriate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e della piena inclusione e partecipazione all’interno della comunità
(…)». Per indicazioni fondamentali, R. Cera, La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con
Esso non può quindi essere applicato de plano per imputare i redditi conseguiti dal mandatario al mandante. Quale che sia la concezione preferita della proprietà del mandatario, è certo che egli trasferisce al mandante i frutti del mandato in adempimento di un obbligo contrattualmente e volontariamente assunto verso corrispettivo; quindi, anche nel proprio interesse.
La sua situazione soggettiva è qualitativamente diversa da quella del coniuge rispetto ai redditi del fondo patrimoniale, da quella del gestore rispetto a frutti del patrimonio destinato ex art. 2645-ter c.c. o, ancora, da quella del trustee rispetto ai redditi prodotti dal trust fund. Ne consegue che, nella misura in cui il mandatario è titolare della fonte produttiva (bene o attività) e mantiene una certa discrezionalità nell’adempimento dei suoi compiti, non può non essere considerato anche il possessore del reddito (ad esempio, quando il mandato è irrevocabile e non è previsto l’obbligo di rendiconto).
3. Tantomeno il principio di imputazione può essere applicato dall’Ufficio per attribuire il reddito all’interponente, in base all’art. 37, comma 3, d.p.r. 600/73.
Questa disposizione prevede che «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputato al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostato, anche sulla nase di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona».
Come si vede, la norma attribuisce agli Uffici il potere, limitato alla fase di accertamento, di imputare il reddito a colui che lo possiede («ne è l’effettivo possessore»), ossia a colui che possiede la fonte produttiva (secondo la teoria prevalente e qui sposata). Non autorizza ad imputare il reddito ad un soggetto diverso dal possessore della fonte.
Ne consegue che questa norma può essere applicata solo a casi di interposizione fittizia (o simulazione relativa), nei quali l’interponente sia effettivamente titolare della fonte produttiva («effettivo possessore»), di cui però appare titolare l’interposto; non può invece essere applicata quando l’interposto mantenga il possesso della fonte ed è, perciò, lui stesso l’«effettivo possessore».
Sembra questa la posizione della dottrina maggioritaria77, la quale - coerentemente - esclude che l’art. 37, comma 3, possa applicarsi a fattispecie di interposizione reale (come le operazioni di “credito passante”, nelle quali l’interposto riceve i proventi derivanti dal mutuo, per poi ritrasferirli all’interponente, terzo rispetto al contratto78
).
L’Agenzia delle Entrate e la Cassazione, invece, hanno affermato che la norma è applicabile anche a tali fattispecie, che la dottrina qualifica di interposizione reale, ma che esse riconducono all’elusione o all’interposizione fittizia (considerando quindi la norma come antielusiva)79
.
77 Tra gli altri, F. Gallo, op. ult. loc. cit.; G. Escalar, op. ult. cit., 44 s.; F. Paparella, Possesso di redditi, cit., 292 s. Si annota che anche l’OCSE sembra attribuire alle norme sull’interposizione, come la clausola del beneficiario effettivo, funzione anti-evasiva. Cfr. commentario al Modello di Convenzione OCSE, sub art. 10, nota marginale 12.4; (OECD),
Discussion Draft: Clarification of the Meaning of “Beneficial Owner” in the OECD Model Tax Convention, 15 July
2011. La letteratura sul tema è vastissima. Per un inquadramento storico del concetto, v. R. Vann, Beneficial
Ownership: What Does History Tell Us, in AA.VV., Beneficial Ownership: Recent Trends, M. Lang et al. eds., IBFD (2013), 271 s.
78
In tema, si vedano P. Borrelli, F. Bonvissuto, Finalità e disciplina fiscale delle “operazioni conduit o di credito
passante” ed eventuali residue potenzialità elusive di operazioni similari, in Boll. trib., 2000, 1302; M. Piazza, Aspetti internazionali della Circolare n. 6/2016, in Fisc. comm. int., 2016, 7, 5.
79 Si vedano le circolari n. 6/E del 2016, 30, 39-41 e n. 32/E del 2011, 13 s. In giurisprudenza, tra le più recenti: Cass., 9 ottobre 2015, n. 20250, in GT-Riv. giur. trib., 2016, 71, con nota critica di Randazzo; Id., 10 giugno 2011, n. 12788,
ivi, 2011, 869, con nota adesiva di Lovisolo. Un’eccezione è invece Cass., 3 aprile 2000, n. 3979, in Giur. it., 2000, 8-9,
con nota di Zoppini. La dottrina prevalente considera anti-evasiva la norma di cui all’art. 37, comma 3 e, come detto, la circoscrive a fattispecie di interposizione fittizia (F. Paparella, op. ult. cit., 293); nel senso che invece dovrebbe applicarsi anche a fattispecie d’interposizione reale, si segnalano G. Falsitta, Spunti critici e ricostruttivi sull’errata
commistione di simulazione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto “abuso del diritto”, in Riv. dir. trib., 2010, II,
375; A. Lovisolo, Il contrasto all’interposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni
La posizione dell’Amministrazione e della giurisprudenza è tuttavia condizionata dalla Corte di giustizia, che ha sovente applicato il principio del divieto di abuso del diritto a fattispecie che, per la nostra tradizione giuridica, sono di simulazione e interposizione80.
Per questo, si è ritenuto che la Cassazione abbia esteso la portata dell’art. 37, comma 3, all’interposizione reale81
. Si tratta, però, di una giurisprudenza non chiarissima, che tende appunto ad ampliare la nozione di interposizione fittizia e di elusione ad ipotesi tradizionalmente ritenute di
interposizione reale82
.
80 G. Falsitta, Note critiche intorno al concetto di abuso del diritto nella recentissima codificazione, in Riv. dir. trib., 2016, I, 716 s.; F. Tesauro, Elusione e abuso nel diritto tributario italiano, in Dir. prat. trib., 2012, I, 700 s.
81
F. Randazzo, Interposizione fittizia ed elusione alla luce della nuova clausola generale antielusiva, in GT-Riv. giur.
trib., 2016, 74.
82 A. Lovisolo, Il contrasto all’interposizione «gestoria» nelle operazioni effettive e reali, ma prive di valide ragioni
CAPITOLO SESTO
IL FATTO IMPONIBILE NEL PRINCIPIO DI IMPUTAZIONE
SOMMARIO: 91. Premessa. - 92. Il principio di omogeneità verticale. - 93. La tassazione separata o nell’imponibile