1. Di particolare interesse è l’imputazione dei redditi prodotti dall’eredità rilasciata ai sensi dell’art. 507 c.c., che costituisce un peculiare (e poco studiato) esempio di possesso di redditi
fisiche, cit., 57-58.
56 V. F. Pepe, Art. 187, in Commentario breve Fantozzi, 935. Su questi problemi, anche nel vigore del t.u. 645/58, v. M. Nussi, op. ult. cit., 127; Id., L’eredità giacente: profili ricostruttivi di diritto tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1991, I, 142 s., 168 s.
57 Soluzione peraltro simile a quella già avanzata da E. Nuzzo, Questioni in tema di tassazione di enti non economici, in Rass. trib., 1985, I, 128 s.; Id., Riflessioni sul presupposto del tributo successorio e degli altri tributi sulla
circolazione della ricchezza, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1984, I, 479. Per una ricostruzione di questo meccanismo, v. M.
Nussi, op. ult. cit., 167 s.; F. Tesauro, Istituzioni. Parte speciale, 1a ed., cit., 128; M. Ingrosso, Erede e eredità (dir.
trib.), in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1988, 4; R. Dominici, Il regime impositivo, cit., 1142 s.; N. Chiechi, La tassazione nei confronti degli eredi e l’eredità giacente nel testo unico delle imposte sui redditi, in Boll. trib., 1988, 610
s.
58
A differenza dell’eredità accettata con beneficio di inventario, i cui beni rispondono in via subordinata anche delle obbligazioni dell’erede (art. 490, secondo comma, n. 3) c.c.), i beni dell’eredità giacente rispondono solo delle obbligazioni imputabili al de cuius e non sono aggredibili dai creditori personali dell’erede, così come i creditori dell’eredità, in caso di incapienza di questa, non possono rivalersi sul patrimonio dell’erede. V. A. Buonfrate,
Patrimonio destinato, cit., 886-887.
prodotti da fonti non disponibili. In questo caso, però, il vincolo di destinazione non incide sull’imputazione del reddito, che continua a seguire il criterio della titolarità della fonte.
Il rilascio dell’eredità rientra tra i negozi di destinazione alla liquidazione: è funzionale al soddisfacimento dei creditori della massa ma anche dell’erede che voglia liberarsi di debiti non propri. L’interesse sottostante sarebbe un compromesso tra questi due: in uno, l’interesse dello Stato al buon governo della massa60.
Entro un mese dalla scadenza del termine per le dichiarazioni di credito di cui all’art. 498 c.c., e se non ha provveduto ad alcun atto di liquidazione, l’erede che abbia accettato con beneficio di inventario può rilasciare tutti i beni ereditari a favore dei creditori e dei legatari. Il rilascio deve avvenire in favore di tutti i creditori e i legatari (art. 507, primo comma c.c.).
Dalla dichiarazione di rilascio, si producono i primi effetti del vincolo di destinazione: l’erede perde il potere di amministrazione e di disposizione sui beni ereditari; gli atti di disposizione eventualmente compiuti restano quindi validi, ma senza effetto rispetto a creditori e legatari (art. 507, terzo comma c.c.).
Oltre che del potere di amministrazione, con il rilascio, l’erede si spoglia anche del possesso dei beni ereditari: dall’atto di rilascio consegue infatti l’obbligo di consegnare i beni al curatore nominato dal tribunale, ai sensi dell’art. 508 c.c., per consentirgli l’amministrazione. Una volta eseguita la consegna, l’erede è e resta, a prescindere dalla correttezza dell’operato del curatore, liberato da ogni responsabilità per i debiti ereditari: i creditori della massa non possono più rivalersi sul patrimonio dell’erede, nemmeno in via sussidiaria (art. 507, quarto comma c.c.). La proprietà resta però all’erede, sebbene privo della legittimazione a disporre dei beni61
.
L’erede non può tenere per sè nemmeno i frutti della liquidazione, p. es.: le plusvalenze da alineazione dei cespiti, i quali sono destinati al soddisfacimento dei debiti della massa. Gli spetta solo l’attivo che residui al termine della procedura, pagate le spese della curatela, i creditori e i legatari (art. 508, terzo comma c.c.).
Trascritta la dichiarazione di rilascio, il tribunale del luogo della successione nomina un curatore, cui affida la liquidazione della massa, secondo le norme degli articoli 498 ss. c.c. (art. 508, primo comma c.c.).
Il curatore è un «gestore imparziale», che svolge un ufficio di diritto privato, vincolato dalla legge nel fine ma non nel modo62. Agisce in modo indipendente rispetto al titolare e ai creditori, cui spettano poteri di controllo e il diritto di rendiconto63. Suo compito è di liquidare crediti e pesi ereditari e, in pendenza della procedura, di amministrare i beni del defunto per conservarli e svilupparne le potenzialità economiche. A tal fine, il curatore detiene i beni nomine proprio – non ne ha il possesso – ed è legittimato a compiere tutti gli atti di disposizione che ritenga congrui alla liquidazione; sta e resiste nei giudizi promossi da e contro i creditori e i legatari, in litisconsorzio necessario con essi64.
Come si vede, il curatore non esercita un diritto di cui non ha titolarità, ma poteri giuridici di amministrazione, conferitigli dalla legge65. Non è, perciò, un rappresentante. Gli effetti giuridici dei
60 M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., 80 s., 114; Cass., 26 ottobre 1979, n. 5619, in Rep. Giur. it., 1979, voce
Successione - Beneficio d’inventario.
61 M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., 26 s.; conff. Cass., 14 giugno 2013,n. 15038, in Rep. Giur. it., 2013, voce
Successione - Accettazione dell’eredità, in genere, n. 2; Id., 9 gennaio 1999, n. 123, ivi, 1999, voce Successione, n. 9;
Id., 19 novembre 1997, n. 11517, ivi, voce Imposte e tasse in genere - Procedimento avanti le Commissioni tributarie,
in genere, n. 11; Trib. Benevento, 19 febbraio, 2010, ivi, 2010, voce Successione - Beneficio d’inventario.
62 L’amministrazione del curatore non è vincolata all’interesse del debitore, ma alla somma di questo e di quello dei creditori; v. M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., 97, 116.
63 M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., 86, 137, 150; sul diritto di controllo, v. ivi, 184, 186.
64
V. Cass., 12 novembre 1979, n. 5832, in Riv. notar., 1980, 580.
suoi atti si producono sul patrimonio dell’erede senza spendita del nome, bensì in forza di legge66 ; egli subentra nella legittimazione a disporre dei beni di cui si è spogliato l’erede con il rilascio.
2. Il curatore non possiede la fonte né i redditi generati dalla massa, che appartengono giuridicamente all’erede. Già sol per questo, non può essergli ascritto il possesso del reddito.
L’erede rimane invece titolare della fonte e pure dei relativi redditi. E’ però privo del potere di amministrare e disporre sia della prima che dei secondi (ad eccezione del residuo, che gli spetta comunque): è un titolare senza legittimazione, con diritti di controllo e rendiconto per l’attività giuridica svolta dal curatore sul suo patrimonio67. Si pone quindi il problema se, anche in questo caso, il vincolo di destinazione incida, e in qual modo, sul nesso di imputazione del presupposto.
La questione tocca direttamente il possesso del reddito: se si ritiene che questo presupponga la libera disponibilità da parte del soggetto passivo, si dovrebbe concludere che il possesso, in tal caso, non spetti all’erede e ci si dovrebbe poi chiedere a chi spetti, se ai beneficiari della destinazione (i creditori) o alla massa, quale autonomo soggetto passivo.
Ora, non sembra che il vincolo di destinazione possa qui deviare l’imputazione del reddito dal titolare della fonte produttiva (l’erede)68
.
A differenza di altri casi, questi redditi sono comunque acquisiti al patrimonio di costui e sono utilizzati per il ripianamento di debiti che comunque a questi, dopo l’accettazione, fanno capo. Come affermato per l’imputazione dei redditi del fallimento69
, dove il fallito – come qui l’erede - perde possesso e amministrazione dei propri beni, la cancellazione di questi debiti misura l’accrescimento del patrimonio dell’erede né più né meno che se egli avesse potuto disporre diversamente del reddito, magari saldando direttamente - e liberamente - i propri debiti. La destinazione della ricchezza al pagamento delle passività è una modalità di utilizzo di una ricchezza già acquisita come reddito.
Convince anche la dottrina civilistica70 il paragone con l’esecuzione forzata individuale, dove pure il ricavato dalla vendita dei beni del debitore è sottratto alla sua disponibilità a vantaggio delle ragioni dei creditori: se si accettasse che il vincolo di destinazione priva l’esecutato del possesso del reddito, si dovrebbe negare la (invece pacifica) imponibilità dei ricavi e plusvalenze realizzati duranti la liquidazione.
Sembra insomma di poter affermare che il vincolo di destinazione non modifica l’imputazione del reddito, quando questo rimanga comunque acquisito al patrimonio del suo titolare.
3. Non può tuttavia trascurarsi che l’eredità beneficiata costituisce un patrimonio separato rispetto al patrimonio generale dell’erede; essa risponde solo dei debiti della massa e con i soli rapporti del compendio (salvo incapienza; nel qual caso, i creditori della massa possono sempre aggredire il patrimonio generale dell’erede). In assenza di una norma tributaria che ne limiti l’opponibilità al fisco, la separazione comporta l’inaggredibilità dei beni della massa per le imposte gravanti sul reddito complessivo dell’erede71
; reddito che, come spiegato, comprenderebbe però anche i redditi della eredità (beneficiata) rilasciata.
66
M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., 87, 94.
67 M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., 93, 96, 99, 100, 106, 113. La legittimazione a disporre dei beni ereditari, di cui si spoglia l’erede, è trasferita al curatore dalla sua nomina; v. ivi, 31.
68 Alla medesima conclusione perviene M. Maccarone, Teoria e tecnica delle imposte sui redditi, II, Milano, 1990, 27.
69
M. Miccinesi, L’imposizione sui redditi nel fallimento, cit., 99.
70 M. Spinelli, Le cessioni liquidative, I, Napoli, 1959, passim; M. Spinelli, L. Barbiera, op. cit., XXXVI.
71 Cass., 3 luglio 1986, n. 4372, in Rep. Giur. it., 1986, voce Imposta successione e donazione - Passività (beneficio di
inventario), n. 14, ha infatti stabilito, seppur in tema di imposta di successione, che, dopo il rilascio dei beni ai creditori,
il fisco può far valere le proprie pretese solo nei limiti del residuo attivo che pervenga all’erede, una volta soddisfatti i creditori dell’eredità; conf. Id., 21 febbraio 2008, n. 4419.
Per evitare questo “effetto collaterale”, occorrerebbe allora prevedere norme speciali per la riscossione, come il frazionamento del debito di imposta, già ipotizzato per i redditi - di pertinenza di terzi - prodotti dai patrimoni destinati ad uno specifico affare; o la tassazione separata, sempre in capo all’erede, dei redditi prodotti dall’eredità beneficiata durante la procedura di liquidazione (escluso il residuo attivo, che spetta all’erede).
Queste considerazioni sollecitano una rimeditazione del ruolo della tassazione separata nelle imposte sui redditi e della relativa giustificazione sotto il profilo della capacità contributiva: non più solo correttivo degli eccessi della progressività, o tecnica per tassare redditi temporaneamente privi di un soggetto passivo (come per l’eredità giacente), ma anche modalità di tassazione di redditi che derivano da fonti vincolate, ossia non disponibili al soggetto passivo. A queste riflessioni sono dedicati alcuni paragrafi della seconda parte di questo lavoro.
47. La destinazione nell’interesse dell’impresa. L’incompiuta disciplina dei redditi