1. Nella prima parte, si è visto che i vincoli di destinazione producono principalmente due effetti: l’inutilizzabilità dei beni (e rapporti) e dei relativi frutti per scopi estranei alla destinazione e l’inaggredibilità per crediti che non trovino causa nella destinazione.
Il primo effetto limita la disponibilità dei beni del compendio e dei relativi frutti e, sul piano tributario, condiziona l’elemento soggettivo del presupposto (il possesso del reddito). Il secondo, invece, interessa l’adempimento dell’obbligazione e condiziona l’eseguibilità della pretesa tributaria.
Si tornerà sul primo effetto nel prossimo capitolo. Ora ci interessa il secondo effetto.
Quando il vincolo ha effetto reale, esso è opponibile anche ai terzi, i quali non possono agire sui beni e diritti del patrimonio destinato, se non vantano un credito compatibile con la destinazione. Poiché, salvo deroghe esplicite, l’obbligazione tributaria è soggetta alle stesse regole delle obbligazioni di diritto comune, questi effetti si producono anche nei confronti del fisco14. Devono
Miccinesi, Solidarietà, cit., 450. Il problema della fonte della solidarietà in materia tributaria e dell’integrazione della sua disciplina si pone però solo per i limitati casi di lacune normative, perché, da un lato, le norme tributarie sanciscono espressamente - e di volta in volta - la solidarietà fra i coobbligati; dall’altro, esse tendono a disciplinare tutte le vicende dell’obbligazione, dalla nascita all’estinzione (v. G.A. Micheli, G. Tremonti, Obbligazioni, cit., 409).
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La ratio della solidarietà risiede infatti in questo; cfr. G. Azzariti, La solidarietà nelle obbligazioni tributarie, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, 622 s.; A. Fantozzi, La solidarietà, cit., passim, spec. 56 s., 109-111; M. Miccinesi, op. ult. cit.
12 Secondo una parte della dottrina, può aggiungersi anche l’ipotesi della responsabilità del liquidatore, ex art. 36, d.p.r. 602 del 1973, che abbia soddisfatto crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnato beni ai soci prima di aver soddisfatto i crediti tributari. Si tratterebbe di una responsabilità disciplinata da una norma tributaria, che ha ad oggetto un debito di imposta e che dipende dal presupposto realizzato dalla società (M.C. Fregni, op. ult. cit., 96-98, ove altri riferimenti). Secondo altra dottrina quella del liquidatore sarebbe, al contrario, una responsabilità di natura civilistica, che trova causa nell’illecito compiuto dal liquidatore e che origina un’obbligazione risarcitoria; quindi, non concernerebbe il debito d’imposta, ma una somma ad esso commisurata e si affianca - non si aggiunge - a quella dei soci; v., tra gli altri, A. Parlato, Il responsabile e il sostituto d’imposta, cit., 417; G. Ragucci, La responsabilità
tributaria dei liquidatori di società di capitali, Torino, 2013, 1-47, anche per richiami di dottrina più recente. 13
La norma ha però scarsa applicazione, perché di solito al fisco basta la responsabilità del sostituto (F. Tesauro,
Istituzioni. Parte generale, 1a ed., cit., 100-101; Id., Istituzioni. Parte generale, 12a ed., cit., 130).
14 P. Russo, L’obbligazione tributaria, in Tratt. dir. trib. Amatucci, I, 22; M.C. Fregni, Obbligazione tributaria, cit.,
quindi escludersi implicite deroghe pro fisco alla limitazione della responsabilità patrimoniale prevista dalle norme civilistiche15.
Si pone allora il problema di stabilire se e a quali condizioni il credito tributario possa ritenersi compatibile con il vincolo di destinazione.
La questione è stata affrontata dalla giurisprudenza, che si è pronunciata dell’iscrivibilità di ipoteca sui beni del fondo patrimoniale per debiti contratti da uno dei coniugi. E’ chiaro infatti che in tanto il fisco può agire sui beni del fondo in quanto si affermi che il suo credito è logicamente e funzionalmente compatibile con l’interesse sottostante la destinazione, che è quello della famiglia (si ricorderà che il fondo patrimoniale risponde solo delle obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia, ai sensi dell’art. 170 c.c.).
La giurisprudenza di legittimità ha equiparato l’obbligazione tributaria a quelle civili, contratte dai coniugi nell’esercizio dell’impresa o della professione, e ne ha misurato la compatibilità con la destinazione in base allo scopo per il quale essa obbligazione è contratta. Assumendo una concezione lata di interessi e bisogni famigliari, ha perciò affermato che anche i crediti tributari, che trovino causa nell’attività di impresa o professionale del coniuge, possono ritenersi compatibili con gli interessi e bisogni famigliari ogni volta che i redditi, cui detti crediti ineriscono, ridondino a beneficio della famiglia16. In tali casi, l’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo è legittima.
Una parte della giurisprudenza di merito ha invece escluso che i crediti tributari presentino quell’inerenza immediata e diretta coi bisogni famigliari che consentirebbe al fisco di aggredire i beni del fondo patrimoniale17.
Di quest’ultimo avviso si è mostrata anche la dottrina civilistica, secondo la quale i debiti tributari sarebbero logicamente e funzionalmente incompatibili con i bisogni famigliari. Si è giustamente osservato che il debito fiscale non può dirsi «contratto» nell’interesse della famiglia, come richiede l’art. 170 c.c., poiché è imposto ex lege per ragioni non particolari ma di rilievo generale, perchè interessano la collettività18.
Tra la tesi della compatibilità relativa e quella dell’incompatibilità assoluta, si è inserita la dottrina tributaristica, la quale ha opportunamente rilevato che il giudizio di compatibilità non deve basarsi sullo scopo per cui l’obbligazione è stata contratta - criterio appunto inapplicabile rispetto ai tributi - ma sulle modalità con le quali il presupposto di ciascun tributo si realizza rispetto alla relazione giuridica che lega il patrimonio destinato al suo proprietario funzionale19.
Così, il fondo risponderebbe per le imposte reali che insistono sul possesso dei beni ad esso afferenti (come l’I.c.i.). Risponderebbe però, secondo questa tesi, anche per la parte di imposta sui redditi proporzionalmente riferibile ai beni del fondo (immobili e partecipazioni) e per quella riferibile ad attività svolte tramite esso, da determinarsi in base al rapporto tra redditi che
15 In questi termini, anche L. Perrone, Profili tributari, cit., 1555; sull’opponibilità dei vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c., G. D’Amico, op. cit., 529 e 537.
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Cass., 7 luglio 2009, n. 15862, in Giust. civ. Mass., 2009, 1051; Id., 18 maggio 2012, n. 7880; Id., 30 maggio 2007, n. 12730, in Giust. civ. Mass., 2007, 1563; Id., 15 marzo 2006, n. 5684, in Vita not., 2006, 796; Id., 5 giugno 2003, n. 8991, in Riv. not., 2003; Id., 18 luglio 2003, n. 11230, in Riv. not., 2004, 15; Id., 18 settembre 2001, n. 11683, in Giust.
civ. Mass., 2001, 1670. Nella giurisprudenza amministrativa, si veda T.a.r. Friuli Venezia Giulia, 10 maggio 2007, n.
369. Nella giurisprudenza di merito, si veda Trib. Taranto, 5 dicembre 2014, in NGCC, 2015, I, 661, annotata da Mattioni. Solo per completezza, si riporta che un diverso filone giurisprudenziale ha riconosciuto la legittimità dell’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo in base all’argomento che l’ipoteca non è un atto dell’esecuzione e, pertanto, non è impedita dall’art. 170 c.c. Cfr. M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità e l’inespropriabilità (limitata)
del fondo patrimoniale, Napoli, 2012, 19 s.; L. Strianese, Il fondo patrimoniale, strumento di articolazione del patrimonio familiare: alcuni tratti patologici rilevanti sul piano tributario, in Dir. prat. trib., 2014, I, 195-197.
17 Trib. Teramo, 26 settembre 2012, n. 647; Comm. trib. prov. Mantova, 10 giugno 2008, n. 71; Comm. trib. reg. Piemonte, 21 ottobre 2009, n. 54/6/2009; Comm. trib. prov. Grosseto, 30 novembre 2009, n. 280/4/2009; Comm. trib. prov. Milano, 20 dicembre 2010, n. 437/21/2010; Comm. trib. prov. Padova, sez. I, 20 gennaio 2011.
18 M.M. Francisetti Brolin, L’indisponibilità, cit., 21 s.; Id., Fondo patrimoniale, debito fiscale, onere della prova, cit.
19 A. Fedele, Destinazione patrimoniale, cit. 317 s.; L. Perrone, op. ult. loc. cit.; S. Mannarelli, Profili civilistici e
concorrono all’imponibile complessivo del coniuge e redditi ritratti da beni e attività in fondo (c.d. metodo del frazionamento dell’imposta, proposto dalla Commissione Gallo anche per la tassazione dei redditi prodotti dai patrimoni destinati.
Questa soluzione s’imporrebbe, di necessità, per rispettare il privilegio che il fisco ha per la quota di tributo relativa ai redditi immobiliari e d’impresa (artt. 2759 e 2771 c.c.)20
.
Questa ricostruzione è stata criticata per non tenere in adeguata considerazione la particolare conformazione del tributo personale sui redditi. Questo s’appunta necessariamente sul reddito complessivo del soggetto passivo, che è costituito da tutti i redditi che compongono l’indice di capacità contributiva considerato e che siano riconducibili al soggetto passivo in ragione della loro libera utilizzabilità.
Ne consegue che il fisco può pretendere dal coniuge il pagamento dell’Irpef collegata ai redditi prodotti da beni in fondo (reddito di fabbricati o di capitali, per esempio) solo se quella ricchezza è: a) inclusa nel reddito complessivo del coniuge; b) da questi astrattamente trasferibile - volontariamente o coattivamente - all’erario per l’adempimento di quel debito21.
Ci pare questo il criterio più corretto in base al quale stabilire se il presupposto dell’imposta è compatibile con la destinazione, perchè considera la peculiare natura e funzione del tributo personale sui redditi (infra par. [86]); non invece l’esistenza di un privilegio, come sostenuto dall’altra tesi, che incide sull’ordine di soddisfazione di crediti che siano tutti già funzionalmente compatibili con quello stesso debito.
2. Applicato al fondo patrimoniale, questo criterio comporta che i coniugi possano rispondere dei debiti tributari relativi ai redditi prodotti dai beni del fondo - nei limiti dei beni in fondo - solo per la quota di Irpef corrispondente ai redditi ad essi imputati pro-quota, in base all’art. 4, lett. a), d.p.r. 917 (redditi fondiari, di capitale e diversi).
Ciò in quanto: a) tali redditi sono pro quota inclusi nell’imponibile complessivo del coniuge; b) il coniuge, come membro della famiglia, è anch’egli titolare dell’interesse della famiglia che, d’accordo con l’altro coniuge, concorre peraltro in prima persona a determinare (art. 144, commi primo e secondo, c.c., così sostituito dalla l. n. 151/1975); e può perciò utilizzare questi redditi per bisogni e interessi che gli pertengono.
La parte di redditi utilizzabile nell’interesse del coniuge determina la misura della responsabilità dei beni in fondo e può essere individuata secondo il predetto metodo del frazionamento.
I beni oggetto del fondo non possono invece essere oggetto d’esecuzione per la parte del debito Irpef riferibile ai redditi derivanti da attività personali del coniuge (redditi di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa), che rimangono imputati al coniuge che li ha prodotti, secondo le regole già esaminate (supra par. [•])22.
3. Il caso del fondo patrimoniale dimostra che vi è (recte: vi deve essere) una relazione di consequenzialità tra imputazione del presupposto impositivo e imputazione della relativa obbligazione. Questa consequenzialità è anche imposta dal principio di capacità contributiva, il quale richiede che l’indice di ricchezza colpito dall’imposta fornisca esso stesso al soggetto passivo i mezzi per adempiervi (infra par. [105]).
Come l’imputazione del presupposto, anche l’imputazione dell’obbligazione risente del grado di disponibilità dei redditi sui quali incide il prelievo; il criterio di imputazione del presupposto dei redditi prodotti dal fondo patrimoniale, assunto dal più volte citato art. 4, lett. a), presuppone appunto la possibilità, da parte del coniuge, di disporre dei redditi prodotti dal fondo anche a proprio vantaggio (supra par. [88]).
20 A. Fedele, op. ult. cit., 319-320.
21 P. Laroma Jezzi, Separazione patrimoniale, cit., passim, spec. 172-173 e 193; Id., La fiscalità dei trust, cit., 600 s.
22
In questi termini, anche L. Perrone, op. ult. loc. cit. In giurisprudenza, si veda Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 25 settembre 2013, n. 177, in Contr., 2014, 721, con nota critica di Francisetti Brolin, la quale ha affermato il principio per cui non possono essere pignorati i beni del fondo patrimoniale per crediti tributari relativi a redditi derivanti dall’attività economica del coniuge.
Anche la soluzione normativa prevista per il trust tiene conto del duplice effetto che la segregazione del trust fund produce sul possesso del reddito e sull’eseguibilità della pretesa tributaria. A differenza del fondo patrimoniale, però, la separazione tra la sfera di interessi del trust fund e del gestore è più netta, come dimostra il fatto che la separazione tra trust fund e patrimonio generale del gestore è bidirezionale (nel senso che i creditori del primo non possono mai rivalersi sul secondo).
La soggettivizzazione del trust ha così consentito di imputare presupposto e obbligazione allo stesso soggetto23. I redditi prodotti dal trust sono infatti: a) inclusi nel reddito complessivo imputabile al trust; b) astrattamente trasferibili - volontariamente o coattivamente - all’erario per l’adempimento di quel debito.
4. Un’altra conferma della correlazione tra presupposto e obbligazione si ricava, a contrario, dalla norma che stabilisce la solidarietà delle persone i cui redditi sono stati cumulati con quelli dell’iscritto a ruolo nel pagamento dell’imposta (art. 34, d.p.r. 602/73).
Il caso tipico è quello dei coniugi che abbiano presentato la dichiarazione dei redditi in forma congiunta. In tal caso, sebbene l’obbligazione sia unica, i presupposti rimangono distinti e sono considerati unitariamente solo ai fini del computo della base imponibile e dell’imposta. Il legislatore ha ripartito di conseguenza la relativa responsabilità, stabilendo che ciascun coniuge è responsabile in solido per i maggiori redditi accertati nei confronti dell’altro. Ciascun coniuge è quindi obbligato in via principale per l’imposta calcolata sul reddito complessivo cumulato e obbligato in solido per l’eventuale maggior debito dell’altro.
Non si tratta di una responsabilità paritaria, perché non è collegata ad un presupposto unitariamente riferibile a entrambi i coniugi. Essi rimangono soggetti passivi ciascuno per il proprio reddito. E’ quindi una solidarietà dipendente, che sorge con l’iscrizione a ruolo delle imposte da essi singolarmente dovute24.
73. Autonomia patrimoniale, principio di trasparenza e di distinzione. La responsabilità