• Non ci sono risultati.

1. I patrimoni destinati ad uno specifico affare costituiscono, dal punto di vista della società che li istituisce, un curioso caso di possesso della fonte (i beni e l’attività del patrimonio destinato) ma non del reddito.

E’ noto che i patrimoni e i finanziamenti destinati ad uno specifico affare sono ad oggi sforniti di una disciplina tributaria ad hoc; ciò che ne ha probabilmente contribuito a frenarne la diffusione, tutt’ora scarsa. Sono infatti rimaste inattuate le proposte della Commissione Gallo per lo studio degli aspetti fiscali della riforma societaria del 2003.

Introdotti dall’art. 2447-bis c.c, sono l’esempio principe di destinazione patrimoniale (endosoggettiva) nell’interesse dell’impresa, nella duplice tecnica della destinazione operativa (art. 2447-bis, lett. a) c.c.) e finanziaria (art. 2447-bis, lett. b) c.c.): strumento di specializzazione della responsabilità la prima, funzionale ad una più efficiente allocazione e gestione delle risorse produttive e del rischio d’impresa, nonché ad una maggiore tutela dei terzi; di finanziamento la seconda, finalizzata ad agevolare il reperimento di mezzi finanziari sul mercato72.

Nelle sue linee essenziali, il patrimonio destinato ad uno specifico affare si caratterizza per una separazione patrimoniale perfetta, non potendo i creditori dell’affare rivalersi sul patrimonio generale della società di gemmazione (art. 2447-quinquies, terzo comma c.c.), sempre che il vincolo sia stato menzionato negli atti relativi all’affare e ferma restando la responsabilità anche del patrimonio destinato per le obbligazioni da fatto illecito (art. 2447-quinquies, ultimo comma c.c.); per l’autonomia contabile, in virtù della quale i beni e i rapporti giuridici afferenti il patrimonio destinato, compresi gli apporti di terzi, sono indicati separatamente nello stato patrimoniale della società di gemmazione, mentre i relativi risultati e le operazioni trovano espressione in un rendiconto e in libri contabili separati (art. 2447-sexies c.c.); per la presenza di un controllo contabile ad hoc e di un’organizzazione di gruppo, portatrice degli interessi dei partecipanti, che si articola nelle assemblee speciali dei possessori degli strumenti partecipativi, emessi per l’affare, e in un rappresentante comune (art. 2447-octies c.c.)73.

72 V. le relazioni alla legge delega 366 del 2001 e allo schema di decreto delegato, poi d.lgs. 6 del 2003.

73

Per indicazioni bibliografiche essenziali, si veda: R. Santagata, Patrimoni destinati a «specifici affari», in Dig.

comm., 3° Agg., 2007, Torino, 611 s. Per una sintesi della disciplina, v. B. Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447-bis, lett. a) c.c.), in Contr. impr., 2003, 164 s.; M. Rubino De Ritis, La costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso,

diretto da Abbadessa, Portale, I, Torino, 2006, 296 s.; per i profili della separazione e della responsabilità, v. P. Iamiceli,

A differenza dei finanziamenti destinati, i patrimoni di cui alla lett. a) dell’art. 2447-bis sono dotati di una struttura organizzativa modellata su quella degli obbligazionisti, per di più rafforzata da meccanismi di controllo più penetranti, a presidio dei terzi finanziatori.

Tuttavia, essi non assurgono a soggetti di diritto, ma costituiscono una modalità di organizzazione dei complessi assetti di interessi che fanno capo ad un certo patrimonio74; ciò spiega perché i finanziatori/partecipanti abbiano ampi poteri di controllo, anche individuali, ma nei limiti di un rapporto che rimane comunque di investimento, rappresentato appunto da un titolo di credito non azionario, e la cui gestione il legislatore ha inteso riservare esclusivamente agli amministratori della società di gemmazione75.

2. L’assenza di soggettività (civilistica) spiega perché entrambe le proposte della Commissione Gallo imputassero l’obbligazione tributaria per i redditi generati dal patrimonio alla società di gemmazione, sul presupposto implicito che questa discendesse dalla soggettività di diritto comune76.

Solo che, mentre la proposta A) prevedeva la confluenza analitica del reddito prodotto dal patrimonio nell’(unico) imponibile della società, con liquidazione di un’unica imposta, la proposta B) prevedeva la determinazione, in via separata, del reddito generato dall’affare, da scomporre poi in due parti: una, riferibile all’apporto della società di gemmazione, era sommata all’imponibile di questa o sottratta, in caso di perdita; sull’altra, riferibile agli apporti dei terzi, veniva applicata in via separata l’imposta, da versarsi a cura della società, con rivalsa obbligatoria mediante ritenuta sui proventi successivamente corrisposti ai partecipanti.

Riprendendo una tesi già avanzata in dottrina77, si proponeva poi di limitare la responsabilità del patrimonio destinato alla frazione d’imposta corrispondente ai redditi ad esso riferibili: nell’articolato B), il patrimonio avrebbe risposto per l’intera imposta calcolata - in via separata - sulla quota di reddito imputabile ai terzi; nell’articolato A), per la porzione di patrimonio corrispondente alla quota d’imposta riferibile ai redditi da esso prodotti78

.

3. Se la proposta A) obliterava la separazione patrimoniale e l’indisponibilità dei relativi redditi, che non sono utilizzabili per il pagamento delle imposte gravanti sul reddito “generale” della società, nella proposta B), la porzione di reddito dell’affare spettante ai terzi rimaneva tassata in capo alla società di gemmazione: una soluzione certo rispettosa del regime di separazione, anche contabile, e in linea con la sottostante idea di riferire i risultati dell’affare esclusivamente al patrimonio separato, ma che suscitava più di un dubbio sull’effettivo possessore del reddito79

. A tal

patrimoni dedicati nella riforma societaria, in Soc., 2002, 665 s.; sulla disciplina contabile, v. infine G.E. Colombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati, cit.

74 Tra gli altri: P. Iamiceli, op. ult. cit., passim e 535; A. Gemma, op. ult. cit., 154 s. V. però le speculazioni di P. Schlesinger, Patrimoni destinati ad uno specifico affare e profili di distinta soggettività, in Dir. prat. soc., 3, 2003.

75 R. Santagata, op. ult. cit., 621 s.

76

Lo conferma M.C. Panzeri, La riforma del diritto societario e la disciplina degli strumenti finanziari e dei

patrimoni destinati: soluzioni a confronto, in Dir. prat. trib., 2003, I, 1082, che riporta come la soluzione sia dipesa

dalla riconosciuta mancanza di “personalità giuridica” - non “soggettività”, si badi bene - dei patrimoni destinati. Era d’altronde questa la posizione dello stesso presidente della Commissione: si vedano gli scritti di F. Gallo citati infra nel quarto capitolo.

77 A. Fedele, Destinazione patrimoniale, cit., 320.

78 Art. 35-bis, d.p.r. 602/73. Data un’unica base imponibile di 50, un reddito dell’affare di 10 e un’unica imposta di 20, nel caso fosse stata adottata la proposta A), il fisco avrebbe potuto aggredire il patrimonio destinato solo per 4 (tale essendo la quota dell’imposta sul reddito complessivo della società, 20, corrispondente al rapporto tra il reddito complessivo, 50, e quello dell’affare, 10).

79 Cfr. P. Laroma Jezzi, Separazione patrimoniale, cit., 342 s. Non sono però mancati apprezzamenti della dottrina per questa seconda proposta: D. Stevanato, Il regime fiscale dei “patrimoni destinati” nell’incompiuta disciplina

dell’i.r.e.s., in Dir. prat. trib., 2004, I, 223 s.; Id., Patrimoni destinati: ipotesi di regolamentazione fiscale, in Rass. trib.,

proposito, si osservava che, una volta imputato al patrimonio il reddito da questo generato e la relativa obbligazione, se ne doveva necessariamente ammettere l’autonoma soggettività passiva80

. Oltre a valorizzare forse troppo il vincolo di destinazione in chiave di soggettività passiva, questa critica trascura che il possesso del reddito non può essere imputato al patrimonio destinato. Per una parte, il reddito generato dall’affare appartiene giuridicamente alla società, che ha facoltà di disporne liberamente, e confluisce nel suo imponibile complessivo Ires; sull’utile relativo all’altra porzione, invece, i partecipanti vantano un diritto di credito (eventualmente incorporato nello strumento partecipativo sottoscritto) che diviene automaticamente esigibile, e aggredibile dal fisco, con l’approvazione del bilancio che accerta l’utile generato dall’affare, senza bisogno della delibera di distribuzione ex art. 2433 c.c.81.

Si ha, insomma, un meccanismo simile a quello previsto dagli artt. 2261 e 2262 c.c. per gli utili dei soci delle società di persone. Con l’approvazione del bilancio, i partecipanti all’affare maturano ex lege il diritto a percepire una porzione del reddito generata dall’affare (che, giustappunto, riduce l’utile di esercizio del bilancio relativo al patrimonio separato82

). Ciò che avrebbe potuto legittimare l’imputazione diretta ai partecipanti di tale reddito, come per i redditi prodotti dalle società di persone83.

Essendosi tuttavia ritenuto di non imputare ai partecipanti il possesso della quota parte di reddito loro spettanto, la tassazione separata si prestava come tecnica - certo anomala rispetto alla sua funzione tipica84 ma - necessaria per “isolare” la porzione di reddito imputabile ai partecipanti ed evitare di confonderla con quella spettante alla società85. Una sorta di acconto, insomma, sull’imposta personale dovuta in via definitiva dai partecipanti; imposta che però, per ipotesi, avrebbe anche potuto riflettere un reddito inesistente a livello del patrimonio, essendo la remunerazione degli strumenti partecipativi indeducibile dall’imponibile Ires del patrimonio destinato (e parzialmente detassata a livello del partecipante)86.

trib., 2004, I, 703; R. Dominici, La fiscalità dei patrimoni di destinazione, in Tributimpresa, 2, 2004. Per la proposta B)

era invece V. Ficari, Soggettività tributaria e possesso di reddito nella disciplina della cartolarizzazione dei crediti e

dei patrimoni destinati, in Giur. delle imposte, 2003, 1358, il quale trascura però che il vincolo di destinazione è

opponibile anche al fisco, salvo deroghe, e , di conseguenza, i profitti dell’affare di pertinenza dei terzi, non possono essere impiegati dalla società di gemmazione per assolvere la propria imposta sul proprio reddito complessivo. Sul punto, si veda infra al parr. [72 e 84].

80 Cfr. P. Russo, I soggetti passivi dell’Ires, cit., 337, 341-342; P. Laroma Jezzi, op. ult. cit. loc. cit.

81 R. Santagata, op. ult. cit., 618.

82

G.E. Colombo, op. ulti. cit., 52-54; Assonime, Circolare 14 luglio 2004, n. 32, 21 s. Poiché è già depurata della quota di utili o perdita di pertinenza dell’apportante, la voce di conto economico del patrimonio separato “utile (perdita) dell'esercizio” esprime solo l’utile o la perdita di pertinenza della società.

83 Il riferimento è alla teoria della produzione, esposta al paragrafo [2]. Si tenga presente che il discorso fatto nel testo vale solo per i soggetti che adottano i principi contabili nazionali, dato che i soggetti IAS/IFRS non rileverebbero a conto economico proventi e oneri di un affare i cui rischi e benefici siano stati trasferiti ai partecipanti.

84 Che è quella di mitigare la progressività dell’imposizione personale; cfr. R. Perrone Capano, Tassazione separata, cit., 1-2. Si pensi alla tassazione separata dei redditi prodotti dal cuius ma percepiti dagli eredi, di cui all’art. 7, c. 3, d.p.r. 917, su cui v. F. Tesauro, Istituzioni. Parte speciale, 2a ed., cit., 22-23; N. Chiechi, op. ult. cit., 609.

85 La quale sarebbe stata così obbligata a corrispondere l’imposta anche su un reddito non disponibile. Conf. G. Tabet,

Profili fiscali dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2004, I, 90.

86 L’indeducibilità della remunerazione degli strumenti finanziari partecipativi è disposta dall’art. 109, c. 9, lett. a), d.p.r. 917, per la parte di correlata ai risultati dell’affare; l’esenzione a livello del partecipante, per la medesima porzione, dagli artt. 47 e 89; v. P. Pacitto, Aspetti fiscali dei nuovi strumenti finanziari partecipativi, in Imposta sul

reddito delle società Tesauro, 302-304; M.C. Panzeri, op. ult. cit., 1077-1079. Seguendo la proposta B), se dall’affare

derivassero solo proventi esenti, e non vi fossero altre variazioni fiscali sul relativo utile d’esercizio, il relativo imponibile sarebbe costituito solo dalla parte indeducibile delle remunerazioni dovute ai partecipanti e la società sarebbe debitrice di un’imposta su un reddito virtuale, oltre che non spettante.

Ben maggiori perplessità suscita però l’attuale normativa, la quale ha accolto di fatto la proposta A)87, sia sotto il profilo della mancata corrispondenza tra obbligazione - imputata alla società - e capacità contributiva, espressa da un reddito che confluisce nell’imponibile dei partecipanti (se pure come reddito di capitale), sia per la scarsa considerazione dei peculiari effetti della separazione sulla realizzabilità del credito erariale. E difatti, il reddito complessivo della società di gemmazione non comprende l’utile di pertinenza dei terzi. Il credito Ires non può quindi né sorgere né soddisfarsi su questa porzione di reddito e nemmeno sulla relativa parte di patrimonio (infra par. [72 e 84].

Non sorgono invece dubbi sull’imputazione dei proventi derivanti dall’operazione sovvenzionata con un finanziamento destinato ex art. 2447-bis, lett. b) c.c. Si tratta infatti di proventi che la società finanziata è tenuta a “girare” al finanziatore a titolo di rimborso: a tali proventi corrispondono eguali costi, pari all’importo da rimborsare, sicché gli effetti reddituali, per la società, sono nei differenziali positivi o negativi88. La separazione patrimoniale, qui, è solo “virtuale” e non comporta effetti diversi da quelli di altre forme di garanzia89.

48. Segue. L’imputazione dei redditi prodotti dal contratto di rete senza soggettività.

Outline

Documenti correlati