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1. Fino ad ora, si è parlato genericamente di dissociazione tra titolarità della fonte produttiva e del reddito e si sono esaminate alcune fattispecie in cui questa separazione si atteggia diversamente.

Si è visto che talvolta la titolarità della fonte reddituale, intesa come relazione giuridica rispetto al bene-fonte o all’attività-fonte118, spetta a un soggetto diverso da quello cui è imputato il reddito: oltre ai soci accomandanti delle società trasparenti, che non esercitano l’attività-fonte, si pensi al fondo patrimoniale costituito con beni di proprietà di un coniuge soltanto, il cui reddito è imputato anche al coniuge non proprietario ma co-gestore; o al risultato di gestione dei fondi immobiliari, imputato ai sottoscrittori qualificati, anche se non sono titolari delle attività del fondo.

In altri casi, la fonte è nella titolarità giuridica del soggetto passivo ma questi non può disporne liberamente, per la presenza di vincoli di disposizione: è il caso dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, che appartengono alla società di gemmazione ma sono vincolati e questa non può disporne nel proprio esclusivo interesse; o dei redditi derivanti dall’impresa comune, esercitata in rete dalle imprese ma gestita dall’organo comune.

Sembra ora opportuno approfondire la situazione soggettiva di chi è titolare della fonte ma non può disporne (il secondo dei casi scorsi). È infatti alla dissociazione dei poteri e delle facoltà che ineriscono al diritto di proprietà che si ricollega, in questa fattispecie, la dissociazione tra fonte e reddito.

Il modello di riferimento ideale per questo esercizio è rappresentato dalla titolarità nell’interesse altrui e dai vari schemi giuridici dell’agire nell’interesse altrui in cui essa si traduce. Esempi classici sono il mandato senza rappresentanza119, il negozio fiduciario120 e il trust.

118 V. F. Paparella, L’imputazione soggettiva, cit., 53-56.

119

Riferimenti tradizionali sono: S. Pugliatti, Sulla rappresentanza indiretta, in Studi sulla rappresentanza, Milano, 1954; R. Sacco, Principio consensualistico ed effetti del mandato, in Foro it., 1966, I, 1384 s.; A. Ravà, Circolazione

giuridica e rappresentanza indiretta, Milano, 1953; U. Carnevali, Mandato (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XXII,

Roma, 1990. Tra gli studi di stampo commercialistico: G. Minervini, Il mandato, la spedizione e la commissione, in

Tratt. Vassalli, VIII, Torino, 1957; A. Luminoso, Mandato, commissione, spedizione, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, XXXII, Milano, 1984.

120 La fiducia connota, sul piano causale o motivazionale, diversi istituti del nostro codice civile: la fondazione, la dote, il patrimonio familiare, il fondo patrimoniale, il fedecommesso, il mandato, le società fiduciarie. Sulla fiducia in generale si vedano, senza pretesa di completezza: L. Cariota Ferrara, I negozi fiduciari, Padova, 1933; G. Messina,

Scritti giuridici. I negozi fiduciari, Padova, 1948; C. Grassetti, Del negozio fiduciario e della sua ammissibilità nel nostro ordinamento, in Riv. dir. comm., 1936, I, 353; Id., Trust anglosassone, proprietà fiduciaria e negozio fiduciario, ivi, 1936, I, 551; S. Pugliatti, Fiducia e rappresentanza indiretta, in Id., Diritto civile. Metodo-Teoria-Pratica. Saggi,

Milano, 1951, 227 s.; N. Lipari, Il negozio fiduciario, Milano, 1964; G. Palermo, Autonomia negoziale e fiducia (breve

Esulano invece da questo discorso le intestazioni fiduciarie senza trasferimento della proprietà, dove la società fiduciaria non acquista la proprietà ma la mera legittimazione a esercitarne alcune facoltà e poteri nei confronti dei terzi; e che, proprio per questo, non hanno generato grosse dispute sull’imputazione dei redditi direttamente ai fiducianti121

.

2. Mentre il trust ha recentemente ricevuto una disciplina specifica e del tutto peculiare, intorno al mandato e al negozio fiduciario si è registrato un certo dissenso, in dottrina, per quanto concerne l’imputazione dei redditi.

Per linee generalissime, si può dire che il dibattito si è assestato su due posizioni: l’una giuridica, che ricollega l’imputazione del reddito a colui che vanta una relazione qualificata (di titolarità giuridica o causale) con la fonte122; l’altra, per così dire, “economica”, secondo la quale il reddito andrebbe imputato a chi ha la disponibilità economica, intesa come facoltà decisionali sulla destinazione del reddito123. Quest’ultima tesi, in particolare, è stata variamente argomentata ora in base al concetto di proprietà utilitaristica, ora a quello di proprietà sostanziale, entrambe spettanti al fiduciante.

Così, in tema di mandato senza rappresentanza ad acquistare o a gestire un determinato bene, si è sostenuto che il reddito derivante dall’esecuzione del mandato (diverso dalla commissione del mandatario) va imputato a chi, tra mandatario e mandante, abbia la proprietà del bene-fonte124, la quale, a sua volta, cambia a seconda che si ritenga che il mandante acquisti direttamente i diritti acquistati dal mandatario o solo in un secondo momento, a seguito di un ritrasferimento automatico Milano, 1978. Nella dottrina commercialistica: P.G. Jaeger, La separazione del patrimonio fiduciario nel fallimento, Milano, 1968; F. Galgano, Della simulazione, in Comm. Scialoja-Branca, (Art. 1414-1446), Bologna-Roma, 1969; A. Ginevra, La fiducia e i rapporti fiduciari tra diritto privato e regole del mercato finanziario, Milano, 2012. Tra le voci enciclopediche, è d’obbligo ricordare: V.M. Trimarchi, Negozio fiduciario, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 32 s.; U. Carnevali, Negozio giuridico. III) Negozio fiduciario, in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1990.

121 La giurisprudenza ritiene che, nell’intestazione fiduciaria di partecipazioni, non si abbia trasferimento della proprietà, ma della sola legittimazione a esercitare i diritti derivanti dal titolo. Il proprietario dei titoli intestati resta il fiduciante, secondo il noto schema della fiducia germanistica; cfr. Cass., 23 settembre 1997, n. 9355, in Foro it., I, 1323; Id., 21 maggio 1999, n. 4943, in Giust. civ., 1999, I, 2635. In questo senso si era peraltro già espressa la dottrina: tra gli altri, P.G. Jaeger, Sull’intestazione fiduciaria di quote di società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 1979, I, 181; A. Jannuzzi, Le società fiduciarie, Milano 1988, 65 s.; U. Carnevali, op. ult. cit., 2. Si è quindi concluso che soggetto passivo per i redditi della gestione resti il fiduciante, quale proprietario del bene-fonte: Cass., 10 dicembre 1984, n. 6478, in Foro it., 1985, I, 2325. L’opinione è poi trapassata, immutata, nella prassi amministrativa ed è oggi pacifica: v. G. Corasaniti, Profili impositivi dell’intestazione fiduciaria, in Dir. prat. trib., 2009, I, 738 s., per tutti i riferimenti. L’intestazione fiduciaria a favore di soggetti diversi dalle società fiduciarie, invece, comporta il trasferimento della proprietà, secondo il modello del negozio fiduciario romanistica; v. Cass., 21 marzo 2016, n. 5507; Id., 8 maggio 2009, n. 10590, in Soc., 2010, 543, con nota di Di Maio. Sulla differenza tra fiducia romanistica e germanistica, v. Cass., 23 giugno 1998, n. 6246, in Giust. civ., 1998, 2778; M. Graziadei, I diritti nell’interesse altrui, Trento, 1995, 13-14.

122

F. Gallo, Profili fiscali dell’amministrazione e della gestione fiduciaria di valori mobiliari, in Dir. prat. trib., 1983, I, 46 s.; Id.,Prime considerazioni, cit., 39 s.; Id.,Gestione di fondi pensioni da parte di imprese assicuratrici: profili fiscali, in Dir. prat. trib., 1988, I, 1031 s., i quali ultimi due contributi si occupano però delle gestioni fiduciarie

imprenditoriali, di cui alla legge n. 742 del 1986; P. Adonnino, Società fiduciaria. II) Diritto tributario, in Enc. giur.

Treccani, XXIX, Roma, 1993, 4; F. Paparella, Possesso di redditi, cit., 202-203; A. Giovannini, Soggettività tributaria,

cit., 428.

123 A. Lovisolo, Aspetti dell’imposizione, cit., 1272-1275; Id., Il sistema, cit., 314 s.; G. Visentini, L’imposizione dei

redditi che derivano dai valori mobiliari trasferiti «in fiducia», in Giur. comm., 1977, 294; M. Nussi, Intestazione fiduciaria, plusvalenza e normativa fiscale, in Dir. prat. trib., 1985, I, 1179-1182; Id., Fiducia nel diritto tributario, in Dig. comm., VI, Torino, 1991, 89; Id., Fiduciaria (società) nel diritto tributario, ivi, 120; Id., L’imputazione del reddito,

cit., 565; A. Contrino, Trust (imposte dirette), cit., 496.

124 F. Gallo, Profili fiscali, cit., 46 s.; F. Paparella, op. ult. loc. cit.; A. Lovisolo, Possesso di reddito, cit., 1684 s., che esprime una posizione opposta rispetta a quella presa sull’imputazione dei redditi derivanti dall’esecuzione del negozio fiduciario con trasferimento della proprietà.

(che segue al primo tra il terzo e il mandante125). Oppure, e sempre valorizzando il rapporto con la fonte, si è distinto il caso dei redditi derivanti da un mandato discrezionale, che andrebbero imputati al mandatario e poi ritassati anche in capo al mandante, che agisca in regime di impresa, come nuovo fatto imponibile126.

Dagli altri, si è obiettato che una simile impostazione presuppone che sia reciso il collegamento tra bene-fonte e mandante e che fonte del reddito, per quest’ultimo, diventi il contratto di mandato; ipotesi in passato configurabile solo nelle gestioni collettive di masse patrimoniali, previste dalla previgente lett. g) dell’art. 41, d.p.r. 917/86 (nel testo precedente la riforma portata dal d.lgs. 461/97), nelle quali l’attività del mandatario assurge a vera attività imprenditoriale, produttiva di un diverso tipo reddito. Di là da questa ipotesi, il reddito andrebbe comunque ascritto al mandante, salvo casi – peraltro, poco compatibili con lo schema giuridico del mandato - in cui il mandato sia irrevocabile, discrezionale e senza obbligo della resa dei conti127.

In posizione intermedia, si è sostenuto che l’imputazione del reddito dovrebbe seguire le regole previste dalla particolare fonte reddituale, la quale a sua volta discende dalla tipologia di cespite oggetto di mandato: così, nel mandato a gestire immobili, il reddito si ascrive al proprietario dell’immobile; e che da tale criterio ci si dovrebbe discostare quando gli obblighi del mandatario ne vincolino in modo particolarmente intenso l’agire, di modo tale da sottrargli la libera disponibilità del reddito, o, al contrario, siano tanto lassi da attribuirgli, in fatto, la libera disponibilità del reddito (caso limitato al mandato a gestire beni mobili registrati , a prescindere dal fatto che il mandante si sia riservato la proprietà)128.

3. Il confronto si è poi riproposto per il negozio fiduciario, attuato secondo lo schema della fiducia romanistica, e per il mandato alla gestione fiduciaria individuale, anche nella forma dell’intestazione fiduciaria con trasferimento della proprietà al fiduciario129

.

Mentre i fautori della teoria sostanzialistica130 valorizzavano la causa fiduciae per affermare l’imputazione al fiduciante, i secondi argomentavano dalla titolarità del patrimonio gerito per ricondurla alla fiduciaria, negando rilevanza giuridica alla doppia imposizione economica che si verificava sui proventi successivamente trasferiti ai fiducianti131. Eccezionalmente, si sosteneva che i redditi derivanti dall’amministrazione per conto terzi di valori mobiliari in massa potessero imputarsi al fondo fiduciario, costituito con i titoli acquistati con i denari affidati dai fiducianti132.

125 Per la tesi del doppio trasferimento automatico, F. Galgano, Diritto civile e commerciale, t. 2, II, Padova, 1990, 366; G. Minervini, op. ult. cit., 102 s.; A. Luminoso, op. ult. cit., 198 s.; U. Carnevali, Mandato, cit., 2 e 4. Per il trasferimento diretto, invece: S. Pugliatti, op. ult. cit., 440; A. Ravà, op. ult. cit., 23; R. Sacco, op. ult. cit., 1391. In giurisprudenza, prevale la tesi del doppio trasferimento automatico: M. Graziadei, Mandato, in Dig. comm., XI, Torino, 1994, 166, 170; L. Salamone, La c.d. proprietà del mandatario, in Riv. dir. civ., 1999, I, 77 s., anche per riferimenti.

126 F. Gallo, Gestione di fondi pensioni, cit., 1031 s.

127 M. Nussi, Mandato (dir. trib.), in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma, 1990, 2; Id., L’imputazione del reddito, cit., 554. Su una posizione simile si è attestata la prassi amministrativa; v. Ag. Entrate, ris. 2 dicembre 2002, n. 377/E; Id., ris. 21 luglio 2008, n. 309; anche in tema di consorzi con attività esterna: Min. Finanze, ris. 30 maggio 1986, n. 888.

128 E. Belli Contarini, Profili tributari del mandato, in Riv. dir. trib., 1997, I, 526 s., 535, 541-542.

129 Sull’evoluzione della normativa riguardante le società fiduciarie e le diverse attività da queste esercitate, v. M. Nuzzo, IX) Società fiduciaria, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 1094 s.; R. Leo, La fiducia in Italia oggi, in AA.VV., Il

negozio di destinazione fiduciaria. Contributi di studio, Milano, 2016, 43 s.

130 A. Lovisolo, Possesso di reddito, cit., 1690; Id., Aspetti, cit., 1272-1274; M. Nussi, Intestazione fiduciaria,

plusvalenza e normativa fiscale, in Dir. prat. trib., 1985, I, 1179; Id., Fiducia, cit., 89; Id., L’imputazione, cit., 558-559;

C. Vecchio, Gestioni di portafoglio da parte di società fiduciaria. Problemi fiscali, in Boll. trib., 1986, 964. In giurisprudenza, v. Cass., 14 ottobre 1997, n. 10031, in Rep. Giur. it., 1997, voce Società - Società fiduciarie.

131 F. Gallo, Profili fiscali, cit., 50; L. Castaldi, I redditi di capitale, in Giur. sist. dir. trib. Irpef Tesauro, 291; F. Marchetti, Il trattamento tributario delle gestioni di patrimoni disciplinate dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1, in AA.VV.,

Fiducia, Trust, Mandato ed Agency, Milano, 1991, 348; F. Paparella, Possesso di redditi, cit., 188-189. 132 G. Visentini, op. ult. cit., 295-296.

4. Se la tesi sostanzialistica ha talora peccato d’imprecisione, richiamando criteri meta-giuridici di difficile inquadramento, il principale limite della tesi giuridica è di non aver considerato adeguatamente la particolare situazione soggettiva del titolare della fonte reddituale, cui essa attribuisce il possesso del reddito.

Nelle ipotesi considerate, costui è sì titolare, ma nell’interesse altrui133. Il fiduciante assume, infatti, l’obbligo di curare gli interessi dei beneficiari. Gli spettano solo alcuni - o, comunque, in misura minore - dei poteri e delle facoltà tipiche del proprietario, che, secondo la visione semplicistica dei codici ottocenteschi, si concentrano tutte in un unico titolare: egli ha il potere di amministrare la cosa e può disporne secondo la propria discrezionalità, ma tale potere non è libero, perché deve rispettare la destinazione impressagli dal mandante/fiduciante, che, se il trust deed lo prevede, può talora anche ingerirsi della gestione (come nel mandato senza rappresentanza; art. 1705, secondo comma c.c.); di norma, ha anche obblighi di custodia, di tenuta di una regolare contabilità e di rendiconto, soggetti al controllo anche giurisdizionale.

Entro questi limiti, il suo diritto di disporre del bene è discrezionale e autonomo, come quello di qualsiasi proprietario, ma non è pieno, perché patisce limiti.

Un altro limite alla pienezza del diritto del gestore è nel godimento: il titolare nell’interesse altrui non gode liberamente delle utilità del bene, perché ha l’obbligo, coercibile, di trasferirle ad altri; oppure, detto diversamente, gode solo di alcune utilità, non di tutte134.

Il titolare nell’interesse altrui, poi, corre un rischio d’impresa limitato, perché i beni e rapporti amministrati sono separati dal suo patrimonio generale e, come tali, inaggredibili dai suoi creditori personali. Talvolta, questo effetto è stabilito dalla legge (nel mandato, dall’art. 1706 c.c.); altre volte, discende direttamente dalla destinazione. Infine, il diritto di proprietà del titolare nell’interesse altrui è limitato anche sotto il profilo temporale.

Si tratta, insomma, di un diritto di proprietà qualitativamente diverso da quello previsto dall’art. 832 c.c., più simile a una funzione che a un diritto soggettivo classicamente inteso; e che anche la giurisprudenza ha faticato a comprendere, perché abituata a concepire la proprietà come un diritto integro, una posizione soggettiva unificante la detenzione, il governo della ricchezza e quello della circolazione dei beni135.

Come vedremo nel quinto capitolo, questa dissociazione tra poteri-facoltà proprietarie e interesse sottostante può influenzare l’imputazione del reddito, a seconda della posizione soggettiva del destinante, perchè cambia il patrimonio nel quale va a consolidarsi l’incremento reddituale.

Quel che per ora abbiamo acquisito è che la teoria della fonta non sembra individuare, in questi casi, il vero possessore del reddito.

133 In generale, v. P. Rescigno, Proprietà (dir. priv.), in Enc. dir., XXXVII, Milano, 1988, 287 s., 292 s.; A. Gambaro,

Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni,

VIII, 2, Milano, 1995, 609 s., spec. 616; M. Graziadei, I diritti, cit., 340 s. Sul trustee, v. A. Gambaro, I trusts e

l’evoluzione del diritto di proprietà, in AA.VV., I trusts in Italia oggi, cit., 57 s.; Id., Appunti sulla proprietà

nell’interesse altrui, cit., 169 s.; Id., La proprietà del trustee, in AA.VV., Studi in onore di G. Iudica, Milano, 2014, 661 s. Sulla proprietà del fiduciario, v., tra i primi, P.G. Jaeger, op. ult. cit., 365-366. Sulla proprietà del mandatario, v. M. Graziadei, Mandato, cit., 167 e 170, ove altri riferimenti; L. Salamone, op. ult. cit. Sulla «proprietà speciale» del titolare dei patrimoni destinati ex art. 2645-ter c.c., R. Calvo, Vincoli di destinazione, cit., 157.

134 Sicché, il trustee può avere il potere di alienare l’immobile in trust ma non quello di appropriarsi del relativo valore. M. Graziadei, I diritti, cit., 174 s., 198, 202, 344 s.

135 Per un altro esempio di questa tendenza in dottrina, v. R. Costi, La struttura dei fondi comuni di investimento

nell’ordinamento giuridico italiana e nello schema di riforma delle società commerciali, in Riv. soc., 1968, 293, il quale

escludeva che la proprietà del fondo comune di investimento spettasse all’ente di gestione, per il fatto che quest’ultimo non può godere e disporre in modo pieno ed esclusivo dei relativi frutti (per inciso: l’autore oggi ritiene che il fondo comune sia un patrimonio «senza proprietario»; R. Costi, Il mercato mobiliare, cit., 198).

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