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Difficoltà metodologiche nello studio del pluralismo giuridico e definizione dei cardini d

3. Pluralismo giuridico e realtà coloniale

3.1. Difficoltà metodologiche nello studio del pluralismo giuridico e definizione dei cardini d

approccio anti-formalista.

Come abbiamo anticipato, lo studio accademico del fenomeno pluralistico in campo giuridico viene a svilupparsi prevalentemente nelle ultime due decadi del XX secolo in relazione al tema del rapporto triadico tra globalizzazione, pluralismo e modello di configurazione centralistico della sovranità nazionale. Vari studiosi60 esplorano in questo periodo le diverse sfaccettature

teoriche relative allo studio del pluralismo giuridico, soffermandosi spesso sul tentativo di dare una definizione quanto più precisa e compiuta dei suoi connotati ontologici.

Il riconoscimento dell’esistenza del fenomeno pluralistico e della sua rilevanza per la definizione delle relazioni tra società e diritto nel mondo contemporaneo risulta attraversato da una serie di problematiche teoriche di ordine metodologico la cui analisi appare decisiva per la corretta valutazione dello stato dell’arte dello studio sul fenomeno e per una più precisa definizione dell’impostazione futura delle sue linee guida. Tamanaha, a seguito dell’esame di tali problematiche, propone l’adozione di una visione anti-formalista, su cui riteniamo opportuno soffermarsi.

Tamanaha critica gli orientamenti tradizionali alla tematica pluralistica in una serie di studi condotti tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo. Egli identifica in un nucleo di difficoltà di tipo analitico il vero cuore delle problematiche metodologiche delle teorie tradizionali in relazione al pluralismo. A esso, in seguito, si collega un settore di difficoltà di livello strumentale. Sotto il primo profilo, Tamanaha ritiene che il dibattito sviluppatosi negli anni sul concetto di pluralismo sconti un duplice ordine di complessità. Innanzitutto, la condivisione della generica caratterizzazione del pluralismo come coesistenza di più sistemi di produzione del diritto all’interno di un singolo contesto sociale non trova corrispondenza in una condivisione più approfondita della reale portata di tale affermazione, in quanto al fondo del dibattito tra gli studiosi impegnati nella definizione del fenomeno manca un generale accordo sul significato che essi attribuiscono al termine “diritto”. A questo aspetto è legato il secondo ordine di difficoltà di tipo analitico, identificabile nel grado di correlazione tra la definizione del concetto di diritto e il concreto comportamento realizzato dagli individui all’interno del contesto sociale. Se tutti gli studiosi del fenomeno pluralistico concordano sull’irriducibilità del diritto all’esclusiva fonte di produzione formale di origine statale, diverse opinioni si sviluppano sull’opportunità di elevare il comportamento quotidiano degli attori impegnati nell’arena sociale al livello di schemi di valutazione del fenomeno giuridico. Da questa considerazione si sviluppa uno degli aspetti più

60 Si vedano le riflessioni di Marc Galanter, Sally Falk Moore, Peter Fitzpatrick, Roger Cotterell, Gunther

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problematici nell’analisi del pluralismo giuridico, sintetizzabile nella domanda posta da Sally Merry61: “Where do we stop speaking of law and find ourselves simply describing social life?”62.

A questa categoria di difficoltà analitiche Tamanaha collega una problematica di tipo strettamente strumentale, identificabile nell’impossibilità, a fronte di una mancato accordo sulla definizione della preliminare questione analitica, di elaborare un comune approccio scientifico- metodologico in grado di fornire gli elementi necessari alla concettualizzazione di un nuovo rapporto tra diritto e interazione sociale.

Gli orientamenti volti alla definizione del concetto di diritto nell’ambito dello studio del fenomeno pluralistico risultano, secondo Tamanaha, classificabili in due macro-categorie rappresentanti i due estremi del dibattito teorico sul tema: alcuni studiosi si pongono l’obiettivo di definire i connotati del fenomeno giuridico in base alle concrete modalità di comportamento messe in campo dagli attori nei diversi gruppi sociali; altri, al contrario, ritengono necessario, per una valida definizione del concetto di diritto, un suo collegamento con forme istituzionalizzate di imposizione e applicazione delle norme giuridiche. Entrambe tali versioni teoriche del rapporto tra diritto a società, di cui Tamanaha ritiene che i teorici più esemplificativi possano essere considerati Malinowski63 e Hart64, scontano delle difficoltà teorico-

metodologiche collegate alla percezione dell’estensione del concetto di diritto: se il collegamento diretto tra comportamento sociale e diritto conduce a una interpretazione eccesivamente estensiva di quest’ultimo, incapace di distinguere i due piani e di valorizzarne, quindi, le differenze, la dipendenza tra diritto e formale istituzionalizzazione del fenomeno giuridico conduce, all’opposto, a un’eccessiva chiusura delle maglie del concetto di diritto, il quale, così formulato, conduce all’esclusione dei sistemi di regolazione che, sebbene non istituzionalizzati, affermano comunque il proprio carattere giuridico concretamente nella realtà sociale. Su questo doppio ordine di critiche Tamanaha fonda la propria confutazione delle prospettive “essenzialistiche” allo studio del pluralismo giuridico. All’interno di tale categoria, infatti, egli inserisce tutti i filoni costruiti sulle fondamenta teoriche secondo cui “law is a

fundamental category which can be identified and described, or an essentialist notion which can be internally worked on until a pure (de-contextualized) version is produced”65. L’emergere,

seguendo questa metodologia di studio del fenomeno giuridico, di molteplici e spesso

61 Sally Engle Merry, “Legal Pluralism”, in Law and Society Review, vol. 22, no. 5 (1988), pp. 869-896. 62 Ivi, pp. 869-870.

63 Bronislaw Malinowski, Crime and Custom in Savage Society, Kegan Paul, Trench, Trubner & Co, London,

1926. Se Tamanaha ritiene che Malinowski possa essere considerato l’esponente più rappresentativo del filone comportamentista, di un altro avviso è Franz von Benda-Beckmann (si veda “Who’s Afraid of Legal Pluralism?”, in Journal of Legal Pluralism, vol. 34, no. 47 (2002), pp. 37-83).

64 Herbert L. A. Hart, The Concept of Law, Clarendon Press, Oxford, 1961.

65 B. Z. Tamanaha, “The Folly of the ‘Social Scientific’ Concept of Legal Pluralism”, in Journal of Law and

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contrastanti opinioni sulla natura precisa e ultima del diritto dimostra, secondo Tamanaha, che dietro l’approccio essenzialista si nasconde una tendenza alla definizione del diritto secondo un metodo funzionalista, incentrato cioè sulla concezione che il diritto possa essere concettualizzato esclusivamente in relazione al ruolo ricoperto da esso all’interno della società: ogni proposizione riguardante la natura del fenomeno giuridico, in definitiva, costituisce la trasposizione della relativa riflessione in merito alla funzione del diritto all’interno del contesto sociale. Come tale, nell’opinione dell’autore, ogni tentativo di definire i contorni precisi dell’essenza del diritto sconta le difficoltà derivanti dal relativismo insito nella formazione delle diverse opinioni riguardo alla funzione ricoperta nella società da tale elemento. Essa si manifesta, infine, per quanto riguarda il tema del pluralismo giuridico, nelle critiche alle due categorie teoriche sopra riportate, comportamentista e istituzionale, le quali forniscono una lettura o troppo ampia o troppo ristretta del fenomeno giuridico.

Dalla storia dei fallimenti dei vari tentativi di definire con precisione la natura del diritto e di far dipendere da tale definizione la concezione del rapporto tra i diversi ordinamenti insistenti sul medesimo contesto, Tamanaha giunge a concludere che:

[…] There is something wrong with the ways in which the question of what law is has been posed and answered. The source of the intractable difficulty lies in the fact that law is a thoroughly cultural construct. What law is and what law does cannot be

captured in any single concept, or by any single definition66.

L’impossibilità di formulare una precisa definizione del diritto e di utilizzarla come metro di analisi della consistenza dei fenomeni pluralistici dimostra come sia il primo che i secondi costituiscano delle costruzioni eminentemente culturali, definibili cioè solo in relazione a tutti gli elementi afferenti alla vita concreta degli individui e dei gruppi inseriti in uno specifico contesto sociale. Questa considerazione rappresenta per Tamanaha la base su cui sviluppare la propria teoria convenzionalista, che egli esplica in un passaggio di poco successivo:

Law is whatever we attach the label law to, and we have attached it to a variety of multifaceted, multifunctional phenomena […]. There is no ‘law is…’; there are these kinds of law and those kinds of law; there are these phenomena called law and those phenomena called law; there are these manifestations of law and those manifestations of law. […] Formulating a concept of law, therefore, wont’t work. Instead what is needed is a way to identify law that is not itself a concept of law, but rather […] the specification of criteria for the identification and specification of law67.

66 B. Z. Tamanaha, “A Non-Essentialist Version of Legal Pluralism”, in Journal of Law and Society, vol. 27,

no. 2 (2000), pp. 296-321, p. 313.

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La critica operata da Tamanaha allo studio tradizionale del pluralismo giuridico, centrata sull’argomentazione della fallacia ontologica e metodologica delle teorie fondate sulla ricerca della definizione scientifica del concetto di diritto, corrisponde in linea più generale alle confutazioni mosse alle diverse prospettive essenzialistiche dalle posizioni appartenenti al filone realistico della teoria giuridica. Lo sfondo concettuale di quest’ultime, infatti, è rappresentato proprio dalla traslazione dell’oggetto della ricerca sul tema del diritto dalla definizione dei caratteri identificanti la sua essenza a una nuova metodologia di studio focalizzata sulla corrispondenza tra validità ed effettività del diritto. Il diritto, secondo i teorici realisti, deve essere analizzato nel suo legame con le concrete dinamiche sociali: nelle diversità esistenti tra le riflessioni tra i diversi autori, lo sfondo comune risulta costituito proprio dalla generale affermazione della continuità tra ciò che concretamente avviene nella pratica sociale e la configurazione dei caratteri del fenomeno giuridico. A quest’ultimo proposito, sfugge all’interesse degli studiosi realisti qualsiasi volontà di definizione dei caratteri ontologici “puri” – cioè decontestualizzati - del diritto: la prospettiva metodologica risulta fondata sullo studio della validità del diritto nel suo necessario collegamento con l’effettività dei comportamenti sociali.

La traslazione dell’approccio realista sull’analisi della tematica del pluralismo giuridico si manifesta in una rifocalizzazione dell’oggetto di studio del fenomeno: la valutazione dell’effettività delle norme e dei sistemi giuridici passa, infatti, necessariamente attraverso l’indagine delle dinamiche relative agli incontri, alle tensioni e agli scontri che concretamente caratterizzano i rapporti quotidiani tra le diverse tipologie di ordinamenti giuridici coesistenti sullo stesso contesto sociale. Non a caso, quindi, se consideriamo le premesse del suo approccio metodologico, a questo tema Tamanaha dedica buona parte di un suo saggio sull’argomento del pluralismo giuridico68. Egli individua sei macro-categorie di ordinamenti normativi, cioè di fonti

di produzione delle norme di regolazione del comportamento concreto degli individui in un determinato gruppo sociale. Tali gruppi, secondo le definizioni precise dell’autore, sono:

[…] (i) official legal systems; (ii) customary/cultural normative systems; (iii) religious/cultural normative systems; (iv) economic/capitalist normative systems; (v)

functional normative systems; (vi) community/cultural normative systems69.

Se tutte le regole che definiscono i contorni giuridici della vita quotidiana dei soggetti all’interno di una specifica comunità rientrano in una delle sei categorie sopra proposte, è proprio la convivenza di più di uno di tali sistemi di regolazione nella suddetta comunità che produce il

68 B. Z. Tamanaha, “Understanding Legal Pluralism: Past to Present, Local to Global”, in Sidney Law Review,

vol. 30, no. 375 (2008), pp. 375-411.

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fenomeno del pluralismo giuridico. La consistenza di quest’ultimo, quindi, deve essere necessariamente misurata attraverso l’analisi dei rapporti intercorrenti nel quotidiano tra queste tipologie di sistemi normativi. È questo, in definitiva, il nucleo su cui si fondano gli approcci realisti alla tematica del pluralismo giuridico: in particolare, esso costituisce lo sfondo su cui prende forma anche la teoria del jurisdictional legal pluralism, proposta da Lauren Benton con particolare riferimento allo studio del pluralismo giuridico all’interno del contesto coloniale. Quest’ultimo, infatti, come approfondiremo, risulta caratterizzato da una continua tensione tra un sistema di regolazione ufficiale, derivato dall’autorità politico-giuridica estesa dalla madrepatria alle colonie progressivamente sottoposte al suo dominio, e le altre fonti di produzione del diritto, che nel quadro delle comunità abitanti i territori colonizzati risultano spesso appartenere alle categorie consuetudinarie e religiose. Analizzare nel dettaglio queste tensioni e le diverse strategie argomentative messe in campo dagli individui consente di gettare uno sguardo realista non solo sui processi di definizione dell’effettivo contenuto della categoria del diritto valido, ma anche sulle concrete strategie, a tale obiettivo collegate, di affermazione del potere e delle identità culturali all’interno di una specifica arena sociale.

Prima di tornare su questo argomento attraverso la più precisa definizione dell’approccio metodologico costruito da Benton, intendiamo brevemente focalizzarci ancora sulla proposta teorica di Tamanaha al fine di evidenziarne un aspetto che appare ai nostri occhi problematico. Abbiamo sopra anticipato che, una volta abbandonato l’approccio essenzialista al fenomeno pluralistico, Tamanaha giunge a proporre una tesi convenzionalista, fondata cioè sulla connessione tra la valutazione dell’effettività – e quindi, realisticamente, della validità – del diritto e la configurazione di un determinato schema di comportamento come normativo da parte degli attori concretamente impegnati nella scena sociale. Secondo Tamanaha, dunque, rientra nella sfera del diritto valido essenzialmente ciò che viene riconosciuto come tale nella pratica sociale in una specifica arena: “[…] What law is, is determined by the people in the social

arena through their own common usages, not in advance by the social scientist or theorist”70.

La nozione di “pratica sociale” risulta fondamentale, secondo l’autore, per delineare il contenuto concreto del diritto. Tale concetto, valorizzato in tempi recenti dalla critica realista al tradizionale approccio formalista al diritto71, trova la propria base costitutiva nell’analisi delle

connessioni tra fenomeno giuridico, comportamento degli individui e meccanismi di interazione linguistica e si contrappone, come sottolinea Santoro, alla concezione classica del “diritto come

70 B. Z. Tamanaha, “A Non-Essentialist Version of Legal Pluralism”, cit., p. 314.

71 Si vedano per tutti le riflessioni contenute in Francesco Viola e Giuseppe Zaccaria, Diritto e

interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Bari, 1999, pp. 33-36 e in E. Santoro, op. cit., pp. 294-305.

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decisione”72. Il merito di collegare il fenomeno giuridico all’effettività sociale di questo approccio

teorico appare, in una prospettiva realista, innegabile. L’elemento sulla cui base, tuttavia, le diverse posizioni che accettano l’idea della pratica sociale si distinguono è rappresentato dal soggetto attore della pratica di cui esse ritengono opportuno valutare il comportamento ai fini della definizione dell’affermazione del contenuto del diritto valido in una specifica arena sociale. Proprio sotto questo profilo riteniamo la teoria elaborata da Tamanaha non del tutto convincente. Costui, infatti, identifica come oggetto della valutazione della pratica i soggetti che mettono in campo i comportamenti concreti sottoposti alla regolazione da parte del relativo sistema di produzione del diritto: in definitiva, egli ritiene che nelle interazioni sociali quotidiane gli individui giungano a un accordo sul contenuto e sulla natura dei propri comportamenti e che, solo su questa base, gli osservatori possano giungere alla valutazione in merito alla giuridicità di questi ultimi. Tale concezione produce una teoria realista di tipo sia psicologico che comportamentistico73, ma centrata sull’affermazione della produzione strettamente sociale –

cioè fondata sulle interazioni tra gruppi e individui nella società – del contenuto del diritto. Sotto questo profilo, possiamo notare come la teoria di uno degli esponenti più autorevoli della teoria realista elaborata nei primi decenni del XX secolo, Alf Ross, ci consenta di elaborare una critica alla posizione espressa da Tamanaha per fornire, in definitiva, un quadro più utile alla valutazione in chiave realista del fenomeno del pluralismo giuridico. Della teoria rossiana, che utilizzeremo in seguito anche per completare l’approccio metodologico bentoniano, intendiamo qui riferirci agli elementi che consentono di spostare il fuoco dell’oggetto d’analisi dai comportamenti degli individui o dei gruppi a quello degli organi giurisdizionali all’interno di un determinato contesto sociale. Possiamo considerare come sfondo del diverso modello proposto da Ross la teoria da costui delineata nella sua opera Diritto e Giustizia. Innanzitutto, anche Ross propone una teoria realista, caratterizzata cioè dal collegamento tra validità ed effettività del diritto: nella sua opposizione alle tesi idealiste, sia materiali che formali, egli afferma il proprio obiettivo di non tentare di fornire alcuna definizione astratta del concetto di diritto, ma di proporre una teoria fondata sulla correlazione tra validità ed effettività. L’identificazione dei soggetti su cui misurare questi due elementi risiede per Ross in una precisa connotazione dei destinatari delle norme giuridiche e, in definitiva, su uno specifico rapporto tra diritto e forza. Secondo Ross, infatti, le norme, sia di condotta che di competenza, sono dirette alle Corti e non ai singoli individui:

72 Si veda E. Santoro, op. cit., pp. 294-296.

73 La distinzione, che approfondiremo infra pp. 84-86, viene operata da A. Ross in, On Law and Justice,

Steven & Sons Ltd, London, 1958, tr. it a cura di Giacomo Gavazzi, Diritto e Giustizia, Einaudi Editore, Torino, 1965, pp. 68-71.

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[…] L’effettivo contenuto di una norma di condotta consiste in una direttiva per il giudice, mentre l’istruzione impartita al singolo individuo è una norma giuridica

ricavata dall’altra in maniera derivata e per metafora74.

Una norma che si ritiene indirizzata a un individuo e non alle Corti, secondo il giurista danese, “potrebbe essere considerata soltanto come un’affermazione ideologico-morale senza rilievo

giuridico”75. Le disposizioni penali appaiono come l’esempio più lampante della validità di tale

considerazione: “Esse non dicono ai cittadini che è vietato commettere omicidi, ma si limitano

ad indicare al giudice quale sarà la sua sentenza in tale caso”76. Su questa base, un sistema

giuridico viene ritenuto da Ross “un insieme di regole concernenti l’esercizio della forza fisica”77.

Nel caso in cui si accetti l’opposta concezione del diritto come insieme di norme “sostenute dalla

forza”78, infatti, verrebbe a essere confutata la centralità del collegamento tra comportamento

contrario alle previsioni giuridiche e sanzione comminata dalle Corti e, inoltre, verrebbero escluse dal novero delle norme giuridiche le norme di competenza e quelle secondarie, emanate allo scopo di garantire le norme primarie di condotta. Seguendo questa argomentazione, la differenza con l’approccio elaborato da Tamanaha appare evidente: la proposta di verificare la validità del diritto nell’effettività del comportamento messo in pratica dagli individui e dai gruppi sociali appare conforme ai canoni della teoria del rapporto tra diritto e forza criticata da Ross. Possiamo ipotizzare che questa rappresenti una conseguenza dell’adattamento dell’approccio realista a un contesto teorico in cui il pluralismo viene ormai accettato come componente essenziale del paradigma socio-giuridico e in cui, quindi, a quest’ultimo sono riconosciuti livelli di complessità diversi rispetto al modello novecentesco. In particolare, nell’ambito delle tensioni tra molteplici ordinamenti normativi, riconoscere il potere di definire la validità del diritto nelle sole mani degli organi giurisdizionali ufficiali potrebbe apparire comprensibilmente limitativo e fuorviante. Tuttavia, possiamo sostenere che ogni ordinamento giuridico, seppur diverso dal sistema ufficiale e quindi non poggiante su un’organizzazione strutturata della produzione e dell’applicazione del diritto, sia fondato sulla considerazione delle norme come direttive agli organi deputati, formalmente o informalmente, all’esercizio dei ruoli giurisdizionali all’interno del gruppo oggetto di analisi. Ogni ordinamento, in definitiva, per quanto non formalmente e organizzativamente strutturato, può essere considerato come costruito sui cardini del rapporto tra direttiva e sanzione, del mantenimento dell’equilibrio tra i quali viene chiamata a occuparsi una specifica autorità dotata del relativo potere.

74 A. Ross, op. cit., p. 33. 75 Ibidem.

76 Ibidem. 77 Ivi, p. 50. 78 Ibidem.

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Una prospettiva autenticamente realista, quindi, al fine di non sfociare nel più marcato relativismo insito nell’idea di valutare la validità del diritto sulla base esclusiva dei comportamenti sociali degli individui e dei gruppi, deve, a nostro avviso, spostare il fuoco della ricerca sull’analisi dei meccanismi di definizione della validità all’interno delle diverse comunità degli organi chiamati a svolgere funzioni di tipo giurisdizionale nei diversi sistemi normativi. Solo in questo modo, collegando l’effettività e la vincolatività sociale delle norme al lavoro quotidiano di tali organi, sarà possibile definire un modello in grado di contemperare le esigenze di un certo

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