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3. Il Privy Council nel XVII secolo: mutamenti e nuove competenze

3.2. La svolta parlamentare e gli effetti sul Privy Council

Gli effetti dello scoppio della Prima Guerra Civile e, in particolare, della sottrazione al Consiglio dei poteri giurisdizionali interni da parte del Long Parliament costituiscono un vero e proprio spartiacque nella storia del ruolo dell’istituzione consiliare nell’ordinamento costituzionale inglese. Dopo aver condiviso la stessa sorte del Re negli anni delle guerre civili culminata con l’esilio durante la Repubblica di Cromwell, infatti, il Consiglio, seppur riposizionato formalmente nel suo ruolo in corrispondenza della Restaurazione Stuart, non ricoprirà mai più le stesse funzioni già ricoperte prima dei già menzionati sconvolgimenti costituzionali. Possiamo sostenere che l’eliminazione del Privy Council dalla contesa tra Corona e Parlamento relativa al potere sia da considerare il più rilevante risultato a lungo termine90 raggiunto dal Long

Parliament. Tutti gli studiosi del percorso storico dell’organo consiliare concordano nel sottolineare l’importanza di tale risultato91.

La Glorious Revolution conduce a termine questo percorso, giungendo all’affermazione della supremazia del potere parlamentare e alla parallela definizione del perimetro e del contenuto delle libertà individuali dei sudditi attraverso l’emanazione del Bill of Rights. Benché sotto

90 Altri due risultati, parimenti rilevanti ma più immediati, sono l’abolizione della tortura come metodo

istruttorio e l’eliminazione dei caratteri arbitrari del sistema giurisdizionale inglese. Ivi, pp. 130-131.

91 Ivi, pp. 132-133: “The power of the Star Chamber had been thrown to the ground; and, with its fall, the

whole system of government was changed. The struggle for liberty was not ended, but it had entered on a new phase. Disputes about the Council’s rights were done away with for ever. The Councillors had formed a barrier between the Parliament and the Crown. The barrier was removed, and the two powers of the state were brought face to face, to finish the struggle for sovereignty. This contest was not finally decided till 1688; but its decision then would not have been possible had it not been for the reforms of the Long Parliament”. Si veda anche, a conferma della suddetta tesi, A. Fitzroy, op. cit., pp. 199-200: “Nothing could have been more complete than the sudden collapse of the whole machinery of government known to a generation. With a startling alacrity the initiative passed from the Council as the instrument of the King to the Commons as the voice of the people. The pale phantom of a Council maintained for a while a flickering existence at Oxford, but at the Restoration it no longer bore part in the balance of constitutional forces; from that date English political atmosphere took on a distinctly modern complexion, and when in 1688 the pinch came, the issue lay between King and Parliament without any intermediary”.

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l’esclusivo punto di vista della storia del Consiglio, come abbiamo visto, l’abolizione della Star Chamber e della maggior parte dei suoi poteri giurisdizionali da parte del Long Parliament giochi un ruolo di gran lunga più decisivo rispetto alle innovazioni introdotte in corrispondenza della Glorious Revolution, conviene comunque soffermarsi su quest’ultime poiché esse rappresentano un momento decisivo nella storia costituzionale inglese e producono effetti dirompenti sulla configurazione del rapporto tra il potere pubblico e i sudditi, coinvolgendo così anche il ruolo del Consiglio.

Come abbiamo anticipato, gli eventi del 1688-89 manifestano i propri effetti in relazione a due profili, distinti ma strettamente interrelati: da un lato, le stesse modalità con cui Guglielmo d’Orange giunge a ricoprire la carica di sovrano d’Inghilterra segnano la nascita definitiva di un sistema parlamentare, in cui le prerogative regie vengono sottoposte al controllo continuo e pervasivo dell’istituzione rappresentativa92; dall’altro, l’emanazione del Bill of Rights, oltre a

stabilizzare il risultato appena riportato, rappresenta l’affermazione del principio della tutela dei diritti dei sudditi inglesi. L’adozione di questo documento da parte del Parlamento rappresenta il culmine di una storia di lotta per la limitazione delle pretese assolutistiche dei sovrani e per l’affermazione delle libertà personali dei sudditi iniziata nel lontano 1215 con l’emanazione della

Magna Charta.

Nel XVII secolo, periodo in cui, come abbiamo visto, prorompe in un’effettiva dimensione conflittuale la lotta di potere tra monarchia e Parlamento, questo percorso conosce un deciso e rapido sviluppo, le cui tappe formali sulla via dell’affermazione del modello parlamentare sono rappresentate dalla Petition of Rights del 1628, dalla già analizzata convocazione del Long Parliament e, infine, dall’emanazione del Bill of Rights93. Il primo documento, ispirato dalle

riflessioni antiassolutistiche del giurista Edward Coke e accettato da Carlo I, contiene alcune previsioni fondamentali nell’ottica del controllo esterno del potere reale: tra queste spiccano il divieto di imporre tasse senza l’assenso del Parlamento, alcuni limiti al controllo del Re sull’esercito, una limitazione decisiva del potere di arresto arbitrario e del ricorso alla legge

92 La Glorious Revolution, infatti, si conclude con lo sbarco di Guglielmo in terra inglese e la marcia su

Londra, al cui termine egli viene incoronato Re d’Inghilterra. Il fatto che tale incoronazione venga effettuata dal Parlamento costituisce la rappresentazione emblematica del nuovo rapporto di potere che si instaura tra l’assemblea legislativa e il potere sovrano, che viene da ora in poi considerato come necessariamente limitato dalle prerogative della prima. Si afferma, dunque, definitivamente nel contesto britannico la dottrina contrattualistica whig nella sua versione lockiana. Si veda, in proposito, Lois G. Schwoerer, “Locke, Lockean Ideas, and the Glorious Revolution”, in Journal of the History of Ideas, vol. 51, no. 4 (1990), pp. 531-548.

93 Per Ia ricostruzione del contesto storico al cui interno si colloca l’emanazione del Bill of Rights si veda

Paul Langford, “Il XVIII secolo”, in Kenneth O. Morgan (a cura di), op. cit. Per la ricostruzione del valore politico e giuridico di tale percorso si vedano, in particolare, F. W. Maitland, The Constitutional History of

England, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 281-329 e Geoffrey Lock, “The 1689 Bill of Rights”,

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marziale. Il Bill of Rights, proseguendo su questo percorso al termine della definizione dello scontro tra i due blocchi di potere, rappresenta da un lato un’autentica carta delle libertà del suddito inglese, riepilogandone il contenuto e definendone i contorni, e dall’altro un allargamento e una specificazione dei risultati raggiungi dalla Petition nella limitazione delle prerogative regie: in base a questo documento, infatti, vengono soppressi i tribunali speciali, viene confermato il principio del “no taxation without representation”, viene stabilita l’impossibilità di mantenere un esercito attivo in tempo di pace senza l’assenso del Parlamento, viene scandita la periodicità e affermata la libertà delle elezioni politiche e, infine, vengono regolati i meccanismi di successione al trono.

Con il Bill of Rights si afferma, dunque, definitivamente una nuova strutturazione dei poteri all’interno del sistema costituzionale inglese: il fulcro di quest’ultimo è costituito dal Parlamento, organo a cui spetta per intero l’autorità legislativa e il controllo sul rispetto dei limiti delle prerogative regie; il sovrano vede limitato il proprio potere di intervento, anche se manterrà alcune sfere di operatività esecutiva soprattutto in riferimento alla politica estera; sullo sfondo continua a ricoprire un ruolo centrale la comunità degli operatori giuridici di

common law. L’analisi del rapporto tra i poteri parlamentari e il ruolo svolto da questi ultimi

appare fondamentale per il completo apprezzamento della caratteristica giurisdizionale del sistema costituzionale inglese, che rappresenta, come abbiamo visto, un elemento fondamentale nella valutazione futura del ruolo svolto dal Privy Council in tale sistema. Grazie all’elaborazione di Dicey, infatti, abbiamo raggiunto la completa teorizzazione di un modello costituzionale fondato, da una parte, sulla sovranità assoluta in campo legislativo del Parlamento e, dall’altra, sul necessario intervento di lettura del materiale da esso predisposto da parte dei giudici, i quali, operando un’attività interpretativa basata esclusivamente sui cardini dei princìpi di common law e della relativa tradizione giuridica, vengono a costituire gli strumenti di garanzia per le libertà degli individui. Questo modello, che identifica il paradigma del rule of

law e lo differenzia dalla concezione di “stato di diritto” continentale, risulta essere il portato

ultimo e più importante degli avvenimenti occorsi a livello costituzionale nell’Inghilterra del XVII secolo.

L’affermazione di tale modello, se avrà un’influenza rilevante nella successiva configurazione giuridica del Privy Council, evidentemente esclude quest’organo dalla scena sotto il profilo amministrativo. Il Consiglio, come abbiamo detto e come afferma lo stesso Dicey, nella sua formazione allargata torna a essere, in linea con quanto era avvenuto solo nelle più antiche fasi feudali della sua storia, un organo puramente politico con funzioni quasi esclusivamente consultive.

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Tuttavia, un passaggio di non poco conto per la storia costituzionale inglese, che vede ancora come protagonista il Consiglio, avviene contemporaneamente all’affievolimento dei suoi poteri. Ancora prima del verificarsi della Glorious Revolution, per mano del Re Carlo II inizia il processo che porterà, nel volgere di un periodo relativamente breve, alla formazione della struttura del Gabinetto ministeriale, che assumerà col passare del tempo le funzioni esecutive di governo. Avvertita con sempre più fatica e difficoltà la necessità di convocare l’intero Consiglio anche in vista della decisione sugli atti politici più importanti e ormai invalsa la consuetudine di rapportarsi quotidianamente con le sezioni specializzate, Carlo II decide di nominare un comitato ristretto anche per gli affari di stato più rilevanti. Nasce così la struttura del Cabinet, che porterà all’affermarsi del governo ministeriale, successivamente sottoposto al controllo del Parlamento. La crescita dell’autorità del Cabinet e la corrispondente diminuzione dei poteri del Consiglio allargato è frutto, comunque, di un processo graduale.

A questa serie di avvenimenti che portano alla drastica riduzione dell’influenza del Consiglio nel governo della società inglese corrisponde, come abbiamo visto, una sostanziale eliminazione di quasi tutti i suoi poteri giurisdizionali interni.

Resta in capo alla competenza del Privy Council, tuttavia, un settore in cui il suo intervento in campo sia amministrativo che, di conseguenza, giudiziario risulterà molto rilevante: mantenendo, infatti, i suoi poteri di gestione e regolazione dei traffici commerciali, esso riuscirà ad avere un ruolo di primo piano sia nella costruzione politico-amministrativa dell’Impero sia nella sua gestione giurisdizionale, dal momento che, come vedremo, uno speciale comitato del Consiglio diverrà, col passare del tempo, la Corte di ultimo grado per tutte le controversie provenienti dalle colonie sottoposte al dominio britannico.

Assistiamo, quindi, a partire da questo momento, a un sostanziale sdoppiamento nelle funzioni del Privy Council: da un lato, la storia amministrativa interna dell’organo procederà seguendo le fasi del progressivo rafforzamento del Cabinet e della sua collocazione all’interno dell’ordinamento costituzionale del regno; dall’altro, il Consiglio, mantenendo e sviluppando la propria competenza nel settore commerciale, giocherà un ruolo determinante nella costruzione concreta e ideologica dell’imperialismo britannico, soprattutto, per quanto interessa maggiormente il nostro lavoro, sotto il profilo giuridico. Concentreremo dunque la nostra analisi, da ora in poi, su questa seconda area di influenza del Privy Council.

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