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I poteri del Privy Council alla luce della separazione delle giurisdizioni

3. Pluralismo giuridico e realtà coloniale

1.1. I poteri del Privy Council alla luce della separazione delle giurisdizioni

Abbiamo accennato al raggiungimento della piena indipendenza da parte delle Corti di Common Law e della giurisdizione di Equity in relazione alla struttura del Consiglio del Re. Giova comunque soffermarsi più analiticamente su tale processo, al fine di sottolineare come questo

18 A.V. Dicey, The Privy Council, cit., p. 13.

19 Il tema della capacità del sovrano di farsi carico del compito di garantire personalmente l’attuazione

della giustizia in tutto il regno, oltre a coinvolgere il tema della difficoltà pratica conseguente al passaggio da una società elementare a una sempre più evoluta, diventerà nel XVII secolo anche l’oggetto di un dibattito di carattere filosofico-teorico sulla concepibilità della cosiddetta “ragione naturale” come metro adeguato alla risoluzione delle controversie giuridiche. Tale dibattito vedrà contrapporsi le posizioni dei teorici del filone giuspositivista – primo tra tutti Thomas Hobbes - e i cosiddetti giuristi classici di common

lawyers, in particolare Edward Coke e Matthew Hale. Hobbes ritiene la “ragione naturale” come l’unico

strumento utilizzabile ai fini delle decisioni giuridiche e della produzione di diritto: esso è, infatti, il mezzo principale attraverso cui il sovrano, unico detentore legittimo della facoltà di raziocinio necessaria allo scopo, provvede alla composizione della situazione di bellum omnium contra omnes propria del contesto sociale pre-contrattuale. A tale posizione i common lawyers oppongono un paradigma fondato sullo strumento della “ragione artificiale”, configurabile come esito di studio ed esperienza e del quale gli operatori pratici del diritto – giudici, giuristi, avvocati. – risultano essere i principali detentori.

A tale contrapposizione teorica sul parametro razionale utile alla configurazione del fenomeno giuridico corrisponde una diversa concezione del modello politico di riferimento. Il dibattito sul tema risulterà centrale nel contesto politico dell’Inghilterra del XVII secolo, che conoscerà, appunto, uno scontro tra Corona, da un lato, e Parlamento e common lawyers, dall’altro, sul tema della configurabilità di un modello di governo assolutistico. Tra gli argomenti che consentiranno di respingere le pretese monarchiche ricoprirà un ruolo di primo piano la riuscita confutazione dell’argomento della “ragione naturale”, che, come abbiamo visto, conosce sotto il profilo pratico un’anticipazione nella fase medievale del percorso della storia giuridica inglese.

Sulla distinzione tra “ragione naturale” e “ragione artificiale” e sull’importanza del relativo dibattito teorico-politico nell’Inghilterra del ‘600 si veda E. Santoro, op. cit., pp. 153 ss.

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risulti caratterizzato da un marcato gradualismo e non abbia comunque condotto a una definitiva eliminazione dei poteri giurisdizionali formalmente in capo al sovrano e nella sostanza esercitati dal Consiglio.

A tal proposito, particolarmente convincente appare la ricostruzione proposta da George Burton Adams20, che, nel ritenere originariamente indistinte le giurisdizioni di Equity e Common Law,

collega il germe della nascita della giurisdizione di quest’ultima ad antiche consuetudini franche importate in Inghilterra con la conquista normanna. In particolare, i nuovi sovrani avrebbero stabilito nei loro domini un nuovo principio, che Adams riassume nella considerazione della giustizia come proprietà privata del Re:

In this new legal evolution, the following principle is fundamental from the very beginning: the new procedure and the new machinery are the king’s private property; they are no part of the public machinery of the state to which any individual may

appeal in his personal need as he might to the shire or hundred court21.

Maitland e Pollock22 rimarcano la dipendenza dalla conquista normanna della formazione di una

monarchia dotata rispetto all’epoca sassone di un potere più saldo e centralizzato, che si manifesta anche nell’amministrazione della giustizia. La configurazione della giustizia come diretta emanazione del potere reale deriva dall’esportazione in terra inglese del modello feudale caratterizzante il contesto medievale della Normandia, che trova il proprio cardine nella riconduzione di tutto il territorio del regno alla proprietà personale del Re, talvolta mediata dalla presenza di vassalli. La sovranità, dipendente dalla proprietà della terra, appartiene, quindi, interamente alla persona del Re23. Dopo aver analizzato i vari aspetti del rapporto tra la

mentalità giuridica dei conquistatori e le tradizioni sassoni vigenti prima del 1066 e aver dimostrato come i primi, lungi dall’aver sostituito autoritativamente il vecchio sistema giuridico con il nuovo ordinamento da essi esportato, abbiano compiuto un’opera di bilanciamento dei due sistemi, gli autori si soffermano però su un punto che collega la natura territoriale della sovranità feudale normanna e l’esercizio delle prerogative del Re nell’amministrazione della giustizia: l’instaurazione di una “King’s court”, composta da consiglieri del sovrano di origine franca, la quale viene a trovarsi al vertice dell’ordinamento giuridico. Le controversie rientranti nella competenza di tale organo, tuttora non precisamente identificata, vengono trattate dallo stesso secondo paradigmi decisori di tipo equitativo: tale sistema non rientra, quindi, all’interno

20 George Burton Adams, “The Origin of English Equity”, Columbia Law Review, vol. 16, no. 2 (1916), pp.

87-98.

21 Ivi, p. 89.

22 Sir Frederick Pollock, Frederic William Maitland, The History of English Law Before the Time of Edward

I, Volume I, Liberty Fund, Indianapolis, 2010.

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di una prospettiva totalmente centralizzante e autoritativa; tuttavia, esso costituisce il nucleo nel quale si sviluppa la cosiddetta “royal justice”, cioè l’insieme di competenze affidate al potere decisionale diretto del Re. In questo ambito si svilupperà il ruolo giurisdizionale della Curia Regis, dal quale, come vedremo, si distaccheranno le Corti di Common Law.

Il principio della giustizia come proprietà privata del Re si accompagna successivamente a una nuova procedura giurisdizionale, riconducibile innanzitutto al sistema della concessione dei

writs24:

This fundamental principle revealed in two particulars the control which it exerted over the whole development. 1. If an individual wished the use of the king’s procedure, he must first get the king’s permission. 2. If he used the king’s procedure,

he must do it by means of the king’s machinery25.

A tale principio, inoltre, possiamo collegare la nascita del sistema della cosiddetta “giustizia itinerante”, che secondo Adams trova origine nelle esigenze procedurali collegate alla società inglese del XII secolo:

If the jury was to be used in the counties in the detection of crime, or in inquiry into the conduct of the sheriff, or in the trial of suits at law between private persons, it must be taken there and operated by a commissioner, or commissioners, who stood in the place of the king and held a local king’s court. It would not seem possible to the twelfth century to do it in any other way26.

Dal sistema itinerante si svilupperà, per distacco dalla Curia Regis, la giurisdizione delle tre Corti di Common Law. La Court of Common Pleas diventa l’organo deputato alla risoluzione di controversie tra privati, non riguardanti quindi la figura del sovrano; la Corte del King’s Bench copre la giurisdizione penale, si occupa di questioni attinenti a materie particolarmente complesse dal punto di vista tecnico o giuridico e, infine, copre la giurisdizione di appello per le controversie provenienti dalla Court of Common Pleas; la Court of Exchequer mantiene la giurisdizione principalmente su controversie tributarie. Conviene soffermarsi su tale passaggio,

24 Il sistema dei writs nasce da una pratica giurisdizionale innovativa che trova definizione principalmente

per opera di Enrico II. Secondo tale paradigma, il sovrano amministra la giustizia civile rispondendo alle istanze degli attori attraverso la concessione di writs, i quali determinano non solo il soggetto delegato alla risoluzione della controversia – a titolo di esempio, lo sheriff o il feudal lord -, ma anche l’oggetto preciso su cui quest’ultimo deve concentrare la propria decisione. Con l’aumento delle richieste di giustizia indirizzate al Re e con il parallelo estendersi della complessità delle regolazioni richieste, la concessione dei writs viene demandata a un funzionario della Corona. Da questo passaggio, una giurisdizione largamente libera nella forma e di contenuto equitativo viene a essere in qualche modo burocratizzata: le diverse tipologie di writs vengono rigidamente fissate e dalla scelta dell’attore tra esse dipende il buon esito della causa. Si veda, in proposito, ivi, pp. 159-160.

25 G. B. Adams, op. cit., pp. 89-90. 26 Ivi, p. 90.

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dal momento che l’innovazione rappresentata dalla nascita del paradigma degli “itinerant

justices” comporta, nella storia giuridica inglese, un fattore di assoluto rilievo sia a livello

strettamente pratico che a livello politico e ideologico. Maitland e Pollock considerano la giustizia itinerante come una delle tre innovazioni ideate e stabilizzate da Enrico II, insieme al sistema dei writs e all’introduzione della procedura fondata su “inquest” o “recognition”. Lo sviluppo di questi tre elementi, e in particolare del paradigma della giustizia itinerante, rientra per il sovrano nell’ottica di garantire al proprio regno un sistema di giustizia centralizzato più veloce ed efficiente: accompagnare alla progressiva definizione della struttura e dei caratteri di una Corte centrale, situata a Westminster e composta sempre più da giudici di professione, un sistema di operatori giuridici delegati dal sovrano al compito di rendere giustizia spostandosi nei vari territori del regno viene considerato da Enrico II come uno strumento per aumentare l’efficienza dell’organizzazione della giustizia sottoposta al suo diretto controllo. Nell’ultimo quarto del XII secolo, così, si procede a una divisione del territorio inglese in circuiti, nei quali le visite dei giudici itineranti divengono sistematiche. I compiti di questi ultimi consistono, in questa fase, nell’amministrare la giustizia penale, i “pleas of the crown” attinenti alla cosiddetta “King’s peace”, e nel giudicare su alcune o sulla totalità delle nuove azioni possessorie. Possiamo considerare l’adozione del sistema giurisdizionale itinerante come il fattore strutturale che maggiormente contribuisce alla definizione delle peculiarità del modello giuridico di common

law: in un sistema contraddistinto, infatti, dalla centralità della componente giurisdizionale ai

fini dell’attivazione della tutela dei propri diritti27, i sudditi inglesi si trovano di fronte alla

necessità di adire i funzionari che, in nome e per conto della Corona, visitano periodicamente i vari territori, raccolgono le loro richieste e le rimostranze e decidono su di esse. Se fino al XIV secolo il legame tra i giudici itineranti e la Corona appare saldo e assolutamente inscindibile, gradualmente, a partire da questo momento, i primi iniziano a separare la propria attività dal controllo diretto del sovrano e a sviluppare un sistema giurisdizionale sempre più autonomo, che si tradurrà nella formazione delle Common Law Courts. In questo senso, possiamo considerare la giustizia itinerante come il fattore che più contribuisce, nella storia giuridica inglese, alla formazione di una comunità di giudici che si caratterizzerà, nel tempo, per una sempre maggiore indipendenza dal controllo dei detentori del potere politico, la qual cosa produrrà i propri effetti più dirompenti, come vedremo, negli scontri “costituzionali” del XVII secolo28.

27 Tale componente è identificata, come abbiamo visto, in primo luogo nel sistema dei writs.

28 Per una riflessione sulla rilevanza della giustizia itinerante all’interno del contesto giuridico britannico

e per una ricostruzione del suo percorso storico si veda F. Pollock, F. W. Maitland, op. cit., pp. 162-169; pp. 202-217.

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Come abbiamo accennato, tuttavia, in epoca medievale la separazione della giustizia di Common Law non intacca il potere giurisdizionale del sovrano, il quale continua a essere considerato la fonte ultima di giustizia nel regno. A ogni suddito è concesso il diritto di chiedere l’intervento del Re nel caso in cui percepisca un difetto di giustizia nel contesto “ordinario” del sistema delle Corti. Da questa funzione nasce la giurisdizione equitativa, che verrà presto avocata a sé dalla figura del Lord Chancellor e che conoscerà, anch’essa, il distacco dalla Curia e la relativa strutturazione nella indipendente Court of Chancery.

Neppure quest’ultimo allontanamento sarà, però, in grado di condurre all’eliminazione definitiva della competenza giurisdizionale del Consiglio. Dicey ritiene che il mancato verificarsi di tale circostanza dipenda soprattutto dal particolare legame che caratterizza il rapporto tra Chancellor e Council:

Both the Council and the Chancellor aided those whom Common Law was unable to protect. Both the Chancellor and the Council enforced obligations binding in conscience though not in law. Attacks made on the power of the Chancellor are attacks on the authority of the Council29.

Sullo sfondo di questa ricostruzione si staglia un principio generale, la cui autorevolezza si rivelerà il cardine su cui per secoli troverà sostegno, sia teorico che pratico, la sopravvivenza delle funzioni giurisdizionali in capo al sovrano. A quest’ultimo, infatti, da tempo persino antecedente la conquista normanna30, è affidato l’onere supremo di preservare l’ordine sociale

attraverso la distribuzione della giustizia. Per utilizzare ancora le parole di Adams:

The king was not a mere feudal suzerain, not merely the lord paramount of the realm, though often he might seem to be nothing more than that. He owed a duty to the community at large to preserve order, to see that justice was done to rich and poor alike, which might at any moment override his feudal duty as the lord of vassals, and must override it, if the two came into irreconcilable collision31.

29 A. V. Dicey, The Privy Council, cit., p. 17.

30 È evidente che il paradigma giuridico sassone risponda a un modello arcaico di giustizia, i cui connotati

ideologici e sistematici non raggiungono il livello di complessità e di accuratezza dell’ordinamento tardomedievale normanno. Tuttavia, seppur non risulti ancora pienamente elaborata in epoca sassone, la presenza dell’idea del sovrano come fonte ultima della giustizia e come garante dell’ordine del regno è dimostrata dal fatto che egli già in quest’epoca eserciti la prerogativa di ultimo grado di appello per i sudditi che non siano riusciti a portare il proprio caso e le proprie richieste di fronte alla giurisdizione ordinaria. Egli svolge, quindi, un rilevante compito di chiusura del sistema nei casi di “failure of justice”: tale prerogativa, corrispondente a un modello giuridico e ideologico molto più rudimentale di quello che sarà sviluppato nella successiva età normanna, ne costituisce senza dubbio il precedente più prossimo. Per un’analisi sul tema si veda W. Maitland, F. Pollock, op. cit., pp. 45 ss.

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Possiamo considerare questo principio come il nucleo su cui si struttura l’intero sviluppo storico medievale dell’ordinamento giuridico inglese. Tale principio dimostrerà la propria rilevanza, come vedremo, in particolare nell’epoca dei Tudor, quando il Consiglio del Re raggiungerà il massimo grado di potere e autorevolezza nella storia del diritto inglese.

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