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2. Indirect rule e decentramento giuridico: alle radici della peculiarità dell’imperialismo

2.2. Indirect rule e assimilazionismo francese

Se la “teoria istituzionale” risulta imprescindibile per comprendere il motivo di fondo che spinge le potenze colonizzatrici a instaurare nelle colonie un sistema di governo diretto piuttosto che uno indiretto, riteniamo che uno studio del rapporto tra questa scelta e i diversi modelli ideologici sottostanti le varie costruzioni imperiali consenta di apprezzare le differenze di approccio che le potenze europee manifestano anche nell’ambito di una scelta di governo tra esse condivisa. La scelta di adottare il governo indiretto in alcune colonie africane da parte della Francia risulterà, infatti, fortemente diversa, nella sua configurazione ideologica e nel modello concreto che essa verrà a creare, dall’omologa scelta dell’indirect rule da parte della Gran

34 Dall’applicazione di tale criterio sono, tuttavia, escluse alcune categorie di colonie presenti all’interno

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Bretagna. Le diverse modalità di attuazione del governo indiretto nelle colonie africane da parte di Gran Bretagna e Francia risultano, a tal proposito, esemplificative.

Nei territori britannici sottoposti al governo indiretto, infatti, come abbiamo visto, viene generalmente esportato il modello amministrativo elaborato in India: esso prevede un rapporto di tipo essenzialmente consultivo tra l’autorità politica rappresentante il potere centrale della madrepatria e i capi tribali, i quali mantengono le proprie competenze amministrative locali già esercitate prima dell’arrivo dei colonizzatori; inoltre, questi ultimi tendono a non modificare i confini precoloniali delle unità politico-amministrative su cui vengono a stabilire il proprio controllo. I vertici del governo indigeno, quindi, non vedono in generale diminuire i propri poteri amministrativi a livello locale e non vedono mutare i confini entro i quali gli stessi possono essere esercitati.

Al contrario, il sistema di governo indiretto francese – esercitato in alcune colonie africane – pone l’autorità indigena in una posizione di totale subordine rispetto al rappresentante politico della madrepatria. Come illustra Michael Crowder in uno studio comparativo dei sistemi di

indirect rule inglese e francese35, “the chief in relation to the French political officer was a mere

agent of the central colonial government with clearly defined duties and powers”36. Inoltre, la

tendenza francese a modificare l’estensione territoriale delle unità politico-amministrative precoloniali contribuisce a differenziare ulteriormente i due modelli: a seguito della ripartizione del territorio colonizzato in nuove unità amministrative, i cosiddetti cantons, le autorità indigene si trovano spesso a svolgere le proprie funzioni di governo su aree geografiche che, prima dell’arrivo dei Francesi, non risultavano sottoposte alla loro autorità. Oltre al verificarsi di casi di eliminazione integrale dell’autorità indigena dal vertice del sistema amministrativo locale37,

assistiamo, infine, nel contesto francese a una politica di selezione dei soggetti deputati al governo locale del tutto diversa rispetto a quella attuata nella costruzione coloniale britannica. Mentre in quest’ultima, infatti, i colonizzatori cercano generalmente di mantenere le modalità tradizionali di selezione e nomina delle autorità indigene, per i Francesi l’attenzione a questo dettaglio riveste un’importanza secondaria rispetto alla volontà di garantire la fedeltà di tali soggetti alla mentalità che caratterizza la cultura di governo della madrepatria38.

35 Michael Crowder, “Indirect Rule: French and British Style”, in Africa: Journal of the International African

Institute, vol. 34, no. 3 (1964), pp. 197-205.

36 Ivi, p. 199.

37 Crowder, a tal proposito, cita il caso del regno del Futa Jallon, nel quale i Francesi adottano una politica

di totale soppressione delle autorità e dell’ordinamento preesistenti alla colonizzazione. SI veda ibidem.

38 Ibidem: “Most important of all, chiefs were not necessarily those who would have been selected

according to customary procedures; more often than not they were those who had shown loyalty to the French or had obtained some education. While the British were scrupulous in their respect for traditional methods of selection of chiefs, the French, conceiving of them as agents of the administration, were more concerned with their potential efficiency than their legitimacy”.

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Le autorità locali indigene diventano, nel modello francese, niente più che il tramite attraverso cui il potere direttamente emanato da Parigi viene diffuso nei diversi angoli dell’Impero. Il loro ruolo viene identificato, infatti, nell’applicazione delle misure più impopolari imposte dal potere centrale della madrepatria: raccolta di tasse, reclutamento di forza lavoro, applicazione del sistema giuridico di tipo amministrativo rappresentato dall’indigénat39.

Le differenze nell’applicazione concreta dei due modelli non possono che derivare, quindi, se teniamo fermo il punto della validità della “teoria istituzionale” sopra esposta, dalla diversità di tradizione culturale e di approccio ideologico al governo delle colonie. Al sistema britannico di decentramento che abbiamo considerato conseguente a una peculiare caratterizzazione spaziale ed economica, i Francesi oppongono un sistema centralizzato fondato sull’obiettivo centrale dell’assimilazione di tutti gli angoli dell’Impero alla cultura e al modello politico della madrepatria.

All’analisi delle coordinate del dibattito teorico che definisce nel tempo i caratteri del modello assimilazionistico francese è dedicato uno studio di Martin Deming Lewis40 che avrà

un’importante eco per la definizione delle differenze tra i diversi modelli coloniali. Il fallimento dei progetti di assimilazione all’interno dell’Impero Francese, affermati fino al secondo dopoguerra, appare all’autore come uno dei fattori da analizzare nel contesto della riflessione sul crollo della struttura coloniale avvenuto a partire dalla metà del XX secolo.

Innanzitutto, occorre sgombrare per quanto possibile il campo dalla confusione intercorrente nei tentativi di definizione del termine “assimilazione”. Tra tutti i suoi possibili significati, Lewis ritiene che la lettura fornita da Arthur Girault41 risulti essere la più completa, in quanto capace

di tenere insieme la dimensione ideologica e le sue implicazioni pratiche nel rapporto tra colonie e madrepatria. Sotto il primo profilo, così, l’assimilazione viene a configurare un sistema di profondo collegamento tra le entità territoriali del centro e delle periferie: quest’ultime vengono configurate, di conseguenza, come semplici prolungamenti del territorio della madrepatria, come dipartimenti42 uguali a quelli appartenenti al continente europeo, ma solo più distanti. È

39 L’indigénat costituisce un modello di regolazione indiretta della sfera giurisdizionale di alcune colonie,

avviato intorno al 1887 e concluso al termine del secondo conflitto mondiale. Esso consiste nell’elaborazione di un sistema di leggi applicabile esclusivamente alle popolazioni indigene da parte di autorità native o religiose preesistenti. Per una definizione delle sue implicazioni teoriche e delle sue modalità di applicazione pratica si veda lo studio di Gregory Mann, “What Was the ‘Indigénat’? The ‘Empire of Law’ in French West Africa”, in The Journal of African History, vol. 50 no. 3, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, pp. 331-353.

40 Martin Deming Lewis, “One Hundred Million Frenchmen: The ‘Assimilation’ Theory in French Colonial

Policy”, in Comparative Studies in Society and History, vol. 4 no. 2, Cambridge University Press, Cambridge, 1962, pp. 129-153. Per un approfondimento delle implicazioni del sistema di governo diretto francese si veda anche Raymond F. Betts, Assimilation and Association in French Colonial Theory, 1890-1914, Columbia University Press, New York, 1961.

41 Arthur Girault, Principes de Colonisation et de Législation Coloniale, Paris, 1895.

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evidente, in questa riflessione, la conferma di quanto abbiamo sostenuto riguardo all’importanza della dimensione spaziale nella configurazione dei diversi modelli coloniali sotto il profilo politico, amministrativo e giuridico. Solo una potenza legata alla dimensione terrestre, infatti, può giungere a concepire territori distanti e separati dal centro come mere propaggini di quest’ultimo. Totalmente diverso appare, a tal proposito, l’approccio marittimo britannico, da cui nasce il modello coloniale decentralizzato a cui abbiamo accennato.

Girault, oltre alla caratterizzazione ideologica appena analizzata, fornisce un quadro completo delle caratteristiche concrete che delineano il sistema assimilazionistico, al cui centro emerge la garanzia della rappresentanza delle colonie all’interno degli organi legislativi della madrepatria. Gli altri fattori che identificano tale modello vengono riportate nel dettaglio dallo stesso Lewis. Sotto il profilo giuridico, innanzitutto, a tale approccio si accompagna un sistema totalmente centralizzato di produzione legislativa43. In secondo luogo, anche l’organizzazione

amministrativa segue un percorso di equivalente centralizzazione44.

Si viene a creare, in definitiva, tra madrepatria e colonie un corpo unico, che viene percepito come tale sia a livello territoriale che a livello di modalità di governo. Queste, infatti, tradotte in realtà dal corpo legislativo e dalle strutture amministrative, rappresentano un insieme unico e indifferenziato, il cui fine ultimo coincide con la missione civilizzatrice francese: tutti i popoli sottoposti al dominio della madrepatria devono essere condotti ad abbracciare le sue leggi, le sue tradizioni, il modo di vivere dei suoi cittadini e le sue istituzioni.

Nonostante le oscillazioni nella sua applicazione tra i periodi repubblicani e le fasi storiche napoleoniche, possiamo considerare il principio della rappresentanza parlamentare come uno dei tre capisaldi del modello francese, insieme alla rappresentazione dei territori d’oltremare come dipartimenti e alla sottoposizione di tutta la struttura al paradigma legicentrico e formalistico di matrice illuministica. Se, come sottolinea Lewis, i tre elementi sopra riportati non conoscono un’applicazione integrale effettiva nella struttura coloniale, è indubbio che la forza che essi esercitano sotto il profilo ideologico e retorico risulti sufficiente a marcare una netta diversità di approccio al modello coloniale tra il paradigma centralizzato francese e quello decentralizzato britannico.

43 M. D. Lewis, op. cit., p. 133: “‘A single body of legislation governs all parts of the territory without

distinction’, and all new laws in the mother country apply automatically in all the colonies unless specific exception is made”.

44 Ibidem: “The administrative procedures and sub-divisions that exist in the metropolis are duplicated

exactly in the colonies. The very existence of a colonial ministry may be opposed, since all the various aspects of colonial administration would properly fall under one or another of the home ministries: interior, justice, education, etc. No distinct colonial military forces exist, and colonists are subject to military obligations identical with those of citizens at home. Similarly, taxes, tariffs, and financial administration will be identical, as will the extent of civil liberties, reflecting the regime in power in the mother country”.

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Sarà proprio la riflessione in merito concessione indiscriminata della rappresentanza parlamentare agli abitanti di tutte le colonie, tuttavia, che nel contesto francese produrrà a cavallo tra il XIX e il XX secolo la rimodulazione del modello assimilazionistico. Il timore di un possibile ribaltamento delle posizioni di dominanti e dominati a causa della maggior forza parlamentare degli abitanti delle colonie, derivante dalla loro maggiore estensione demografica, conduce a una rivisitazione del canone illuministico dell’uguaglianza formale e alla definizione di un rapporto improntato a una più marcata differenziazione tra centro e periferia dell’Impero. Viene, così, forgiato il concetto di “politica di associazione”, destinato, nelle intenzioni dei suoi teorici, a superare il paradigma dell’assimilazione. Il protagonista principale della sua definizione è Jules Harmand, il quale, dopo una riflessione durata quasi un quarto di secolo45, teorizza il

concetto di “associazione” nel 1910 in “Domination et Colonisation”46. Nella sua visione, ben

descritta e analizzata da Lewis, tale concetto viene a indicare “scrupulous respect for the

manners, customs and religion of the natives”, replacing simple exploitation and expropriation of the native by a policy of “mutual assistance”47.

Il superamento del paradigma assimilazionistico risulta da queste parole evidente: a un modello di applicazione generalizzata alle colonie di ordinamenti politici, amministrativi e giuridici si sostituisce una costruzione che sembra prevedere un rapporto di tipo indiretto tra centro e periferia fondato sul rispetto dell’autonomia locale di quest’ultima.

Sotto il profilo pragmatico, l’adozione di tale nuovo modello è dettata, nell’analisi di Harmand, dalla necessità di dar vita a un legame tra madrepatria e colonie che risulti economicamente più efficiente per la prima, grazie soprattutto alla riduzione della necessità di utilizzo della forza per il controllo delle seconde. Sotto il profilo ideologico, invece, il pensiero di Harmand, caratterizzato da una forte dose di realismo politico, poggia le proprie basi sulla convinzione dell’inopportunità di raggiungere, e tantomeno garantire, un’uguaglianza effettiva tra i Francesi e le popolazioni colonizzate. Harmand riafferma, a tal proposito, il paradigma della conquista al fine di sostenere la subordinazione completa delle colonie alla madrepatria e, di conseguenza, l’impossibilità, anche a livello di mero programma, del progetto assimilazionistico48.

Anche se sia Lewis che Crowder sottolineano come la politica di associazione non sia riuscita a soppiantare, nel lungo periodo, il ben consolidato approccio assimilazionistico49, appare

45 La prima definizione del concetto, infatti, risale al 1887. Si veda M. D. Lewis, op. cit., p. 147. 46 Jules Harmand, Domination et Colonisation, Ernest Flammarion Editeur, Paris, 1910. 47 M. D. Lewis, op. cit., p. 147.

48 Ivi, pp. 148-149: “The conqueror, by nature and by function, and whether he wishes it or not, is an

aristocrat. His government, by duty and by necessity, is a despotic government … and cannot be otherwise. Democratic institutions, founded on equality and liberty, cannot be transported to the dominations, and universal suffrage, in truth, is there a monster”.

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comunque interessante sottolineare in questa sede come il paradigma della conquista, legato a una concezione territoriale dell’espansione imperialistica, rappresenti il pilastro su cui continuano per certi versi a modellarsi, ancora nel XX secolo, le ideologie coloniali continentali. La percezione della dimensione spaziale, dunque, costituisce ancora il discrimine tra i diversi modelli coloniali.

L’adozione di un sistema di governo coloniale indiretto appare caratterizzata, quindi, da una tendenza al decentramento del rapporto tra madrepatria e colonie sia sotto il profilo politico- amministrativo che sotto quello giuridico. A tale considerazione corrisponde la configurazione di un particolare rapporto di potere tra i diversi gruppi dei colonizzatori e dei colonizzati che vengono a convivere nello stesso contesto socio-politico50, da cui discende un peculiare

approccio al fenomeno del pluralismo giuridico, cioè alla situazione, tipica del contesto coloniale, caratterizzata dall’esistenza di una pluralità di ordinamenti diversi tra loro e insistenti su un’entità geograficamente e socialmente individuata.

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