3. Pluralismo giuridico e realtà coloniale
3.4. Il rule of law e la tutela giurisdizionale dei diritti
La ricostruzione operata nel paragrafo precedente, che culmina nell’elaborazione della teoria del rule of law da parte di Dicey, consente ora di tracciare le linee della peculiarità del modello britannico nella configurazione del rapporto tra poteri e autorità pubbliche e tutela dei diritti degli individui. Sotto questo profilo, marcata appare la differenza tra tale sistema e il modello di
État de Droit, come elaborato a partire dalla fine del XVIII secolo nel contesto francese.
116Ivi, p. 258. 117Ivi, p. 264.
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Zolo118 riassume i tre “guiding principles” che caratterizzano l’esperienza costituzionale
britannica nel principio dell’“eguaglianza giuridica dei soggetti”119, da cui deriva la
sottoposizione di tutti i cittadini all’autorità della ordinary law, nella “sinergia normativa fra
Parlamento e Corti giudiziarie”120 e nella particolare formulazione della “tutela dei diritti
soggettivi”121. Sono questi ultimi due punti, soprattutto, a costituire lo sfondo su cui si sviluppa
il modello giurisdizionale di rapporto tra potere e diritto che caratterizza il contesto britannico. Il principio della “sinergia normativa”, in primo luogo, indica che in tale contesto la sovranità sulle fonti di produzione del diritto risulta spartita, di fatto, in modo paritario tra Parlamento e Corti giudiziarie:
Da una parte c’è la legislative sovereignty del Parlamento, e cioè della Corona, della Camera dei Lords e della Camera dei Commons, secondo la celebre formula del King
in Parliament. Dall’altra, c’è la tradizione di common law, gestita dai giudici ordinari.
La prima è una fonte giuridica formale, la seconda è una fonte giuridica “effettiva”122.
Se le Corti, come abbiamo visto emergere dalla ricostruzione operata da Santoro in merito al loro rapporto con l’istituzione parlamentare, non sono formalmente chiamate a un’opera di limitazione della sovranità di quest’ultima, esse svolgono comunque una funzione di tal genere grazie ai meccanismi di interpretazione della legge, che legano i giudici a una particolare ideologia normativa – rispecchiata dall’insieme dei precedenti – e all’insieme dei valori e delle dinamiche linguistiche proprie della corrispondente comunità123.
A queste considerazioni si connette la validità del terzo principio richiamato da Zolo, che concerne le modalità di tutela dei diritti soggettivi che caratterizzano lo scenario di common law. Tale tutela, come sostengono sia Zolo che Santoro, viene assicurata dalle Corti più che dal Parlamento. Questa considerazione deriva proprio dalla ricostruzione del ruolo giocato dagli organi giurisdizionali all’interno della storia britannica, a partire dall’opposizione alle pretese assolutistiche della Corona nel XVII secolo fino all’opera di salvaguardia dei “diritti di liberty and
property dal possibile arbitrio non solo della burocrazia amministrativa (alle dipendenze della Corona), ma anche del Parlamento”124. I giudici inglesi, in questo scenario, svolgono un ruolo di
118 Danilo Zolo, op. cit., pp. 17-73. 119 Ivi, p. 24.
120 Ibidem 121 Ivi, p. 25. 122 Ivi, p. 24.
123 Per una riflessione sul valore giuridico delle dinamiche interne alla comunità degli interpreti si veda E.
Santoro, op. cit., pp. 281 ss.
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tutela effettiva dei diritti individuali dalle minacce a essi derivanti dall’esercizio delle diverse forme del potere pubblico:
I giudici di common law, professionalmente impegnati nel rispetto dei “precedenti”, e cioè di una serie di regole e di procedure orientate alla difesa dei diritti individuali, non potevano che essere intransigenti avversari di ogni forma di arbitrio potestativo125.
La distanza dal modello di Stato di Diritto continentale – in particolare, francese – risulta, a tal proposito, netta. Il Parlamento, unico organo deputato ad attuare la volontà popolare nel contesto continentale, si vede costretto, nello scenario inglese, a condividere la propria sovranità con gli organi giurisdizionali del regno. La divisione dei poteri trova in Inghilterra una formulazione diversa rispetto al paradigma montesqueiano della netta separazione tra Parlamento e giudici e del confinamento di questi ultimi a “bocche della legge”, a meri esecutori delle disposizioni legislative provenienti dall’organo parlamentare. Proprio sul ruolo dei giudici, costitutivo della tutela dei diritti individuali in Inghilterra, si fonda, quindi, questa differenza tra i due modelli. Zolo definisce, a tal proposito, “fondante”126 l’eccezione rappresentata dal rule of
law all’interno del panorama delle esperienze di configurazione del rapporto tra potere e diritti
nella modernità. L’eccezionalismo del contesto inglese, al quale corrisponde il peculiare valore riconosciuto alla funzione giurisdizionale, si sviluppa, secondo Zolo, a partire dalla considerazione che il costituzionalismo inglese rappresenti un diritto nato nelle pieghe della realtà sociale, e quindi strettamente collegato a esse:
Ciò che fa del costituzionalismo inglese un fenomeno nello stesso tempo eccezionale e fondante è, come ha sottolineato Carl Schmitt sulle orme di Friedrich von Savigny, l’essere “un diritto consuetudinario vivente”. Si tratta di un “diritto costituzionale” alimentato assai meno dalla riflessione teorica e dalla sistemazione concettuale, che non da una lunga tradizione di sggiustamento pratico del diritto da parte di un ceto
giuridico “privato” e “autonomo”127.
Collocata in secondo piano la dimensione teorico-concettuale del diritto e, a livello politico, il paradigma del collegamento tra sovranità parlamentare e volontà generale, la dimensione giuridica affermatasi nel contesto inglese si colloca su un livello strettamente pratico e collegato alla realtà sociale in cui essa trova espressione. La stessa tutela dei diritti individuali, quindi, più
125 Ibidem. 126 Ivi, pp. 30-33. 127 Ivi, p. 31.
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che sull’appello a valori o norme di carettere generale, si sostanzia nella dimensione pratica dei conflitti particolari che contraddistinguono, a livello sociale, una determinata comunità:
La Costituzione inglese non è una serie di principi e di regole generali che siano frutto,
à la Rousseau, della volontà costituente di una élite politica. Non è il “manuale
normativo” della nuova società che i rappresentanti del popolo o della nazione hanno deciso di assumere come guida per la costruzione di un ordine perfettamente razionalizzato dal diritto. Coerentemente, la tutela dei diritti individuali non è fondata o reclamata in nome di valori universali, dedotti dalla “natura” morale o razionale degli uomini e perciò da considerarsi patrimonio dell’umanità intera. Il carattere particolaristico e singolare delle “libertà degli inglesi”, in quanto radicate nel law of
the land e quindi prive di ambizioni universalistiche, è […] costantemente ribadito
entro la tradizione di common law, da Coke a Blackstone, a Dicey128.
Particolarismo, praticità e localismo rappresentano, quindi, i tre cardini su cui si modella la tradizione costituzionale inglese e, quindi, su cui si sviluppano i caratteri delle dinamiche di tutela dei diritti soggettivi all’interno di tale contesto. Su tali dinamiche, infine, un ruolo centrale e apertamente riconosciuto viene ricoperto dagli organi giurisdizionali, cioè dale Corti giudiziarie del regno che vengono a rappresentare le istituzioni deputate alla tutela delle libertà degli Inglesi.
È evidente che tale tradizione, così saldamente improntata sul ruolo attivo delle Corti nella vita giuridica, informi delle proprie caratteristiche anche la costruzione coloniale in cui essa viene a innestarsi. Abbiamo già ricordato che tentare di tracciare una precisa linea di sviluppo comune di questo tema, la quale risulti valida per tutti i diversi contesti appartenenti alla costruzione imperiale britannica, appare fuorviante. Se dobbiamo, infatti, tracciare una preliminare linea distintiva tra le colonies of settlement, nelle quali la madrepatria attua una politica di esportazione pressoché totale delle proprie istituzioni e della propria tradizione giuridica, e le
colonies of exploitation, nelle quali fondamentale si dimostra la capacità di interazione tra questi
due elementi e le preesistenti componenti della vita politica e giuridica delle società sottomesse, anche all’interno di tali insiemi si determinano col tempo differenze non di poco conto tra le diverse colonie, dovute a motivazioni storiche, culturali o sociali che risultano essere all’origine del diverso sviluppo di ognuna di esse. Inoltre, anche internamente a ogni singola colonia le diversità socio-culturali di ogni gruppo sociale vengono a determinare sostanziali diversità del loro rapporto con la tradizione politico-giuridica della madrepatria, oltre che con le autorità coloniali che hanno il compito di rappresentare quest’ultima.
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Nonostante l’impossibilità di proporre alcuna forma di generalizzazione all’interno del contesto coloniale, tuttavia, possiamo ritenere che il modello dopra delineato di rule of law, fondato preminentemente sul ruolo delle Corti nella tutela dei diritti individuali, che, quindi, prima che politica diviene giurisdizionale, si estenda all’intero panorama coloniale britannico. Studiare le interazioni e i conflitti tra i gruppi sociali all’interno dei diversi contesti coloniali e analizzare il comportamento degli organi giurisdizionali diviene, quindi, imprescindibile per una completa riflessione sul tema del pluralismo giuridico nella configurazione dell’esperienza imperialistica britannica. Per questo motivo, riteniamo valido l’approccio giurisdizionale proposto da Benton ed elaborato alla luce della teoria rossiana.
La nostra attenzione, sulla base di tali considerazioni, si concentrerà, a partire da questo momento, sull’organo di vertice del sistema giurisdizionale coloniale britannico: il Judicial Committee of the Privy Council. Esso costituisce la valvola di chiusura di tale sistema e, in quanto tale, il punto di approdo giurisdizionale degli scontri che caratterizzano ogni contesto sociale all’interno dello scenario coloniale. Studiare le concrete dinamiche di operatività della Corte del Privy Council significa, dunque, ricostruire, da un lato, le strategie che gli attori sociali utilizzano al fine di rivendicare un riconoscimento della propria identità e, dall’altro, la risposta giurisdizionale che il sistema ufficiale offre a tali rivendicazioni, in uno scenario che abbiamo visto essere contraddistinto dal peculiare valore attribuito al ruolo delle Corti nella garanzia delle libertà individuali. Al fondo di questa volontà ricostruttiva emerge, in definitiva, una necessaria riflessione sul ruolo del diritto all’interno di un contesto, quale quello coloniale, caratterizzato da un’evidente situazione di pluralismo giuridico: il diritto, infatti, diviene spesso, in tale scenario, l’oggetto della contesa tra i diversi attori dell’arena sociale e, quindi, il centro delle loro strategie di affermazione. In questo senso, analizzare le risposte del vertice del sistema giuridico ufficiale significa proprio valutare la conclusione di tale scontro sull’utilizzo del diritto e, dunque, i risultati che quest’ultimo produce sia in termini giurisdizionali che in termini culturali, in ogni caso concernenti i rapporti di potere all’interno di un’arena plurale.
Proseguiamo, quindi, la nostra ricerca prima soffermandoci su un’analisi approfondita delle origini storico-ideologiche di tale organo e del suo posizionamento nel contesto interno ed esterno e, in seguito, proponendo la ricostruzione di un caso di studio che dimostri nelle modalità più soddisfacenti la validità pratica della metodologia giurisdizionale di studio del fenomeno pluralistico.
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CAPITOLO 3
SVILUPPO STORICO E GIURIDICO DELLA GIURISDIZIONE CONSILIARE
All’interno dell’ordinamento giuridico britannico una posizione di rilievo viene occupata dall’organo giurisdizionale sviluppatosi nel tempo in seno alla struttura del Consiglio della Corona. Quest’ultimo, la cui nascita risale all’epoca sassone1, costituisce nella storia inglese, da
un lato, il nucleo da cui prendono progressivamente origine, per distacco, le numerose istituzioni caratterizzanti le funzioni rappresentative, amministrative e giurisdizionali del contesto britannico e, dall’altro, l’organo nel quale affonda le proprie radici la giurisdizione del Judicial Committee of the Privy Council, che costituirà la Corte di ultimo grado sulle controversie provenienti da tutti gli angoli dell’Impero Britannico.
Come sottolinea Lord Haldane, dunque, nel suo discorso sul Judicial Committee of the Privy Council tenuto presso la Cambridge University Law Society2, lo studio del ruolo giocato da tale
organo giurisdizionale, fondamentale nella storia giuridica inglese sia esterna che interna, deve essere contraddistinto innanzitutto da un approccio storico:
[…] Let me come to the question of what the Judicial Committee of the Privy Council really is in the working of the Constitution of the Empire, for to understand that is to understand much else in the English law. To do this you must resort to the historical method3.
Concordando sulla considerazione che l’approfondimento storico rappresenti, in particolare nel contesto stratificato del common law, un requisito imprescindibile per l’analisi sia del pensiero giuridico sia della vita e del funzionamento delle istituzioni, dedicheremo il presente capitolo alla storia della Corte del Consiglio Privato, partendo dalla nascita della sua giurisdizione in epoca normanna e giungendo alla moderna strutturazione nel Judicial Committee. Nel far questo, ci soffermeremo sugli aspetti più rilevanti anche ai fini di una ricostruzione teorico-ideologica degli elementi che influiscono sulla natura e sulla operatività della Corte. Cercheremo, quindi, di dar conto innanzitutto del posizionamento dell’organo all’interno del percorso del costituzionalismo inglese, al fine di poterne apprezzare appieno il ruolo successivamente acquisito nelle dinamiche coloniali e post-coloniali.
1 Le origini dell’istituzione consiliare possono, infatti, essere ricondotte all’organismo del Witenagemot di
epoca sassone: esso rappresenta il consiglio fiduciario del sovrano, composto dalle persone a questo più vicine e più autorevoli. Per una ricostruzione del valore di tale organism all’interno della società sassone si veda Giosuè Musca, La nascita del parlamento nell’Inghilterra medievale, Edizioni Dedalo, Bari, 1994.
2 Richard Burdon Sanderson Haldane (Lord Haldane), “The Work for the Empire of the Judicial Committee
of the Privy Council”, in Cambridge Law Journal, vol. 1, no. 2 (1922) pp. 143-155.
100 1. Dalla conquista normanna alla fine dell’età feudale
Lo stesso Lord Haldane individua nella conquista normanna il momento in cui il sovrano d’Inghilterra afferma per la prima volta la prerogativa di dispensare giustizia all’interno dei propri domini4. La giurisdizione, peraltro, rappresenta nel dodicesimo secolo soltanto uno degli
svariati compiti affidati all’autorità del sovrano, il quale inizia presto ad appoggiarsi a una struttura consiliare, di composizione feudale, per l’espletamento di tutte le funzioni di governo. Nel riassumere la nascita di quest’organo, George Rankin ritiene che esso costituisca il nucleo fondamentale dello sviluppo del sistema costituzionale inglese:
The King in the twelfth century, so far from being one who reigned but did not govern, taxed, judged and administered; but he did so with the assistance of a feudal Council, out of which have grown the most fundamental of the institutions which go to make or to give character to the British Constitution. This feudal Council originally consisted of all the tenants-in-chief: in practice the great noblemen and officials could alone be habitually attendant upon the King. It was variously known as the concilium regis,
curia regis, and on more important occasions the magnum or commune concilium5.
A dimostrazione dell’importanza di tale organo all’interno del sistema giuridico britannico, rileva notare che al Privy Council e alla sua storia abbia prestato attenzione anche il più celebre teorico del costituzionalismo inglese: Albert Venn Dicey6.
Seguendo l’analisi di Dicey possiamo individuare le origini del Consiglio Privato del Re nelle particolari dinamiche dei rapporti di potere tra sovrano e feudatari risalenti all’XI secolo. Innanzitutto, benché la monarchia anglo-normanna risulti al tempo contraddistinta da un carattere assolutistico più marcato rispetto alle altre monarchie feudali europee, anche qui il sovrano legittima il proprio ruolo in quanto appartenente alla famiglia più importante in seno alla classe nobiliare e non in quanto superiore per natura ai propri feudatari7. Si sviluppa dunque
tra la Corona e la nobiltà un rapporto di costante collaborazione, ben rappresentato dalla nascita
4Ibidem: “There was a period, as we know, when, in the days of King Alfred, the neighbours administered
justice and dealt with their delinquent brother on the spot; but after that, and particularly under the Norman Kings, the King himself took a large part in the administration of justice, and it was only as things grew that he delegated matters to his own justiciary and to his curia, and finally more and more was delegated from the Sovereign to the Judges of the administration of justice through the country”.
5 George Rankin, “The Judicial Committee of the Privy Council”, 7 Cambridge L. J. 2, 22 (1939), pp. 3-4. 6 Albert Venn Dicey, The Privy Council (The Arnold Prize Essay 1860), MacMillan, London, 1887.
7 Ivi, p. 2: “[…] Even in England, the early Norman kings may be considered as the greatest family among
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di quello che Dicey definisce il “custom of taking advice”8. La tradizione che vede il sovrano
chiedere regolarmente pareri sulle questioni di governo ai propri feudatari viene considerata non tanto un limite al potere regio, quanto una sua manifestazione di forza e autorevolezza. Il Re che agisca senza l’aiuto della propria cerchia di nobili recherebbe addirittura, secondo Dicey, offesa alla morale.
In questo rapporto di collaborazione e nella rilevanza del ruolo dei consiglieri del Re nel contesto della monarchia britannica possiamo collocare la nascita della struttura del Consiglio Privato, che ben presto assumerà due forme: il “Great” o “Common Council”, cioè l’assemblea occasionale di tutti i nobili e i funzionari di Corte, e il “Permanent” o “Continual Council”, composto dai consiglieri principali della Corona, i quali sono a continua disposizione del Re per lo svolgimento quotidiano dei suoi compiti di governo. Da quest’ultima struttura, altresì detta “Curia Regis” o “Aula Regia”, si svilupperà successivamente l’istituzione ufficiale del “Privy
Council”.
Possiamo sostenere che la Curia Regis, cioè il Consiglio dei Re normanni nelle sue vesti di governo, rappresenti l’incubatore di tutto lo sviluppo istituzionale della storia inglese. Nell’arco di tre secoli9, infatti, da essa nasceranno e si stabilizzeranno tutti gli organismi caratterizzanti
l’ordinamento politico e giuridico: un Parlamento composto da due ramificazioni, un sistema giurisdizionale autonomo e un Consiglio con poteri ben identificati. La storia di tale sviluppo può essere quindi analizzata secondo le diverse fasi del distacco di nuclei di potere dalle mani del sovrano e del suo Consiglio: la strutturazione di tali nuclei in organismi autonomi dal potere regio e, successivamente, in vere e proprie istituzioni si identifica con la storia della progressiva divisione dei poteri nel contesto inglese.
Inizialmente la Curia Regis contiene in sé gli stessi poteri, immensi e indefiniti, del sovrano: The ‘Aula Regia’ was in fact neither more nor less than the Court of the King; and he who was at once the ruler and the judge of the whole nation, exercised the powers which he possessed, either directly […], or indirectly, through the instrumentality of his great officers. Hence the authority of the ‘Curia Regis’ was as immense and as
undefined as that of the Monarch10.
Da questo insieme indefinito di funzioni ha origine la graduale divisione dei compiti all’interno del Consiglio: ciò avviene tramite l’attribuzione dei settori di governo più rilevanti quali finanza,
8 Ibidem.
9 Lo stesso Dicey sottolinea l’importanza dei tre secoli appena successivi alla conquista normanna per lo
sviluppo della configurazione istituzionale dell’Inghilterra. Ivi, p. 6: “The three centuries intervening between the Norman Conquest and the reign of Richard II (1066-1376), are the period during which English institutions assumed a form from which they have never essentially varied”.
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esercito e giurisdizione, a soggetti o dipartimenti specializzati. Dalla competenza giurisdizionale della Curia si svilupperà la storia dell’intero sistema giuridico inglese, in cui rientrerà, in seguito, la Corte del Judicial Committee of the Privy Council.
Se, come specifica Morris11, già il Great Council svolge all’inizio della dominazione normanna un
certo tipo di funzione giurisdizionale, in quanto tribunale speciale del Re per le cause concernenti questioni riguardanti i baroni e i vassalli del sovrano12, compiti ancora più rilevanti
in tal senso vengono contemporaneamente svolti, nella ampiezza e indefinitezza di poteri che ne caratterizzano la natura, dalla Curia Regis. Tale competenza giurisdizionale rappresenta un portato naturale dell’idea che il Re costituisca, fin dai tempi della conquista di Guglielmo, la fonte ultima della giustizia nel regno, che cioè egli possa essere considerato da tutti “the fountain of
justice”13. Se risulta storicamente provato il fatto che il sovrano, nel periodo più risalente della
dominazione normanna, svolga il compito di “dire diritto” di persona, partecipando quindi alle