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3. Pluralismo giuridico e realtà coloniale

3.2. Jurisdictional legal pluralism: i meriti di una metodologia innovativa

3.2.1. Una lettura rossiana

In base a tali premesse, intendiamo procedere su questa linea di studio e approfondire la tematica proponendo ancora un collegamento tra la teoria giurisdizionale bentoniana e la particolare versione del realismo giuridico elaborata da Alf Ross. Quest’ultima, infatti, a nostro avviso, consentendo di tenere insieme l’attenzione all’effettività del comportamento giuridico con l’analisi della componente più marcatamente psicologica della vincolatività sociale, conduce a una descrizione più completa e adeguata dei caratteri fondamentali del fenomeno pluralistico. Il più importante contributo alla riflessione teorica dell’approccio rossiano risulta riconducibile non tanto, e non soltanto, alla chiarezza con cui l’autore confuta le tesi idealiste, quanto alla rilevanza della sua elaborazione di una terza via all’interno del movimento realista, che riesce a superare le limitazioni teoriche dei due estremi dello psicologismo e del behaviorismo. È lo

delle tendenze astrattive e normativiste che ancora caratterizzano lo studio dei fenomeni pluralistici e al conseguente approdo a una teoria fondata sulla dinamicità e sulla fluidità delle relazioni tra i diversi ordinamenti normativi: “In contrast to the comforts of premature abstraction, I have tried to stress that law is the unsettled product of relations with a plurality of social forms. As such, law’s identity is constantly and inherently subject to challenge and change” (ivi, p. 138.).

Anche la riflessione di Santos trova il proprio motore nella volontà di teorizzare un modello di pluralismo giuridico fondato sull’interconnessione dei vari ordinamenti piuttosto che sulla loro separazione. Utilizzando gli strumenti concettuali propri della cartografia, Santos elabora la teoria della “interlegality” al fine di delineare i canoni relazionali del rapporto tra diritto e società e, quindi, tra i diversi sistemi normativi coesistenti all’interno del medesimo contesto socio-politico. Per raggiungere tale obiettivo, Santos, in “Law: A Map of Misreading. Toward a Postmodern Conception of Law” (in Journal of Law and

Society, vol. 14, no. 3 (1987), pp. 279-302) decide di applicare i tre elementi cartografici della scala, della

proiezione e della rappresentazione alla realtà sociale e giuridica. In particolare, è il riferimento alla scala che consente all’autore di rappresentare le connessioni tra i diversi sistemi normativi che regolano le dinamiche sociali di una stessa comunità: questi ultimi, infatti, appartengono, in corrispondenza del grado della loro estensione e generalità, a diversi livelli di scala cartografica i quali, lungi dal rimanere isolati e chiusi al reciproco contatto, entrano in relazione continua tra essi. Dall’accettazione delle dinamiche relazionali tra i diversi ordinamenti normativi nascono i concetti di “legal porosity” e di “interlegality”, che rappresentano i cardini dell’intera riflessione dell’autore in merito alla lettura e all’interpretazione dei fenomeni pluralistici: “Legal pluralism is the key concept in a postmodern view of law. Not the legal pluralism of traditional legal anthropology in which the different legal orders are conceived as separate entities coexisting in the same political space, but rather the conception of different legal spaces superimposed, interpenetrated, and mixed in our minds as much as in our actions, in occasions of qualitative leaps or sweeping crises in our life trajectories as well as in the dull routine of eventless everyday life. We live in a time of porous legality or of legal porosity, of multiple networks of legal orders forcing us to constant transitions and trespassings. Our legal life is constituted by an intersection of different legal orders, that is, by interlegality. Interlegality is the phenomenological counterpart of legal pluralism and that is why it is the second key concept of a postmodern conception of law” (ivi, pp. 297- 298).

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stesso Ross a proporre una distinzione tra le sue due versioni appena citate, le quali interpretano differentemente il collegamento tra validità ed effettività della norma e, quindi, dell’intero sistema giuridico. Secondo il “realismo psicologico” la validità attiene a una dimensione intrinseca alla coscienza collettiva, la quale si riflette come conseguenza naturale nel comportamento dei giudici:

Il realismo psicologico trova la realtà del diritto in fatti psichici. Una norma è valida se è accettata dalla coscienza giuridica popolare. Che tale norma sia applicata dalle corti è, per questa concezione, un fatto derivato e secondario, una normale conseguenza della coscienza giuridica popolare che è determinante anche per le reazioni del giudice90.

Il limite di questa versione teorica, a giudizio di Ross, risiede nella considerazione che la coscienza giuridica popolare attenga a una dimensione sostanzialmente individuale: la validità del diritto così configurata, infatti, si traduce in una molteplicità di varianti diverse per ogni individuo appartenente alla comunità. Tale costruzione, quindi, si scontra con l’esigenza di fornire un elemento, seppur minimo, di oggettività alla teoria della validità giuridica.

Il “realismo behavioristico”, da una prospettiva opposta, sconta la stessa tipologia di difetto teorico. Anch’essa, infatti, concentrando la propria ricostruzione della validità sul solo presupposto dell’applicazione della norma da parte delle Corti, si dimostra incapace di fornire dei criteri stabili e oggettivi per la definizione dei contenuti del diritto valido:

Il realismo behavioristico trova la realtà del diritto nelle azioni delle corti. Una norma è valida se esistono fondati motivi per ritenere che essa sarà accettata dalle corti come base delle loro decisioni. Che tali norme siano conformi alla prevalente coscienza giuridica è, per questa concezione, un fatto derivato e secondario. […] Una interpretazione meramente behavioristica del concetto di validità non è tuttavia soddisfacente, perché è impossibile prevedere il comportamento del giudice in base ad una osservazione di abitudini puramente esterna. Il diritto è qualcosa di più che una regolarità consueta, abituale91.

Ritenendo insoddisfacenti entrambe le versioni del realismo sopra esposte, Ross propone una loro sintesi, la quale dunque riesca a tenere insieme l’attenzione al comportamento concreto dei giudici nella loro attività giurisdizionale e la rispondenza di quest’ultimo a una dimensione psicologica quanto più oggettiva e individuabile. Il modello di validità giuridica delineato nella

90 A. Ross, op. cit., p. 68. 91 Ivi, pp.70-71.

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celebre metafora del gioco degli scacchi92, infatti, viene costruito da Ross proprio su questa

duplice componente della effettività, da un lato, e della vincolatività sociale, dall’altro:

[…] Il diritto presuppone non solo una regolarità nei modi di azione dei giudici, ma anche la loro esperienza nel sentirsi vincolati alle norme. Nella validità sono insiti due aspetti: da un lato, la regolare conformità, osservabile esternamente, rispetto ad un modello di azione e, dall’altro, l’esperienza di questo modello di azione come norma socialmente vincolante93.

L’attenzione di Ross, dunque, è focalizzata sul comportamento dei giudici, i quali rappresentano i soggetti destinatari delle norme di condotta – e anche di quelle di competenza, in quanto configurabili come norme di condotta indirettamente formulate – che caratterizzano l’ordinamento giuridico. L’affermazione della validità di una norma, questa le tesi di fondo della riflessione dell’autore, consiste nella previsione che la stessa norma venga presa dal giudice come base per la decisione nelle controversie. Nello svolgere il suo compito, infatti, il giudice viene condotto da quella che Ross definisce l’“ideologia normativa”94, che rende le decisioni,

grazie a un’adeguata riflessione sulla dottrina delle fonti del diritto, per certi versi prevedibili: Se la previsione è, nonostante tutto, possibile, ciò accade perché il processo mentale con il quale il giudice decide di fondare la decisione su una norma piuttosto che su un’altra, non è un capriccio od un atto arbitrario, variabile da un giudice ad un altro, ma è un processo determinato da atteggiamenti e da concetti, da una comune ideologia normativa presente ed attiva nelle menti dei giudici quando questi agiscono in veste di giudici95.

Se approfondito alla luce delle tesi di Ross, dunque, abbiamo ulteriori elementi per apprezzare l’impatto del nuovo approccio giurisdizionale al pluralismo proposto da Benton. Adottare una prospettiva realista di stampo rossiano, incentrata sull’analisi del comportamento dei diversi organi giurisdizionali e, in particolare, delle Corti ufficiali, consente, da un lato, di apprezzare la relazione quotidiana – estranea a qualsiasi tentazione formalistica - tra le diverse linee giurisdizionali che caratterizzano i rapporti culturali e giuridici nelle società coloniali e, dall’altro, di fornire a questo studio, attraverso l’attenzione prestata alla componente dell’ideologia normativa, un carattere di sistematicità. Il peculiare contesto giuridico britannico, inoltre, costituisce il terreno più fertile per un’analisi centrata sul ruolo delle Corti nella gestione del

92 Ross illustra il contenuto della metafora degli scacchi e la connessione con il concetto di diritto valido

in A. Ross, op. cit., pp. 13-19.

93 Ivi, p. 37.

94 Sul concetto di “ideologia normativa” si veda ivi, pp. 72-74. 95 Ivi, p. 72.

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pluralismo coloniale. Tale binomio tra tradizione giuridica britannica e approccio realistico- giurisdizionale al pluralismo, infine, sfocerà in una precisa teoria dell’interpretazione anti- formalista che influisce oggi, sotto diversi aspetti, da un lato sui rapporti esistenti tra gli organi giurisdizionali delle odierne entità statali nate dalla dissoluzione dell’Impero Britannico e, dall’altro, sulla peculiare gestione politico-giuridica del multiculturalismo nella società britannica.

Ritenendo, quindi, utile l’approccio giurisdizionale proposto da Benton, come coniugato alla teoria realista rossiana, la nostra analisi si concentrerà nel prossimo capitolo sulla ricostruzione del ruolo svolto nel contesto coloniale britannico dalla Corte di ultimo grado del Judicial Committee of the Privy Council, nell’ambito della quale proporremo una riflessione su un caso di studio specificamente individuato. Prima di giungere a tale ricostruzione, tuttavia, riteniamo doveroso soffermarci sulla particolare utilità che l’approccio bentoniano-rossiano manifesta in un contesto, quello di common law, spiccatamente improntato all’accettazione della dimensione giurisdizionale come parte attiva del fenomeno giuridico nel suo complesso.

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