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7.9 Una base fenomenologica

7.9.1 Diffrazione degli elettroni

L’esperimento di Young (1801) forniva la prima prova della natura ondu- latoria della luce. Con le onde si manifesta l’interferenza: se due onde si sovrappongono in un punto, si sommano; ma l’intensità risultante in quel punto può essere maggiore o minore dell’intensità delle singole onde. Sup- ponendo che le due onde siano monocromatiche e coerenti (la relazione tra

1Questa considerazione è frutto della mia personale esperienza di insegnante. Sarebbe

interessante uno studio sulla presenza dei laboratori didattici nelle scuole superiori e sulla loro dotazione, anche solo a livello locale, ma tale studio sarebbe l’oggetto di un’altra tesi di dottorato.

7. Scelta dei contenuti per una proposta didattica

le fasi non cambia nel tempo), l’intensità totale in un punto dipende dalla differenza di fase delle due onde ma non cambia nel tempo. Poiché è difficile avere due onde coerenti, si usa lo stratagemma della doppia fenditura, che serve per creare due sorgenti coerenti. Dopo che la luce ha attraversato la doppia fenditura, nello schermo si vede la figura di interferenza. Ciò dimo- stra che la luce si comporta come un’onda. Quando la luce attraversa una fenditura di larghezza confrontabile con la lunghezza d’onda della luce, si manifesta anche il fenomeno, anch’esso tipico delle onde, della diffrazione, che consiste nella deviazione e nello sparpagliamento dell’onda: quando la luce investe la singola fenditura, si divide in singole onde che interferiscono fra di loro. L’effetto è quello di vedere su uno schermo non l’immagine ni- tida della fenditura, ma un insieme di bande alternate chiare e scure simili alla figura di interferenza. In generale, quindi, quando la luce attraversa una doppia fenditura, si dovrebbe tener conto sia dell’interferenza che della diffrazione.

Se anziché due fenditure ne consideriamo N, si ottiene un reticolo di diffrazione. L’effetto congiunto di interferenza e diffrazione, in un reticolo, è la diversa disposizione delle frange: quelle luminose diventano più strette e compaiono massimi secondari meno intensi. La condizione per i massimi principali è

d sin θ = mλ, m = 0, ±1, ±2, . . .

Al crescere di N i massimi principali diventano più netti. L’ampiezza an- golare per il massimo principale in corrispondenza dell’angolo θ relativo a un dato ordine m (cioè l’intervallo fra il picco e il primo minimo adiacente) è

∆θ = λ

N d cos θ

dove d è la distanza fra le fenditure e N è il numero delle fenditure. Il massimo centrale è il più stretto (cos θ = 1). La larghezza del picco cresce al crescere di θ, quindi verso frange di ordine superiore. I massimi diventano più netti (cioè ∆θ diventa più piccolo) al crescere del prodotto Nd (che è la larghezza totale del reticolo). Un reticolo può avere N = 10000 fenditure distribuite su qualche centimetro. In tal caso i massimi sono molto stretti e se ne può misurare la posizione con grande precisione. Per questo motivo i reticoli sono usati per misurare lunghezze d’onda.

Osservando che fasci di particelle producono fenomeni di diffrazione, si può verificare che la materia manifesta un comportamento ondulatorio. Esistono apparechiature a scopo didattico che consentono di osservare la diffrazione degli elettroni (es. PHYWE). In un recipiente sferico in cui è stato fatto il vuoto, si manda un fascio focalizzato di elettroni, tutti con 138

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la stessa energia cinetica, verso uno strato policristallino di grafite che fun- ge da reticolo. Un solido cristallino, infatti, è costituito da atomi disposti in maniera regolare. A seconda di come sono disposti gli atomi, si può individuare una cella elementare, che è l’unità fondamentale del cristallo (l’unità che si ripete uguale a se stessa) e che corrisponde alla fenditura di un reticolo. Nell’esperienza in questione, gli elettroni diffratti dai cristalli di grafite si distribuiscono casualmente nello spazio e generano una figura di interferenza nella parte interna della superficie del bulbo, che è rivestita di uno strato fluorescente. Si osserverà un insieme di cerchi concentrici lu- minosi. All’interno del tubo un insieme di elettrodi consente di selezionare, accelerare e focalizzare gli elettroni che poi attraverseranno la grafite.

È possibile calcolare la lunghezza d’onda associata agli elettroni, me- diante la relazione di de Broglie. Si ha

λ = h p = h mv = h √ 2mK = s h2 2meVA

dove K è l’energia cinetica dell’elettrone e VA è il potenziale anodico. Te-

nendo conto che h = 6, 625 · 10−34 Js, e = 1, 602 · 10−19C, m = 9, 109 · 10−31

kg, si può scrivere λ = s 1500kV VA pm

Per ricavare le condizioni di diffrazione si può trascurare la struttu- ra della cella elementare, che influisce solo sull’intensità dei fasci diffratti. Indicando con θ l’angolo che il raggio forma col piano di incidenza prece- dentemente fissato e con d la distanza fra piani adiacenti che passano attra- verso le celle elementari, si può dimostrare che affinché si abbia interferenza costruttiva deve essere (legge di Bragg)

2d sin θ = mλ.

Nel caso della grafite policristallina, gli elettroni sono diffusi in tutte le direzioni, quindi l’interferenza degli elettroni diffratti avviene su coni che hanno un’apertura α. Interpretando il fenomeno come diffrazione di Bragg, che è più semplice ma non esatta, per questo caso, l’angolo di Bragg risulta θ = 12α.

Per geometria si ha (teorema della corda) 2r = 2R sin 2α quindi

sin 2α = r R.

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Figura 7.2: Angolo di Bragg Il raggio del bulbo di vetro è R = 65 mm. Si ha

sin 2α = 2 sin α cos α ma poiché α è circa 10° si ha cos α ∼ 0 quindi

sin 2α ∼ 2 sin α. D’altra parte

sin α = sin 2θ = 2 sin θ cos θ ∼ 2 sin θ e quindi

2 sin θ ∼ sin α ∼ 1

2sin 2α = r 2R. Dalla legge di Bragg si può ricavare quindi

r = 2R d mλ.

Le particelle policristalline della pellicola di grafite hanno la struttura esagonale della grafite, in cui le distanze reticolari piane più grandi sono d1 = 213 pm e d2 = 123 pm. A d1 e d2 corrispondono i due anelli di

diffrazione principali.

L’esperienza si realizza con i seguenti passaggi: • al variare della tensione anodica si calcola λ;

• al variare della tensione anodica si misura anche il raggio dei primi due anelli;

• dalla relazione fra r e λ si possono ricavare d1 e d2 e confrontarli con

i valori teorici. 140

7.9. Una base fenomenologica

Figura 7.3: Schema del bulbo

In particolare, per ricavare d si procede per regressione lineare. Pren- diamo ad esempio la relazione (per il primo anello)

r1 =

2R d1

λ,

che è lineare del tipo y = Ax + B. Si determinano alcune coppie (r1, λ) fa-

cendo variare la tensione anodica; si determina il coefficiente A che equivale a 2R

d1 e quindi consente di ricavare d1.

D’altra parte da r si può ottenere anche l’angolo di diffrazione al variare della tensione anodica:

θ = 1 4arcsin

2r D.

Nota tecnica: nel regolare i parametri, la differenza di potenziale G1

non deve essere a meno di 50 V (si tratta infatti di una tensione che deve limitare la corrente anodica).