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Partiamo dal fatto che la materia manifesta in certe circostanze un compor- tamento ondulatorio. Possiamo descrivere una particella con una equazione analoga all’equazione di un’onda armonica

Ψ(x, t) = Aei(kx−ωt) = Aeik(x−vt).

Bisogna però fare un passo indietro, e ricordare alcune proprietà delle onde. Consideriamo due onde emesse da sorgenti monocromatiche. Ipo- tizziamo anche che le sorgenti siano coerenti, cioè che la differenza di fase tra le due onde non cambi nel tempo. Nell’interferenza di onde coerenti, l’intensità risultante in ogni punto non varia nel tempo. Poiché in genera- le non è possibile rendere coerenti due diverse sorgenti di luce, perchè gli atomi delle due sorgenti agiscono da emettitori in maniera indipendente, per ottenere sorgenti coerenti si può usare il metodo della doppia fenditura. Consideriamo due onde coerenti che interferiscono (per semplicità in x = 0):

y1 = A sin ωt

y2 = A sin(ωt + φ).

Per il principio di sovrapposizione, l’onda risultante è y = y1+ y2 = 2A cos φ 2sin(ωt + φ 2). 128

7.6. La funzione d’onda

L’intensità è proporzionale al quadrato dell’ampiezza. Sia I l’intensità risultante e I0 l’intensità che un’onda produrrebbe da sola. Si ha

I I0 = (A A0 )2 e quindi I = 4I0cos2 φ 2.

L’intensità quindi varia da un minimo di zero (quando φ = π, cioé le on- de sono in opposizione e l’interferenza è distruttiva) a un massimo di 4I0

(quando φ = 0, cioè le onde sono in fase e l’interferenza è costruttiva). Torniamo ora agli esperimenti quantistici: questi (ad esempio la diffra- zione elettroni) ci dicono che le particelle hanno un comportamento ondula- torio. A una particella possiamo associare una lunghezza d’onda (secondo la relazione di de Broglie), perciò possiamo dire che a un insieme di par- ticelle tutte uguali corrisponde un insieme di onde coerenti. Il problema è che una particella deve essere localizzata (nello spazio e nel tempo) mentre un’onda non lo è. A una particella quindi non possiamo banalmente as- sociare una generica equazione d’onda armonica. Quale equazione d’onda dobbiamo allora associare a una particella? Ce lo dice l’equazione di Schrö- dinger, le cui soluzioni, nota la situazione fisica cui è soggetta la particella (essenzialmente l’energia), sono le “funzioni d’onda”. Come si è detto, non è possibile trovare una scorciatoia per risolvere un’equazione differenziale del secondo ordine alle derivate parziali come l’equazione di Schrödinger, però possiamo riflettere sulla sua soluzione.

Se ci limitiamo, in questo momento, ai concetti quantistici e non alle loro interpretazioni, osserviamo che la funzione d’onda è una funzione Ψ(x, t) che dipende dalla posizione e dal tempo e tale che |Ψ(x, t)|2dx è la probabilità

di trovare la particella in una posizione fra x e x + dx all’istante t. Da quest’ultima caratteristica della funzione d’onda segue che la probabilità di trovare la particella in tutto lo spazio deve essere uno, e ciò si traduce matematicamente con la c.d. condizione di normalizzazione

Z +∞

−∞ |Ψ(x, t)|

2dx = 1.

L’equazione di Schrödinger contiene il potenziale in cui si trova la parti- cella. In particolare, se si considera un potenziale nullo, quindi una par- ticella libera, si trova che le soluzioni dell’equazione di Schrödinger sono (cfr. appendice B per alcuni dettagli sull’equazione di Schrödinger)

Ψk(x, t) = Aei(kx−

~k2

7. Scelta dei contenuti per una proposta didattica con k = ±√2mE

~ . Scegliamo questo caso particolare dell’equazione di Schrö-

dinger perché è strettamente legato alle onde. La presenza dei fenomeni ondulatori nei programmi effettivamente svolti nella scuola secondaria è abbastanza consolidata, anche se è un argomento non sempre ben assimi- lato. Ci può servire, però, come punto di partenza per trattare qualche concetto di meccanica ondulatoria, perché fornisce strumenti matematici, anche se non di facile uso per gli studenti, comunque non troppo lontani dalla loro esperienza.

Alla particella libera corrisponde una lunghezza d’onda λ = 2π

|k|.

Una siffatta onda trasporta una quantità di moto p = ~k e ha velocità v = ~|k| 2m = s E 2m.

Possiamo confrontare la (7.1) con l’equazione dell’onda armonica, ma ab- biamo detto che un’onda di questo tipo, associata a una particella, in realtà non ha significato fisico perché si estende all’infinito nello spazio e nel tem- po. Una motivazione più rigorosa fornita dalla meccanica quantistica è che una funzione di questo tipo non è normalizzabile. Come ottenere allora una funzione d’onda per la particella libera che abbia significato fisico?

Torniamo a un esempio tratto dalle onde. Consideriamo due onde armoniche (per semplicità questa volta solo la loro parte spaziale)

y1 = A sin k1x

y2 = A sin k2x

con k1 molto vicino a k2. Se le due onde si sovrappongono si ottiene l’onda

risultante y = 2A cos(∆k · x) sin(k0· x) dove ∆k = k1− k2 2 , k0 = k1+ k2 2 .

È interessante vedere il grafico della funzione ottenuta: si ottiene un’on- da con k pari alla media dei valori corrispondenti alle due onde, ma con ampiezza che varia a sua volta in maniera periodica. Si ottiene cioè un 130

7.6. La funzione d’onda

pacchetto d’onde che inizia a essere localizzato. Si intuisce che se si som- mano più funzioni, si otterrà un pacchetto sempre più localizzato. Questo esempio può servire per illustrare il principio di indeterminazione: a un’on- da armonica, con k ben definito, corrisponde una particella con quantità di moto p ben definita, ma, poichè una tale onda si estende in tutto lo spazio, la posizione della particella non è ben definita; d’altra parte, a un pacchetto d’onda corrisponde una particella localizzata, ma nel pacchetto si disperde l’informazione su k e quindi si avrà una quantità di moto p non più ben definita.

Il supporto teorico, per ottenere una sovrapposizione di funzioni siginfi- cativa dal punto di vista fisico, ci è fornito dallo sviluppo in serie di Fourier. Scelto un opportuno insieme di funzioni goniometriche, una funzione può essere espressa come combinazione lineare in tale base, tramite la cosiddetta serie di Fourier: f (x) = ∞ X n=0 cnei nπ Lx

dove f(x) è una funzione definita in [−L, +L]. Affinchè una funzione possa essere approssimata con una serie di Fourier, occorre definire un opportuno spazio di funzioni, una condizione sulla successione {cn} e un tipo di con-

vergenza. Rimandiamo i dettagli matematici eventualmente necessari sulla serie di Fourier all’appendice E. Ci basti qui sottolineare che lo spazio fun- zionale deve essere uno spazio di Hilbert, uno spazio a dimensione infinita in cui è possibile generalizzare il concetto di base ortonormale degli spazi a dimensione finita. Se f(x) è già una funzione periodica con periodo 2T, può essere sviluppata in serie di Fourier con frequenze discrete ωn = nπT .

Nello sviluppo in serie, i coefficienti rappresenteranno quindi l’ampiezza del contributo di ogni componente armonica pura di frequenza ωn. Se la fun-

zione non è periodica (quindi T → ∞), le frequenze dello sviluppo in serie sono molto vicine e la sommatoria tende a un integrale del tipo

f (t) ∼

Z

g(ω)e−iωtdω

dove g(ω) rappresenta il contributo all’ampiezza delle frequenze comprese fra ω e ω + dω. Data una f(t), la corrispondente distribuzione in frequenze g(ω) si dice trasformata di Fourier, mentre, se è assegnata la g(ω), la f(t) si dice antitrasformata di Fourier. Ponendo k = nπ

L, si trova che (per i dettagli

cfr. sempre appendice E)

f (x) = √1 2π

Z

7. Scelta dei contenuti per una proposta didattica Figura 7.1: P acc hetto d’onde 132

7.7. Gli stati permessi