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Si intende come interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica [53, p. 81] il risultato delle riflessioni di Bohr con i suoi collaboratori al Copenhagen Institute. Bohr si pronunciò in convegni e articoli, ma non pubblicò mai un’esposizione sistematica dell’interpretazione della meccanica quantistica. Non esiste, tra l’altro, un’unica interpretazione di Copenhagen ma diverse sue versioni più o meno complete, presentate da collaboratori e seguaci di Bohr nei loro articoli o trattati.

La scuola di Copenhagen, per rimuovere la difficoltà di ammettere nel- l’apparato di misura fenomeni quantistici di interferenza che nella realtà

1J. von Neumann, in Mathematische Grundlagen der Quantenmechanik, Berlin,

Springer, 1932.

5.2. L’interpretazione di Copenhagen

non si vedono, rinuncia ad assegnare allo strumento di misura un carattere quantistico, e in quanto oggetto macroscopico lo considera soggetto solo alla fisica classica. Secondo Heisenberg, il mondo fisico può essere separato in due parti: l’oggetto osservato e il sistema che osserva, il primo descritto in maniera quantistica, il secondo in maniera classica. Dove sta la frontiera tra osservatore e osservato? Heisenberg lascia la decisione alla libera scelta. Bohr invece afferma che non vi è frontiera e che un’esperimento deve essere considerato come un’entità indivisibile.

Si stabiliscono poi delle regole pratiche per l’uso dei risultati sperimen- tali. Anzitutto se si ripete una misura subito dopo aver eseguito una misura per un’osservabile, si deve ritrovare lo stesso risultato. Ciò vuol dire che se dopo la prima misura lo stato del sistema è un autostato per l’osservabile misurata, dovrà essere tale anche dopo la seconda misura. Inoltre, se dopo la misura di un’osservabile A si esegue una misura di una seconda osserva- bile B, il fatto di avere eseguito la prima misura ha prodotto la cosiddetta riduzione, o collasso, della funzione d’onda. Si ottiene cioè una funzione d’onda in cui, come si è detto, scompaiono gli effetti di sovrapposizione dei differenti stati quantistici dell’apparato. Il problema sta nel fatto che la ri- duzione della funzione d’onda non è conseguenza della teoria, ma una sorta di considerazione pratica: è ciò che ci si aspetta quando si ha un’interazione fisica fra l’oggetto misurato e l’apparato di misura.

La riduzione della funzione d’onda è un fenomeno probabilistico, ma anche se il suo meccanismo, come si è detto, si spiega al di fuori della teoria, la sua probabilità è definita dalla teoria. Le probabilità della teoria quantistica non dipendono da un’ignoranza dell’osservatore o del teorico, ma sono una caratteristica intrinseca della natura o, in altri termini, della relazione fra la realtà e la sua descrizione matematica della teoria.

Un’altra idea importante dell’interpretazione di Copenhagen è la com- plementarità, introdotta da Bohr, che consiste nell’ammissione di concetti che sono mutuamente esclusivi ma necessari per una piena comprensione di tutti gli esperimenti (come nel caso noto come dualismo onda-particella). Il concetto di complementarità è strettamente legato a quello di verità. Hei- senberg pone l’accento sul fatto che, dovendosi descrivere fenomeni, questi sono i soli elementi di verità a nostra disposizione. Affermare che qualcosa si sta manifestando o verificando, non ha significato se non vi è modo di descrivere il fenomeno. Non si può ad esempio affermare alcunché di un atomo, fra il momento in cui è preparato per una misura e il momento in cui si esegue la misura. Nel mondo classico questo è invece legittimo: se chiudiamo un libro in una stanza, siamo certi di ritrovarlo lì. Questa considerazione non può essere applicata all’atomo: se lo chiudiamo in una stanza, lo ritroveremo lì? Heisenberg afferma che non ha senso porsi la

5. Interpretazione della meccanica quantistica

questione: possiamo dire qualcosa solo nel momento in cui lo misuriamo. L’interpretazione di Copenhagen lascia insoluti alcuni quesiti. Ad esem- pio, quanto grande deve essere un oggetto per essere considerato classico piuttosto che quantistico? Oppure, che cosa accade in prossimità della tran- sizione fra il dominio quantistico e quello classico? Da quali leggi fisiche è descritta questa transizione? Un esempio di difficoltà interpretativa è for- nito da Schrödinger.2 Un gatto è chiuso in una scatola contenente una

sorgente radioattiva. Un apparato può essere attivato da un decadimento radioattivo per mandare cianuro all’interno della scatola. Poiché la sorgente radioattiva è in ogni istante in una sovrapposizione di stati decaduto e non decaduto, anche il gatto è in ogni istante in una sovrapposizione di stati vivo e morto. Quando l’osservatore apre la scatola, secondo l’interpretazio- ne di Copenhagen si ha l’istantaneo collasso della funzione d’onda, e solo allora il gatto sarà vivo o morto. Prima dell’osservazione il gatto non è vivo né morto, o è in parte sia vivo che morto.

In effetti, le più importanti critiche (dal punto di vista fisico e non filoso- fico) che nel corso della storia sono state avanzate alla visione di Copenhagen sono di due tipi. Una prima critica è rivolta alla consistenza logica della teoria, per il fatto che si tratta l’apparato in maniera classica e il sistema da osservare in maniera quantistica: sembra che si adotti una visione classica o quantistica a seconda della convenienza. Una seconda critica è avanzata al fatto che la teoria spiega bene i fenomeni sulla base dell’equazione di Schrö- dinger ma che tale equazione non funziona più bene se la si applica all’atto della misura. Ora, criticare l’interpretazione non vuol dire puntare il di- to sull’eredità insoddisfacente dei grandi padri della meccanica quantistica [53]. Si può pensare invece che la scuola di Copenhagen ci abbia lasciato una visione e un programma: formulare l’interpretazione della meccanica quantistica in maniera sufficientemente chiara e deduttiva da apparire come una teoria consistente.