Alla meccanica quantistica, come era stata fondata tra gli altri da Bohr e Heisenberg, Einstein riconosceva un grande contenuto di verità, ma egli 84
5.5. Il paradosso di Einstein, Podosky e Rosen
riteneva che fosse necessario fornire ulteriori precisazioni riguardo alla spie- gazione dell’esistenza dei fatti. Poiché dalla meccanica quantistica non de- rivavano contraddizioni sperimentali, la sola possibilità era quella di trovare una contraddizione nella teoria stessa. Questa è l’idea di fondo di un articolo [22] in cui, insieme con Podosky e Rosen, Einstein descrive un esperimento ideale per sostenere l’ipotesi che la meccanica quantistica non è una teo- ria completa.5 Nell’articolo gli autori affermano che la realtà oggettiva è
indipendente da ogni teoria, pertanto ogni seria discussione di una teoria fisica deve tenere conto della descrizione della realtà fornita dalla teoria e anche dei concetti con cui la teoria opera. Essi asseriscono che se, senza perturbare un sistema fisico, si può prevedere con certezza il valore di una quantità fisica, allora deve esistere un elemento di realtà corrispondente a quella quantità. In questo senso, ad esempio, la maggior parte dei concet- ti di cui si fa uso in fisica classica sono associati a un elemento di realtà, perché possono, in linea di principio, essere noti osservando attentamente il sistema o possono essere misurati senza perturbare il sistema. Posto che esistono elementi di realtà, gli autori definiscono completa una teoria in cui ogni elemento di realtà ha una controparte. Essi forniscono un esempio di elemento di realtà che non è un fenomeno classico: prendono in conside- razione una particella descritta quantisticamente dalla funzione d’onda (in una dimensione)
ψ = eip0x/~.
In questo caso la quantità di moto è un elemento di realtà, poiché il suo valore è p0 con probabilità 1 ed è noto senza perturbare il sistema con una
misura. Al contrario la posizione della particella può esere conosciuta solo con l’aiuto di una misura che perturberà lo stato del sistema, quindi non è un elemento di realtà.
Come altro esempio, considerano due particelle, rispettivamente con po- sizione e quantità di moto (X1, P1) e (X2, P2), di cui si misurano simulta-
neamente P1 e X2. Secondo l’interpretazione di Copenhagen, avviene la
riduzione del pacchetto d’onda quando la misura di P1 fornisce il risultato
p1, e si ottiene la funzione d’onda
φ(x1, x2) = eip1x1/~eip1x2/~.
Questa è un’autofunzione dell’operatore p2 = ~i∂x∂
2 con autovalore p1. Per-
ciò, in base alla loro definizione di elemento di realtà, gli autori possono affermare che il valore di P2 deve essere p1, perché è noto con probabilità
5In questo caso per “completezza” non si intende la capacità della teoria di fornire
previsioni per qualsiasi esperimento. La definizione di teoria “completa” è fornita da Einstein, Podosky e Rosen nell’articolo.
5. Interpretazione della meccanica quantistica
1 senza perturbare la particella 2. D’altra parte la meccanica quantistica ci dice che X2 e P2 sono osservabili incompatibili: per il principio di inde-
terminazione, se conosciamo con certezza X2 non possiamo conoscere P2.
Esiste quindi un elemento di realtà che non ha controparte nella teoria: la meccanica quantistica è incompleta.
L’esperimento descritto nell’articolo di Einstein, Podosky e Rosen può essere fomulato in maniere alternative. Lo troviamo ad esempio illustrato da Bell in [19], nei saggi dal titolo Sul paradosso di Einstein-Podosky-Rosen e Gli esperimenti Einstein-Podosky-Rosen. Una versione di Bohm, importan- te perché può essere verificata sperimentalmente, è del 1951.6 Consideriamo
[71] una particella a spin zero a riposo che decade in due particelle a spin 1/2. Per la conservazione della quantità di moto, le due particelle emesse devono muoversi in direzioni opposte. Per la conservazione del momento angolare, lo stato di spin del sistema deve essere |0, 0i, ipotizzando che il momento magnetico orbitale relativo sia zero. Due sperimentatori A e B vogliono misurare lo spin delle singole particelle, che chiamiamo 1 e 2. Sup- poniamo che la direzione del moto delle due particelle sia l’asse y. Se A e B decidono ad esempio di misurare Sz e A ottiene ~2, B deve ottenere
−~
2. Poiché lo stato |0, 0i può essere espresso in termini degli stati di base
|+z, −zi e |−z, +zi come |0, 0i = √1
2|+z, −zi − 1 √
2|−z, +zi ,
vi è il 50 per cento di probabilità di trovare tale situazione. Ora, se A misura per primo, la misura di A ha istantaneamente determinato il valo- re della misura di B anche se le due particelle non interagiscono e A e B possono essere separate da anni luce. Gli osservatori possono decidere di misurare Sx e troveranno che i risultati della misura sono ancora completa-
mente correlati. Occorre osservare che le particelle non possono avere valori contemporaneamente determinati di Sx e Sz. Questo caso è un esempio del
fenomeno quantistico dell’entanglement, in cui lo stato di un sistema costi- tuito a sua volta da più sistemi dipende da tali sottosistemi anche quando questi sono spazialmente separati.
Questa conseguenza non piaceva ad Einstein: egli non gradiva il fatto che una singola particella può essere in uno stato in cui essa non ha un attributo ben definito (spin o posizione) prima che si compia una misura, perché ciò vorrebbe dire che le proprietà fisiche non hanno realtà oggettiva indipendente dal fatto che vengano o meno osservate. Secondo Einstein vi era una spiegazione più ragionevole. Sebbene i risultati delle misure condot- te su una singola particella siano in accordo con la meccanica quantistica,
6D. Bohm, in Quantum Theory, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1951.
5.5. Il paradosso di Einstein, Podosky e Rosen
essi non implicano che una particolare particella non abbia un attributo ben preciso prima che sia fatta la misura. Verificare le previsioni della mecca- nica quantistica richiede misure su un insieme di particelle, ciascuna delle quali si presume sia nello stesso stato. Dunque Einstein ipotizzava che il 50 per cento delle particelle nello stato |+xi ha Sz = ~2 e il 50 per cento
ha Sz = −~2 ma che noi non siamo in grado di distinguere tra questi due
tipi di particelle, come se l’attributo che ci consentirebbe di distinguerle ci fosse nascosto. Da qui prende il nome la teoria a variabili nascoste della meccanica quantistica. Per mostrare quanto fosse insoddisfacente l’inter- pretazione convenzionale della meccanica quantistica, Einstein, Podosky e Rosen hanno proposto l’esperimento ideale qui descritto. Poiché tale in- terpretazione è completamente in disaccordo con ciò che Einstein definiva “ragionevole definizione della natura di realtà”, che include il principio di località, cioè che la situazione del sistema 1 è indipendente da ciò che si compie sul sistema 1 che è spazialmente separato dal sistema 2, il contenu- to dell’articolo del 1935 di Einstein, Podosky e Rosen in cui si tratta questo argomento è chiamato paradosso EPR.
Il paradosso trova una spiegazione nell’interpretazione logica della mec- canica quantistica [53]: si deve riconoscere che gli elementi di realtà rappre- sentano solo proprietà “attendibili” (reliable) ma non vere. In altri termini si tratta di proprietà arbitrarie, che dipendono dalla scelta di una particolare logica.
Un altro aspetto paradossale dell’esperimento EPR è il problema del- la non località o non separabilità della meccanica quantistica. Con non località si intende il fatto che lo stato di spin della particella 2 diventa istantaneamente un elemento conoscibile di realtà quando si misura una componente di spin della particella 1 e che questa connessione avviene a qualunque distanza si trovino le due particelle. Con non separabilità si in- tende lo stesso fatto ma con l’attenzione all’impossibilità di considerare una particella indipendentemente dall’altra per il fatto che sono correlate da un evento comune nel passato. Questa limitazione all’indipendenza della parti- cella implica che essa non contiene in se la propria realtà ma è inseparabile da ciò che esiste al di fuori, per quanto lontano sia.
In [53, p. 399] troviamo la definizione di separabilità fornita da d’E- spagnat:7: nell’ipotesi che un sistema fisico rimanga per un certo tempo
meccanicamente isolato da altri sistemi, l’evoluzione delle sue proprietà in quell’intervallo di tempo non possono essere influenzate da operazioni com- piute su altri sistemi. L’esperimento EPR implica in questo senso che la
7B. d’Espagnat, in Conceptual Foundation of Quantum Mechanics, Reading, Mass.,
5. Interpretazione della meccanica quantistica
meccanica quantistica è non separabile. Ma [ibidem] occorrerebbe chiarire che cosa si intende per “proprietà” e cosa vuol dire “influenzare”. Se con “proprietà” si intende, secondo il concetto già visto, l’enunciato “il valore di un’osservabile A appartiene a un insieme D”, le proprietà possono esse- re ricondotte a pochi tipi: alcune sono associate a una certa probabilità; alcune sono accettabili, cioè sono conseguenza di un fatto noto ma sono ge- nerate dalla libertà di espresione e non si adattano universalmente ai fatti; altre proprietà sono vere, cioè si adattano perfettamente ai fatti. Secondo Omnès, se ci si limita alle proprietà vere, quelle di un sistema momenta- neamente isolato non sono sensibili a un’interazione che si verifica in un altro sistema. Relativamente alle proprietà vere, pertanto, la meccanica quantistica è separabile.