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3.6 Rielaborazione e precostruzione

4.1.2 Meccanica delle matrici

cenni storici Come si è già avuto modo di ricordare, nel 1923 de Broglie formulava l’ipotesi in cui associava un’onda a ogni tipo di particella, ipotesi confermata nel 1927 dagli esperimenti di diffrazione degli elettroni di Davis- son e Germer. Negli stessi anni Heisenberg rifletteva sui fondamenti della

4. La meccanica quantistica

fisica partendo da un idea di fondo: la fisica dovrebbe trattare solo quan- tità osservabili. Da questo seguiva che non aveva senso fare riferimento a orbite atomiche di tipo classico, poiché nessun esperimento poteva provarne l’esistenza. Heisenberg partì pertanto dall’ipotesi di Bohr relativa a livelli energetici atomici quantizzati e esaminò il problema delle linee spettrali.

Nell’elettromagnetismo classico l’intensità di radiazione dipende dal di- polo elettrico dell’atomo, che a sua volta dipende dalla posizione dell’e- lettrone rispetto al nucleo. Tale posizione però non può essere misurata mentre avviene l’emissione. Heisenberg allora ipotizzò che quando l’atomo passava da un livello energetico n a un livello m, la posizione dell’elettrone, che non poteva essere misurata direttamente, potesse essere caratterizzata da un numero xnm che rappresentava la maniera in cui la posizione stes-

sa si manifestava durante la transizione. Heisenberg introdusse poi altre quantità analoghe per rappresentare velocità e accelerazione, e formulò le leggi della dinamica in termini di tutte queste quantità. L’aspetto notevole è che tali quantità erano, per allora, “strane” anche dal punto di vista alge- brico: in particolare il loro prodotto non era commutativo. Con tutto ciò, comunque, nel 1925 Heisenberg ottenne per la prima volta una spiegazione delle linee spettrali in buon accordo con l’esperienza. Born, Jordan e Dirac riconobbero ben presto che l’uso di oggetti matematici non commutativi era una caratteristica intrinseca della teoria di Heisenberg, e riconobbero anche che le regole di calcolo di cui Heisenberg faceva uso erano quelle dell’algebra delle matrici. Nel 1926 Dirac da un lato e Born, Heisenberg, Jordan dall’al- tro formularono una dinamica quantistica completa, da potersi applicare a ogni sistema fisico.

basi della teoria Per rivisitare i principi fondamentali della meccanica quantistica secondo la formulazione della “meccanica delle matrici”, ci rife- riamo alla rielaborazione di Dirac [20], che ha anche compiuto una sintesi tra meccanica delle matrici e meccanica ondulatoria.

Lo stato fisico (quantistico) è rappresentato da un vettore |ψi (detto ket) in uno spazio vettoriale (che, come vedremo, deve essere uno spazio di Hilbert) mentre una grandezza fisica, detta osservabile, è rappresentata da un operatore ˆA. La base dello spazio vettoriale è costituita da vettori |aii,

detti autostati, tali che

ˆ

A |aii = ai|aii

dove ai, detto autovalore, è il risultato della misura di una grandezza fi-

sica che corrisponde all’operatore. Un generico stato si ottiene da una 54

4.1. Alcune formulazioni della meccanica quantistica

combinazione lineare della base: |ψi =

n

X

i=1

ci|aii

dove i coefficienti ci sono numeri complessi e prendono il nome di ampiez-

ze di probabilità. Per fondare la teoria occorre dunque introdurre gli spazi vettoriali nonché il concetto di base e di combinazione lineare, strumenti matematici che servono per descrivere gli stati fisici. Per descrivere il con- cetto di misura, invece, occorrono, come strumenti matematici, gli operatori e il concetto di autovalori e autovettori.

Per capire la necessità di introdurre il concetto di ampiezza, è necessario riflettere sul problema della misura. Prima di una misura dell’osservabile

ˆ

A, lo stato fisico è in generale in una sovrapposizione di autostati, cioè una combinazione lineare della base. Quando si esegue la misura, il sistema collassa in uno degli autostati di ˆA e il rispettivo autovalore corrisponde al valore della misura. Quindi una misura cambia lo stato del sistema (a meno che il sistema non fosse già inizialmente in un autostato). Prima della misura non sappiamo in quale autostato collasserà lo stato (cioè quale valore della misura si otterrà), possiamo solo conoscerne la probabilità, data dal modulo quadro dell’ampiezza di probabilità. Nota bene, dice Dirac: affermando che un generico stato è una sovrapposizione di stati di base con opportuni coefficienti, non significa che lo stato è “un po’ in una situazione e un po’ in un’altra”, ma che esistono ben definite probabilità che, se si esegue una misura dello stato, questa fornisca i risultati che corrispondono ai rispettivi autovalori. La meccanica quantistica dunque assume come ipotesi che le grandezze fisiche non possono assumere valori arbitrari ma solo certi valori permessi, con ben precise probabilità. Uno dei postulati della teoria, pertanto, è che la probabilità di ottenere una certa misura è data dal modulo quadro dell’ampiezza di probabilità. Perciò, per elaborare una teoria quantistica, non si può prescindere dall’uso del concetto matematico di probabilità.

Il simbolo

hai| ψi

indica l’ampiezza di trovare nello stato |aii una particella che si trova nello

stato |ψi. Il simbolo hai|è un altro tipo di vettore chiamato bra. L’ampiezza

quindi si considera ottenuta come un prodotto scalare tra ket e bra. Un bra è complesso coniugato del rispettivo ket.

Esistono operatori che commutano e che non commutano, che Sakurai chiama compatibili e incompatibili [62, p. 29]. Quando due operatori non commutano, la teoria consente di ricavare una relazione di indetermina- zione fra le rispettive grandezze fisiche: coseguentemente, non si possono

4. La meccanica quantistica

misurare con precisione arbitraria le due grandezze. Sono importanti però anche gli operatori che commutano: la teoria ci dice che hanno autostati in comune, e rappresentano grandezze fisiche che possono essere misurate simultaneamente. Le relazioni di commutazione quindi hanno il ruolo di postulati della teoria, e da esse discendono le relazioni di indeterminazione, che sono uno degli elementi di rottura con la fisica classica.

esempi di osservabili e rispettivi operatori Un esempio di osser- vabile è lo spin, proprietà che non ha un corrispettivo nella fisica classica. Per certe particelle, dette a spin 1/2, lo spin può assumere solo i due valori ±~

2. Gli stati di spin quindi sono rappresentati da elementi di uno spazio

vettoriale a due dimensioni. L’operatore che misura lo spin è il generatore delle rotazioni, che ha le dimensioni di un momento angolare.1 In estre-

ma sintesi, quindi, possiamo dire che all’osservabile fisica spin corrisponde l’operatore momento angolare. Gli stati di base dello spin sono autostati del momento angolare. Dal fatto che momenti angolari intorno a diversi assi non commutano, segue una relazione di indeterminazione. Ad esem- pio, risulta che non è possibile conoscere con precisione arbitraria momenti angolari lungo diversi assi.

La misura dell’energia di uno stato quantistico è data dall’operatore hamiltoniano, che, avendo le dimensioni dell’energia, chiamiamo operatore energia. Esso consente di esprimere un altro operatore importante che è l’operatore di evoluzione temporale. Questo a sua volta consente di rica- vare l’equazione di Schrödinger, ossia l’equazione del moto della meccanica quantistica, che descriveremo più avanti. Gli autostati dell’hamiltoniana sono importanti in quanto stati stazionari. I rispettivi autovalori sono i valori permessi per l’energia. Ciò quindi comporta che alcuni importanti sistemi quantistici (come vedremo più avanti) possono assumere solo certi valori di energia.2

A uno stato può essere associata anche una posizione, ma a differenza dello spin la posizione può assumere valori con continuità (si dice che ha uno spettro continuo di autovalori), quindi non sarà una sovrapposizione discre- ta ma continua. L’operatore di posizione è quello che applicato allo stato fornisce una misura della posizione della particella. Il numero complesso hx | ψi è l’ampiezza di trovare la particella in una posizione x e, siccome varia al variare di x, viene chiamata funzione d’onda.

1Si chiama generatore delle rotazioni perché consente di esprimere un operatore di

rotazione.

2Esistono anche sistemi, come la particella libera, in cui lo spettro di autovalori

dell’energia è continuo.

4.1. Alcune formulazioni della meccanica quantistica

Per misurare la quantità di moto dello stato si usa l’operatore gene- ratore delle traslazioni, che ha per l’appunto le dimensioni fisiche dell’im- pulso. Esso consente anche di esprimere l’operatore di traslazione, quello che trasla uno stato di una quantità definita. Dalla non commutatività degli operatori di posizione e quantità di moto, segue un’altra relazione di indeterminazione, ad esempio

∆x∆px ≥ ~

2.

L’operatore quantità di moto nello spazio delle posizioni corrisponde alla derivata rispetto alla posizione:

ˆ px −→ x ~ i ∂ ∂x.

Si può adottare come sistema di riferimento anche lo spazio degli impulsi. In tal caso si può definire una funzione d’onda nello spazio degli impulsi.

In sintesi, quindi, gli stati di posizione e di quantità di moto costituisco- no uno spazio vettoriale continuo. L’ampiezza di probabilità di trovare la particella in un certo stato di posizione o di quantità di moto si chiamano rispettivamente funzione d’onda nello spazio delle posizioni e degli impulsi. La posizione e l’impulso nella stessa direzione non commutano. Ciò implica che non è possibile conoscere con precisione arbitraria posizione e impulso della particella.