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I diritti politici e la condizione giuridica dello straniero.

D) I diritti degli stranieri nella Ley de Extranjería

III. I diritti politici e la condizione giuridica dello straniero.

Sin qui, abbiamo avuto modo di analizzare la natura, la titolarità e l’esercizio della vasta gamma di diritti che la Costituzione spagnola accorda ai soggetti nell’ordinamento giuridico, con particolare riferimento agli stranieri. Come si è detto nel primo capitolo,

232 Un’analisi interessante sulla dottrina del Tribunal constitucional a seguito del processo di riforma della LOEx 4/2000 è presente in MARCOS FRANCISCO MASSÓ GARROTE, Los Derechos y Libertades

fundamentales de los extranjeros en el nuevo marco legal, "Iuris Tantum". Revista Boliviana de Derecho, n. 11,

2011. Per una visione critica, si veda anche NICOLÁS PÉREZ SOLA, La reciente jurisprudencia

constitucional en materia de extranjería: comentario a las sentencias del Tribunal Constitucional relativas a la inconstitucionalidad de la Ley Orgánica 8/2000, Revista de derecho migratorio y extranjería, n. 17, 2008, pp.

33-57.

233 Per una visione completa delle novità introdotte dal processo di riforma, si veda RAQUEL VELA DÍAZ, La Ley Orgánica 2/2009, de 11 de diciembre, de reforma de la Ley de extranjería: puntos críticos desde el

prisma laboral, Revista de Trabajo y Seguridad Social, n. 326, 2010. Per una visione più schematica,

ALEJANDRO MILLÁN ALEGRET, Principales modificaciones y novedades de la Ley de Extranjería L.O.

2/2009, Revista Consell Obert, n. 249, 2010, p. 25 ss. In dottrina, la legge ha avuto pareri contrastanti.

Per una visione funzionale e descrittiva delle ricadute del processo di riforma, si rinvia all’interessante saggio di ÁNGEL G. CHUECA SANCHO, PASCUAL AGUELO NAVARRO, La reforma de la Ley

de Extranjería: una visión crítica desde los Derechos Humanos, Revista de derecho migratorio y extranjería, n.

non è possibile raggruppare nel termine “straniero” tutti gli individui cui la legge fa spesso riferimento, essendosi trovato lo stesso legislatore a dover differenziare la portata di questa espressione, a seconda della situazione giuridica. Questa differenziazione permane e si fa, per certi versi, più ardua quando si affronta il tema del “diritto al suffragio”, notoriamente escluso per coloro che non fanno parte del cd. “popolo”, così come la dottrina costituzionale classica ha sempre inteso rappresentare234.

In effetti, i diritti politici, «si integrano dentro ciò che viene denominato status

activae civitatis, concetto che viene a definire l’insieme dei diritti che permettono al

cittadino di partecipare alla formazione della volontà dello Stato», soprattutto in quanto «membro della comunità politica (anche) attraverso l’esercizio di determinate funzioni pubbliche»235. Il nucleo basilare di questi diritti, quindi, si esprime con la partecipazione

politica alla “comunità”, attraverso il diritto di voto attivo e passivo, che sono esplicitamente richiamati nell’art. 13.2 CE nella sua formula recentemente riformata. Tuttavia, occorre precisare che, come fatto anche in precedenza, almeno dal punto di vista di chi scrive, vi è l’idea che il concetto di “diritti politici” debba intendersi in maniera più ampia, includendo in tale insieme anche altre libertà quali il diritto di associazione, riunione, espressione, il diritto di petizione e tutti quei diritti che, in un senso assolutamente oggettivo, compongono la moderna partecipazione del soggetto alla vita pubblica236.

234 Oltre alle osservazioni già svolte e che si affronteranno nel proseguo del lavoro, per una trattazione giuridica sull’evoluzione del concetto di popolo e di cittadinanza si veda per tutti MARCO CUNIBERTI, La Cittadinanza: libertà dell'uomo e libertà del cittadino nella costituzione italiana, Diritto e istituzioni, Padova, CEDAM, 1997. In particolare, si veda AUGUSTO BARBERA, Le basi filosofiche del

costituzionalismo, Bologna, Il Mulino, 1997.

235 In tal senso si esprimeva nella sua nota opera GEORG JELLINEK, System der subjectiven öffentlichen

Rechte, Tubinga, Mohr, 1905, il cui pensiero viene ampiamente espresso in JOCHEN VON

BERNSTORFF, The Public International Law Theory of Hans Kelsen: believing in Universal Law, New York, Cambridge University, 2010, p. 35 ss.

236 Questa visione si è caratterizzata in passato per aver contribuito a delimitare in modo molto più realistico il complesso corpus di libertà partecipative, nell’evoluzione costituzionale moderna. In tal senso, infatti, si esprimeva GEORGES BURDEAU, Les libertes publiques, IV ed., Parigi, LGDJ, 1972, p. 83. Allo stesso modo, anche PAOLO BISCARETTI DI RUFFIA, Derecho constitucional, Madrid, Tecnos, 1987, p. 749, quando afferma che nei diritti politici vanno compresi tutti quei diritti che corrispondono al cittadino, nei quali include, insieme al voto, il diritto di riunione, associazione, organizzazione sindacale e, persino, l’accesso ai pubblici poteri. Su quest’ultimo punto, si esprime anche NICOLÁS PÉREZ SERRANO, Tratado de Derecho Político, Madrid, Civitas, 1984, p. 652, quando include (oltre

Siamo consapevoli che questa posizione è alquanto atipica ma è altrettanto condivisa da una discreta parte della dottrina spagnola237, la quale aggiunge ai diritti

politici “classici” altre libertà che la Costituzione accorda ai differenti soggetti: tra questi troviamo alcuni che incarnano i meccanismi più comuni di democrazia diretta, come il referendum (art. 92), il diritto di petizione (art. 29) e quello di iniziativa legislativa popolare (87.3). A ciò va aggiunto che determinati autori ammettono che l’utilizzo dei diritti della persona può sfociare nell’esercizio di determinati diritti politici, cosicché l’esercizio di taluni diritti individuale rende possibile «un progressivo ampliamento della coscienza e dell’attività politica»238.

Questa stessa “attività politica” (come abbiamo avuto modo di argomentare) viene concessa, con diverse accezioni, in maniera esclusiva ai cittadini dello Stato. Tuttavia, con l’espressione “cittadino” si confondono spesso due idee che hanno origine in concetti altrettanto distinti e che sono quello di “cittadino” e quello di “nazionale”. Il primo termine, infatti, è proprio del diritto politico; il secondo, al contrario, deriva da una concezione più ampia e che può essere desunta dallo stesso diritto internazionale; è bene

all’accesso ai pubblici incarichi) il diritto all’uguaglianza e il diritto all’informazione. Dal nostro punto di vista strettamente personale, ci sembra opportuno segnalare quanto teorizzato dal comparatista turco ERGUN ÖZSUNAY, Human Rights of Aliens in Europe, Council of Europe (Directorate of Human Rights), Strasburgo, Martinus Nijhoff Publishers, 1985, p. 199-225, il quale afferma che la partecipazione politica degli stranieri deve necessariamente comprendere queste attività: libertà di opinione, riunione, informazione, associazione (inclusa la partecipazione ai partiti politici), suffragio attivo e passivo a livello locale, diritto di organizzazione sindacale e, in ultimo, la possibilità di accesso limitato per alcune questioni ai meccanismi referendari.

237 Parte della dottrina segnala che la partecipazione politica resta molto limitata, posto che può comprendere tutte le libertà che sono espresse nella Costituzione e nonostante il cittadino possa influenzare con tutte queste libertà la vita politica del Paese, resta un diritto (quello politico) valutato come allusivo per la formazione della volontà statale, attraverso la partecipazione diretta o la partecipazione rappresentativa. Così afferma LUIS AGUIAR DE LUQUE, El derecho a participar en los

asuntos públicos. Art. 23.1, in Oscar Alzaga (dir.), Comentarios a la Constitución española de 1978,

Madrid, EDERSA, 1983, p. 663. Altra dottrina sostiene, in effetti, al momento di qualificare il diritto politico, vanno inclusi quei diritti che favoriscono la democrazia politica, vale a dire la libertà di partecipazione politica o di organizzazione sindacale. Così si esprime BENITO DE CASTRO CID, Los

derechos humanos. Significación, estatuto jurídico y sistema, Sevilla, Pub. de la Universidad de Sevilla, 1979, p.

119 ss.

sapere che questa correlazione, che in non poche occasioni diventa sinonimo, ha generato sempre molta confusione sia nella legislazione che nella dottrina.

Senza dubbio, nell’accezione propria e corrente, la parola “cittadinanza” dovrebbe essere utilizzata per descrivere la condizione del “cittadino” in senso stretto, che potremmo identificare come quel soggetto o individuo al quale lo Stato riconosce la “capacità politica”, che consente la partecipazione ai differenti poteri dello Stato. Si è cittadini poiché si esercitano i diritti politici239. Ciò nonostante, la condizione di lealtà e di

protezione che deriva dall’essere “nazionali” di un dato territorio, quale vincolo giuridico e politico che unisce tutti gli individui che in esso vi risiedono, ha reso impercettibile la differenza tra Nazione e Stato240 e ha fatto sì che la nazionalità diventasse quella conditio juris necessaria all’esercizio dei diritti politici. Questi ultimi, sinora, essendo libertà

direttamente connessi con la vita dello Stato, sono diventati la parte più intima di uno

status che solo la nazionalità poteva garantire241.

239 Per alcuni, è necessario distinguere i due termini in questione poiché, da un lato, la nazionalità espressa, in generale, l’appartenenza ad una nazione e, dall’altro lato, la cittadinanza identifica la possibilità di poter prendere parte alle decisioni dello Stato. Cfr. VICENTE SANTAMARÍA DE PAREDES, Curso de Derecho Político, VIII ed., Madrid, Est. tip. de Ricardo Fé, 1909, p. 160-161. Un’altra osservazione discende dal fatto che “nazionalità” e “cittadinanza” presentano una marcata differenza, che risale dalle «vigorosa divisione tra diritti civili e diritti politici, tale che la nazionalità consente la titolarità e l’esercizio dei diritti civili ai sensi della Costituzione, la cittadinanza (invece) implica la concorrenza dell’elemento personale dello Stato (l’organizzazione politica) e comporta, quindi, l’apparizione di una differente classe di diritti, che vengono chiamati (appunto) diritti politici». Cfr. GONZALO DEL CASTILLO ALONSO, "Ciudadanía" In Enciclopedia Jurídica Española, Barcellona, Seix editor, 1910, 844 ss. Ecco perché, come taluni ribadiscono, potrebbe essere mantenuta la totale separazione tra questi due concetti e potrebbe addirittura parlarsi di “cittadini spagnoli” di nazionalità straniera. MANUEL CARRASCO, "Nacionalidad" In Enciclopedia Jurídica Española, op. cit., tomo 23, pag. 316. Sullo stesso tenore di queste affermazioni, nella dottrina italiana, si veda GIUSEPPE BISCOTTINI, "Cittadinanza (diritto vigente)" In Enciclopedia del Diritto, Milano, Giuffré editore, 1960, p. 140 ss.

240 Questa differenza tra Nazione e Stato si concretizzerebbe proprio nella qualificazione degli effetti derivanti dall’esercizio dei diritti politici, per cui «sarebbe meglio parlare di “cittadinanza” che di “nazionalità”, essendo che Stato e Nazione (in questo caso) non si identificano, né sono contingenti». Cfr. ANTONIO TORRES DEL MORAL, Principios del derecho constitucional español, Madrid, Servicio de Publicaciones de la Facultad de Derecho, 1992, p. 495.

241 Per una attenta analisi sulle ragioni politiche e giuridiche riguardanti l’esclusione dello straniero dalla titolarità dei diritti politici, si rinvia a MASSÓ GARROTE, Los derechos políticos de los extranjeros en el estado

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