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Il diritto di elettorato attivo e passivo per i cittadini europei alle elezioni locali rappresenta un notevole passo in avanti, soprattutto nel campo dell’integrazione tra gli Stati membri, poiché riafferma quel concetto che finora abbiamo espresso e che può essere riassunto con la relazione “cittadinanza e residenza”. Del resto, come recita lo stesso articolo 22 TFUE «ogni cittadino dell'Unione residente in uno Stato membro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità al Parlamento europeo». Si badi bene che, già nella disposizione citata, si esprime un esplicito riferimento alla residenza che, per ciò che prevede il trattato, non costituisce alcun intralcio con la cittadinanza originaria. In effetti, come già il trattato di Maastricht sanciva «la cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima»152. Si consideri, poi, che i due commi dell’art. 22 concludono il disposto con

la parole «alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato»153. Questa breve

scomposizione del dettame contenuto nei Trattati istitutivi154 ci aiuta a comprendere

151 Attuata in Italia con il d. lgs. n. 197 del 1996, con cui si prevede che i cittadini europei non appartenenti allo Stato italiano non possano essere eletti alle cariche di sindaco e vicesindaco (art. 1 comma 5).

152 Secondo l’ex articolo 17 TCE, oggi articolo 20 TFUE.

153 Sul tema, molto più approfondita è l’analisi di CLAUDIA MORVIDUCCI, I diritti politici dei cittadini

europei, Torino, Giappichelli, 2010, cap. III e IV.

154 Espressamente riconfermati anche dagli articoli 39 e 40 della Carta di Nizza che, si ricorda, con il Trattato di Lisbona acquisisce un carattere giuridico vincolante per 25 Stati membri, mentre il Regno Unito e la Polonia beneficiano di una deroga in ordine alla sua applicazione.

come questa concessione dei diritti politici allo “straniero europeo”, a nostro avviso inscindibili da quelli affrontati finora, risulta assolutamente orientata verso un rafforzamento di quello “spazio europeo di giustizia e libertà” di cui la Commissione europea ne è garante ma, allo stesso tempo, impedisce che si realizzi una vera e propria discriminazione del cittadino sulla base della nazionalità155 che, «incidendo sull’esercizio

delle libertà garantite dal Trattato, sarebbe in contrasto con il principio della non

discriminazione affermato dall’art. 12 TCE»156.

La disciplina che riguarda il diritto di elettorato attivo e passivo per i cittadini dell’Unione è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla sua primaria previsione nel Trattato sull’Unione europea del ’92 (ex articolo 8B). Le uniche modifiche di rilievo si riscontrano nelle procedure di adozione delle modalità per gli Stati membri e l’introduzione di alcune misure derogatorie. Nello specifico, la Direttiva n. 94/80 del 2004 concede la possibilità di esercizio per i soggetti titolari per le elezioni municipali (a prescindere dalla nazionalità), mentre la Direttiva 93/109 del 1993 prevede che tale diritto possa essere accordato anche per le elezioni al Parlamento europeo.

Consideriamo, per prima cosa, il diritto di voto alle elezioni per gli enti locali157.

Tale introduzione, seppur limitata, ha rappresentato il superamento formale e sostanziale di quella dicotomia di cui si è discusso nelle pagine precedenti, quella separazione tra stranieri e cittadini e che ha portato alla elaborazione di un tertium genus (il cittadino europeo, appunto) che può vantare diritti che non sono concessi ad un comune straniero ma che, allo stesso tempo, ottiene un trattamento simile a quello riservato ai nazionali di uno Stato membro. Si consideri, infatti, che tale “rivoluzione” ha comportato non poche difficoltà sia in fase di ratifica che di attuazione poiché queste tematiche invadono il

155 Per una visione più analitica del problema, si veda CHIARA FAVILLI, La non discriminazione

nell'Unione Europea, Firenze, Il Mulino, 2008, p. 229 ss.

156 Oggi corrispondente all’articolo 18 TFUE. Si cita CONDINANZI MASSIMO, ALESSANDRO LANG, BRUNO NASCIMBENE, Cittadinanza dell'Unione e libera circolazione delle persone, II ed., Milano, Giuffrè, 2006.

157 Per la definizione della nozione di “ente territoriale” interviene la citata Direttiva 80/94 all’articolo 2; in particolare, al comma 2 si precisa che «ciascuno Stato membro comunica alla Commissione se un ente locale di base di cui all'allegato della presente direttiva è sostituito, in virtù di una modifica della legislazione nazionale, da un altro ente avente le (stesse) competenze». Quest’aspetto non è da sottovalutare, specie se si considera l’enorme differenza in ambito di competenze tra i due Paesi che prenderemo in esame.

campo già consolidato di titolarità e concessioni che, nella quasi totalità dei casi, sono previste a livello costituzionale158.

Queste difficoltà si ripercuotono nella legislazione che istituisce il diritto di voto per i cittadini europei: in particolare, all’articolo 12 comma 1 della già citata Direttiva 94/80/CE si prevede la possibilità per lo Stato membro, qualora «la percentuale dei cittadini dell'Unione che in esso risiedano senza averne la cittadinanza ed abbiano raggiunto l'età per essere elettori superi il 20% del totale dei cittadini dell'Unione ivi residenti» la possibilità di considerare come conditio sine qua non un periodo di residenza minima nel territorio nazionale159. C’è da precisare, tuttavia, che la Direttiva 94/80 prevede

l’esclusione di un periodo minimo di residenza per la concessione del diritto di elettorato se essa non è prevista per i propri cittadini160. Ciò si rende necessario in ottemperanza del

principio di uguaglianza tra cittadini nazionali ed europei, previsto in modo esplicito dal Trattato istitutivo161.

158 Ci si riferisce anche al fatto che la cittadinanza, per certi versi, rappresenta l’ultimo baluardo di sovranità rimasta in capo agli Stati membri. Per questo motivo, alcuni ordinamenti come Francia e Germania hanno apportato specifiche modifiche costituzionali poiché non era ancora prevista la concessione dei diritti politici ai “non cittadini”.

159 Come si legge nella Relazione della commissione al parlamento europeo e al consiglio sulla concessione di una

deroga in applicazione dell'articolo 19, paragrafo 2 del trattato CE, del 27 gennaio 2003, «il Lussemburgo limita

il diritto di voto ai cittadini dell'Unione che non hanno la cittadinanza lussemburghese che abbiano risieduto sul proprio territorio per cinque degli ultimi sei anni prima dell'iscrizione», ai sensi dell’articolo 1, Legge del 25 febbraio 1979. Allo stesso modo, «il diritto di eleggibilità, il Lussemburgo lo subordina per i cittadini dell'Unione che non hanno la cittadinanza lussemburghese a due condizioni: tali cittadini dell'Unione devono avere domicilio legale sul territorio del Lussemburgo e devono aver risieduto in tale paese per dieci degli ultimi dodici anni precedenti alla presentazione della domanda», ai sensi dell’ articolo 98, Legge del 25 febbraio 1979. Al momento in cui si scrive, il Lussemburgo è l’unico Stato ad aver beneficiato di tale deroga. Cfr. online su eur-lex.europa.eu

160 In Italia, tale limitazione (durata minima di 5 anni di residenza) è valevole per tutti coloro che richiedono di essere iscritti alle liste elettorali della Provincia di Bolzano. Tale previsione, quale strumento di tutela delle minoranze linguistiche (art. 25 dello Statuto del Trentino Alto Adige) viene supportata dall’articolo 5 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 50 del 1 febbraio 1973. 161 Su tale aspetto, è interessante osservare come un cittadino europeo che non possegga i requisiti per il voto nel proprio Paese, poiché le condizioni di accesso al voto valevoli sono quelle dello Stato di residenza, potrebbe esercitare i suoi diritti politici in un altro Stato membro dell’Unione. Ciò rende quantomai necessaria una equiparazione dei meccanismi di concessione dei diritti di cittadinanza a livello europeo. Sul tema si veda CLAUDIA MORVIDUCCI, I diritti politici dei cittadini europei, op. cit., p. 228.

Ulteriori limitazioni, consentite dall’articolo 5 comma 3, riguardano le cariche per cui è concessa la candidatura. Si evidenzia, infatti, che «gli Stati membri possono disporre che l'eleggibilità alle funzioni di capo dell'organo esecutivo di un ente locale di base, di supplente o di membro dell'organo direttivo collegiale sia esclusivamente riservata ai propri cittadini, ove tali persone siano elette per esercitare le loro funzioni nel corso della durata del mandato». L’Italia, del resto, ha limitato l’elezione del “cittadino europeo” alla carica di consigliere comunale (con la possibilità di nomina in Giunta) con l’esclusione delle cariche di Sindaco e Vicesindaco162. In ultimo, si consideri che la Cittadinanza europea

consente, salvo previsioni future, di esercitare il doppio voto (nello Stato di origine e in quello di residenza), non essendo esclusa tale possibilità dalla direttiva163. Tale titolarità, al

contrario, non è consentita per le votazioni al Parlamento europeo. Tale “libertà”, che a nostro avviso non è stata esplicitamente voluta da quanto risulta dai lavori preparatori, non entra in contrasto con l’istituto in questione, essendo chiara la volontà degli Stati membri di rendere la cittadinanza dell’Unione quantomai aggiuntiva e accessoria a quella nazionale164.

Per ciò che concerne il diritto di voto e di eleggibilità al Parlamento europeo, esso acquista maggiore importanza, non solo per la possibilità che ogni cittadino europeo ha in sé di poter scegliere i propri rappresentanti a prescindere dal Paese in cui risieda ma, soprattutto, perché questo meccanismo di “denazionalizzazione” dell’elettore/candidato rende molto più concreta quella idea di rappresentanza democratica a cui aspira questa particolare istituzione europea165. Ecco perché il diritto di voto al Parlamento europeo

162 Misure introdotte in Italia dalla legge n. 52 del 6 febbraio 1996 e dal decreto di attuazione n. 197 del 12 aprile 1996. Entrambi i documenti recepiscono nell’ordinamento la Direttiva 94/80/CE. Per una ricostruzione completa del processo di attuazione del disposto comunitario, si veda URIKE HAIDER QUERCIA, I diritti politici dello straniero, Roma, Aracne Editrice, 2012, p. 26 ss.

163 Così come recita la Direttiva 94/80/CE: «considerando che l'articolo 8B, paragrafo 1 del trattato riconosce il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali dello Stato membro di residenza senza però sostituire tale diritto al diritto di voto e di eleggibilità nello Stato membro di origine».

164 Il risultato immediato di queste considerazioni viene evidenziato dalla Relazione 2010 sulla cittadinanza dell'Unione pubblicata dalla Commissione Europea, per cui il diritto di elettorato è esercitato solamente dal 10% degli aventi diritto. Nonostante la normativa dell’UE in materia sia stata recepita dalla maggior parte dei Paesi, alcuni cittadini non sembrano essere a conoscenza dei loro diritti e permangono dei problemi nelle procedure di voto, tutt’altro che semplici. Cfr. Eu citizenship report 2010, Dismantling the obstacles to EU citizens’ rights, Bruxelles, 27 ottobre 2010, COM (2010) 603.

165 Fino ad oggi, si è sempre discusso di un conclamato “deficit democratico” dell’Unione, rappresentato per alcuni dalla scarsa incidenza del Parlamento europeo nella governance dell’Unione.

risulta direttamente «collegabile all’affermazione del principio democratico come valore fondamentale del processo di integrazione europea»166. Gli elementi che differiscono dal

diritto di voto alle elezioni locali riguardano proprio quel particolare aspetto della “possibile” doppia titolarità. La Direttiva 93/109/CE, infatti, determina che «l'elettore comunitario esercita il diritto di voto nello Stato membro di residenza o nello Stato membro d'origine. Nessuno può votare più di una volta nel corso delle stesse elezioni». Allo stesso modo, il criterio dell’unicità del diritto esercitato vale anche per la candidatura a parlamentare, essendo chiaro nel testo del documento che «nessuno può presentarsi come candidato in più di uno Stato membro nel corso delle stesse elezioni»167.

Sia chiaro che, anche nel caso delle elezioni cd. Europee, la “volontà” costituisce l’elemento fondamentale per l’esercizio sia del voto che della candidatura. Erroneo sarebbe pensare che tale meccanismo sia automatico e diretto; per questo motivo, l’articolo 8 della Direttiva stabilisce che «l'elettore comunitario esercita il diritto di voto nello Stato membro di residenza qualora ne abbia espresso la volontà». Da qui, deriva l’onere che è in capo al soggetto capace di esercitare queste titolarità di comunicare e richiedere la relativa iscrizione nelle liste elettorali dello Stato di residenza. Si ha motivo di credere che questo sia uno delle motivazioni che giustificano la scarsa partecipazione dei cittadini dell’Unione non residenti nel proprio Stato di origine alle consultazioni per il Parlamento europeo. In questo, si ritiene che sia più opportuna l’adozione di una strategia comune per le consultazioni europee che possa far superare questa particolare débâcle168. Tuttavia, rigettando tale impostazione che si ritiene ormai obsoleta e superata, si ricorda che la nuova procedura legislativa ordinaria (Art. 294 TFUE) prevede un intervento attivo del Parlamento nel processo legislativo europeo, non limitandosi a fornire pareri, ma potendo modificare il testo sottoposto all'esame degli organi legislativi dalla Commissione. Sul punto, MASSIMO FRAGOLA,

Nozioni di diritto dell'Unione europea. L'ordinamento giuridico, il sistema istituzionale, la carta dei diritti., Napoli,

Giuffrè, 2012, p. 7 ss.

166 Cit. CONDINANZI MASSIMO, ALESSANDRO LANG, BRUNO NASCIMBENE, Cittadinanza

dell'Unione e libera circolazione delle persone, II ed., Milano, Giuffrè, 2006, p. 45

167 Si citano il primo ed il secondo comma dell’articolo 4, Direttiva 93/109/CE del 6 dicembre 1993. 168 Nello specifico, è ormai evidente che la mancanza di “comunicazione” su tali diritti sia superiore alle difficoltà di fruibilità degli stessi, già segnalate dalla Commissione nella Quinta relazione sulla cittadinanza dell’Unione, COM (2008) 85. In tal senso, è da considerare come un buon punto di partenza la proposta di legge ( iniziativa degli on. Melis, Turco, Touadi, Tullo) di modifica del d. lgs. 12

aprile 1996, n. 197 che mira a semplificare le procedure di concessione dei diritti politici ai cittadini

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