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L’estensione dei diritti politici: riflessioni sul suo impatto generale.

Sin qui ci siamo occupati di analizzare gli aspetti normativi che riguardano l’allargamento dei diritti politici allo straniero. Si ricordi che in quest’ultimo termine vengono ricompresi sia coloro che provengono da altri Paesi membri dell’Unione europea e, quindi, titolari di una “cittadinanza” ad hoc (che non sostituisce quella nazionale), sia coloro che sono originari di Stati extraeuropei. Si è discusso a lungo su come poter estendere il godimento di questi diritti, senza mai sondare la reale “opportunità” che queste titolarità potrebbero far scaturire nelle comunità statali in cui la popolazione straniera risiede stabilmente. Va detto, altresì, che ci troviamo dinanzi a due Paesi, l’Italia e la Spagna, che (per diversi motivi) hanno assistito negli ultimi decenni ad un incremento dei flussi migratori, per giunta provenienti da svariati territori e che

hanno contribuito a rinforzare il già naturale ruolo di “accoglienza” che questi due Stati rivestono, ormai in maniera quasi continua, dall’inizio degli anni ’90476.

Questo background, accomunato da un tessuto normativo sostanzialmente comparabile, rende i due Paesi assai simili, le cui differenze possono essere giustificate semplicemente per la natura e la provenienza geografica di determinate popolazioni migranti. A ciò, si aggiunga quanto già espresso in precedenza, vale a dire la differente tendenza nel prevedere meccanismi di tutela e di partecipazione del migrante.

Sulla base di queste osservazioni, ci sembra opportuno operare alcune considerazioni sull’impatto reale che l’estensione dei diritti politici ha (o potrebbe avere) nelle due differenti comunità politiche. Per fare ciò, cercheremo di mantenere sempre presente i distinti contesti sinora analizzate, cercando di individuarne le peculiarità (territorio, decentramento territoriale, natura dei flussi migratori) e sottolineare i tratti di maggiore interesse477.

La penisola iberica, negli ultimi dieci anni, è passata da una tendenza prettamente volta all’emigrazione verso i limitrofi Paesi europei ad un incremento netto dell’immigrazione estera, realizzatasi per motivi economici, umanitari e lavorativi. La popolazione straniera oggi rappresenta il 12% degli individui presenti sul territorio nazionale, contro il 2,2% che si registrava all’inizio del 2000. L’incremento annuale nell’ultima decade è stato del 23,8%, correlato da una crescita finale del 7% nell’ultimo periodo478. Le nazionalità

476 Per una breve analisi sulle evoluzioni dei flussi migratori in Italia si veda ENRICO PUGLIESE,

L’Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne, Bologna, Il Mulino, 2007. Dello stesso autore, il

breve saggio L’Italia paese di emigrazione e paese di immigrazione, Roma, Ed. Treccani, 2011, disponibile online su www.treccani.it. Per una visione analitica del contesto spagnolo, si faccia riferimento agli studi di MARÍA MIYAR BUSTO, LUIS GARRIDO MEDINA, La dinámica de los flujos migratorios de entrada en

España, Presupuesto y Gasto Público, n. 61, 2010, p. 11-23.

477 Prima di proseguire nell’analisi, è bene ricordare che i dati statistici che esporremo sono stati raggruppati e analizzati da chi scrive attraverso fonti statistiche nazionali. A questo proposito, può essere utile ricordare la distinzione che in questo campo c’è tra la popolazione “legalmente residente”, formata da tutti coloro che hanno titolo legale a risiedere nel paese e la popolazione residente, composta da quanti hanno il luogo di dimora abituale nel paese, che corrisponde al concetto statistico di “popolazione de jure”. Il concetto statistico, quindi, non tiene conto della condizione legale, ma si limita al requisito oggettivo della residenza o dimora abituale.

popolazioni di origine romena (16,72%), marocchina (16%), Ecuadoriana (8,06%), Colombiana (5,57%) e Inglese (4,75%)479. A fronte di queste percentuali,

nell’anno 2010, la maggior parte della popolazione straniera residente proveniva da Paesi africani e asiatici, come conseguenza di una immigrazione costante e duratura avvenuta in epoche precedenti a quella attuale. Ovviamente, si riscontra una certa disomogeneità nella scelta del luogo di residenza, sulla base di condizioni economiche, sviluppo industriale o presenza di comunità già stanziali nel territorio: attualmente, infatti, più del 55% della popolazione migrante è residente nei territori afferenti alla Comunità Autonoma di Madrid, alla Catalogna e alla Comunità Valenziana480.

Come è noto, il criterio della residenza è un requisito essenziale per l’esercizio del diritto di voto nelle elezioni locali, tanto per i cittadini dell’Unione che per gli individui provenienti da Paesi extraeuropei. A tal proposito, è bene osservare che, in base agli ultimi dati disponibili (anno 2010), i soggetti con nazionalità europea in possesso di un “certificado de registro o tarjeta de residencia” sono 2.307.770 (48,64%), a fronte di una maggiore presenza di soggetti (si presume, extraeuropei per la maggior parte) che hanno conseguito lo stesso documento attraverso il regime generale; questi ultimi si aggirano intorno ai 2.436.000 richiedenti, più del 51% del totale. Ciò significa che, al contrario di come si è portati a credere, la popolazione straniera che può esercitare il diritto di voto (almeno attenendoci al dato statistico) è molto più consistente del previsto, con una netta preponderanza di nazionali provenienti da territori esterni all’Unione europea481.

479 Fonte: Observatorio Permanente de la Inmigración.

480 Fonte: Observatorio Permanente de la Inmigración. Le cifre che verranno citate d’ora in poi si considerino estrapolate da questa stessa fonte.

481 Un aspetto altresì interessante è quello relativo alle “naturalizzazioni” (vale a dire, l’acquisto della cittadinanza a titolo derivato). Secondo gli ultimi dati, infatti, si nota come le concessioni della cittadinanza spagnola hanno subito un aumento molto significativo, ma l’evoluzione degli stranieri naturalizzati mostra chiaramente una crescente prevalenza di sudamericani (67.243), rispetto agli africani (per la maggior parte di origine marocchina) o agli altri cittadini provenienti da Paesi asiatici. Per una visione più dettagliata di questa situazione, si veda CLAUDIA FINOTELLI, MARIACATERINA LA BARBERA, "Rapporto Spagna", In Vecchio continente… Nuovi cittadini.

Da qui, è legittimo domandarsi quale sia l’impatto che questa parte della comunità politica esercita nell’ambito delle decisioni del Paese d’accoglienza. Questo interrogativo assume, per giunta, maggiore rilievo se si considera il fatto che le ultime consultazioni elettorali locali (maggio 2011) sono state anche le prime in cui tutti gli stranieri erano chiamati ad esprimere con il voto la loro preferenza politica. Gli elettori non nazionali con effettiva capacità di elettorato sono stati 1.468.663, nelle differenti comunità autonome di residenza, di cui 1.118.376 in qualità di cittadini dell’Unione europea e 350.287 appartenenti ai Paesi firmatari di accordi (già conclusi) che soddisfano il principio di reciprocità482.

Si potrebbe ritenere implicito pensare che la rilevanza del dato numerico sia esigua; tuttavia, non bisogna tralasciare il fatto che, proprio come le stesse ricerche statistiche confermano, la maggior parte di questa popolazione risiede in realtà locali di grande estensione (es. Madrid, Valencia) e, quindi, si trova a poter influenzare le decisioni di comunità strutturate e preminenti nel territorio nazionale. In più, c’è da aggiungere che, nel momento in cui tutti i trattati in fase di negoziazione verranno conclusi483, il corpo elettorale potrà subire interessanti variazioni. Un grande ruolo,

certamente, è ricoperto dai titolari di cittadinanza europea, i quali (nel futuro) potrebbero addirittura essere maggiormente determinanti, in seguito alle misure di favore dettate dalla libera circolazione. Certo è che alla possibilità concessa dallo status giuridico, dovrà sempre corrispondere quell’intenzionalità manifesta nell’esercizio del diritto di voto, cui la stessa normativa fa riferimento484.

Il caso italiano presenta problematiche evidenti dovute, in primo luogo, alla scarsa partecipazione politica dello straniero residente485 e, in secondo luogo, alla

482 Tra questi i notificati sono stati 322.000. Si ricorda che questi Paesi sono Equador, Perù, Bolivia, Colombia, Paraguay, Cile, Nuova Zelanda e Norvegia. I dati citati nel testo sono stati estrapolati dalle stime dell’Instituto Nacional de Estadística (INE).

483 Si pensi, tra tutti, al caso dell’Argentina che oggi vanta all’estero 50.553 soggetti abilitati al voto, di cui 6272 regolarmente residenti in Spagna. Fonte: Camara Nacional Electoral (CNE).

484 Un caso interessante, ad esempio, è quello della Comunidad Valenciana che vanta un totale di 508.672 stranieri con diritto di voto (europei e extraeuropei). Per una visione più dettagliata del fenomeno in generale si veda ALFONSO ORTEGA GIMÉNEZ, El derecho al voto de los ciudadanos extracomunitarios en

las próximas elecciones municipales españolas de 2011, Estudios de Progreso, Madrid, Fundación Alternativas,

2011.

485 Si ricorda che la nozione di “residenza legale” è indicate in Italia dal regolamento di esecuzione della legge n. 91/1992 (approvato con decreto n. 572 del 1993): “si considera legalmente residente nel

solo ai cittadini dell’Unione europea486. Secondo gli ultimi dati OIM, tuttavia, la

situazione italiana non è molto distante da quella che si prospetta nella penisola iberica, con una popolazione straniera residente formata da 4.570.317 individui, con un’incidenza del 7,5% sulla popolazione nazionale. A ciò si aggiunga che «l’aumento annuale, nonostante la crisi, è stato nel 2010 di 335.258 unità, dovuto principalmente ai nuovi iscritti in anagrafe provenienti dall’estero (+424.499)»487; ai residenti, inoltre,

vanno aggiunte circa 400.000 persone regolarmente presenti ma non ancora registrate in anagrafe488. In ogni caso, anche in Italia, seppur con intervalli differenti, le

concessioni di cittadinanza nel periodo 1998-2009 hanno raggiunto apici considerevoli, per un totale di 22.962 per motivi di residenza, circa 15.000 per motivi di matrimonio, per un totale di 40.084 nell’arco del periodo appena considerato489.

Questo è un dato molto interessante, specie se si considera l’incremento del flusso migratorio che appare costante negli ultimi anni, la poca ricettività delle politiche d’immigrazione attuate e l’incidenza del fattore d’integrazione territoriale.

Quest’ultimo punto merita di essere analizzato con maggiore cura: il potenziale

d’integrazione della Penisola490 (elaborato dal CNEL e dal Ministero delle Politiche

territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d’iscrizione anagrafica”. Per una visione critica, si rinvia al capitolo dedicato in PAOLO (A CURA DI) MOROZZO DELLA ROCCA, Immigrazione e Cittadinanza. Profili normativi e orientamenti giurisprudenziali, Torino, UTET, 2008.

486 Sul punto, è interessante osservare come la cittadinanza dell’Unione potrebbe addirittura diventare il nuovo elemento di discrimine tra “noi” e “gli altri”. Cfr. ALESSANDRA ALGOSTINO, La direttiva

"rimpatri": la fortezza Europa alza le mura, Minorigiustizia, n. 3, 2008.

487 Cfr. ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE PER LE MIGRAZIONI, "Le migrazioni in Italia. Scenario attuale e prospettive", Centro Studi e Ricerche Idos, Roma, 2011, p. 50.

488 Cfr. CARITAS ITALIANA, FONDAZIONE MIGRANTES, “Scheda di sintesi”, Dossier Statistico

Immigrazione Caritas-Migrantes, 21 ed., Roma, Edizioni Idos, 2011.

489 Fonte: Ministero degli Interni.

490 Trattasi di un indice elaborato dal CNEL che mira a raggiungere un risultato qualitativo che corrisponde allo status di integrazione effettiva raggiunta in un certo territorio e che può scaturire dai processi di integrazione e dal loro esito positivo. I fattori considerati riguardano la situazione occupazionale, le condizioni abitative, l’inserimento scolastico, l’accesso ai servizi fondamentali ed altri requisiti oggettivi in grado di determinare il "potenziale di integrazione" proprio di ciascun territorio.

sociali) è significativamente raccolto tra i due poli del versante adriatico, che va dal minimo di 27,6% (Foggia) a un massimo di 71,9% (Trieste), fermo restando che, sui dati del 2009, «nessuna provincia e regione italiana detiene un potenziale complessivo di integrazione (ovvero offre, agli immigrati, condizioni generali di inserimento socio- occupazionale)»; nonostante ciò, rispetto al 2008, «il numero di province in “fascia bassa” si è sensibilmente ridotto, passando da 16 nel 2008 ad appena 5 nel 2009: alcuni esempi possono essere Caltanissetta con 39,6; Potenza con 37,4; Crotone con 35,6; Salerno con 34,1»491. Questi numeri devono essere letti, in ogni caso, alla luce

delle recenti recessioni economiche e finanziarie, di cui sia l’Italia che la Spagna sono stati tra i principali soggetti.

Con questi presupposti, possiamo ora analizzare il dato reale relativo alla partecipazione dello straniero in Italia: i cittadini europei presenti sul territorio dello Stato alla data delle elezioni amministrative del 2011 rappresentavano il 2% del corpo elettorale, di cui solo lo 0,3% è stato ammesso ad esercitare il proprio diritto di voto alle consultazioni dei 1300 municipi coinvolti; tra questi, solo 37.000 stranieri (di cui circa 24.000 di nazionalità rumena) sono risultati regolarmente iscritti alle liste comunali aggiunte del municipio di residenza, la maggior parte attraverso la “procedura d’urgenza”492. Ciò che maggiormente colpisce riguarda la più alta

partecipazione in comuni di piccole dimensioni (dovuto anche alla candidatura di cittadini europei nelle liste comunali o alla maggiore coesione delle comunità); assai differente è il dato riscontrabile nelle grandi città come Torino (su 55.000 residenti comunitari, hanno chiesto di votare solo 3.400), Milano (3.700 cittadini su 26.000), Cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO, "VII Rapporto: Indici di integrazione degli immigrati in Italia." Roma, 2012, p. 10 ss.

491 Cfr. CONSIGLIO NAZIONALE DELL’ECONOMIA E DEL LAVORO, "VII Rapporto: Indici di integrazione degli immigrati in Italia", Roma, 2012, p. 13 ss.

492 A tal proposito, è interessante notare che, ai sensi del D.lgs. 197/1996, per esercitare il diritto di voto è necessario che il soggetto si iscriva a una speciale lista aggiunta, presentando una domanda al sindaco «entro il quinto giorno successivo a quello dell’affissione del manifesto di convocazione dei comizi elettorali». Fino alle elezioni amministrative del 2011, era ammessa anche l’iscrizione tardiva attraverso una speciale “procedura d’urgenza”. Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 01193/2012 del 1 marzo 2012, ha escluso questa possibilità sulla base di una «norma straordinaria di garanzia, l’art. 32 bis del D.P.R. n. 223/1967 che tutela, per motivazioni logiche, le posizioni di quanti hanno acquistato o riacquistato il diritto di voto successivamente ai termini ordinari e straordinari fissati dalla legge […] senza alcuna distinzione tra cittadini italiani e cittadini comunitari».

altro che confermare quanto detto in precedenza: gli indici medi (seppur apprezzabili) di integrazione dello straniero si riflettono anche nella effettiva partecipazione politica del soggetto nelle comunità di residenza. A ciò si aggiungano le legittime preoccupazioni degli organismi comunitari, vista la scarsa “fruibilità” dei diritti di cittadinanza che, alla luce del Trattato di Lisbona, hanno acquistato maggiore rilievo e importanza e che, ancora, risultano legati alla mera libera circolazione nello spazio europeo494.

In definitiva, quindi, l’analisi delle due realtà ordinamentali produce una serie di risultati assai interessanti: l’incidenza della popolazione straniera risulta molto più determinante nella penisola iberica che, a fronte di politiche attive di integrazione, non ha raggiunto ancora livelli di partecipazione considerevoli, seppur maggiori di quanto atteso, rispetto alla reale presenza di “non cittadini” nello Stato. Questo dato è probabilmente suffragato dall’insistente presenza di vincoli di reciprocità e da una normativa ancora in costante sviluppo. Allo stesso modo, il caso italiano presenta anch’esso una discreta influenza della comunità migrante nel territorio, analizzabile solo in parte poiché il diritto di voto non è garantito a tutte le nazionalità che risiedono stabilmente nel Paese. Da un lato, preoccupa la scarsa presenza di cittadini europei nelle liste elettorali locali a fronte di una considerevole percentuale di residenti regolari; dall’altro lato, sono sempre costanti i dati concernenti la partecipazione solo per alcune comunità (rumena e polacca, per la maggior parte). In ogni caso, è bene precisare che, qualora fosse perfettamente garantito il diritto politico nelle due comunità nazionali all’intera popolazione straniera, l’incidenza sarebbe certamente più concreta e determinante.

493 Fonte: Ministero degli interni. Si precisa che i dati relativi alle ultime consultazioni comunali del 2012 non sono stati presi in esame perché ancora incompleti e frammentari.

494 Dalle ultime ricerche sul tema, risulta che in 13 tra i principali comuni italiani (tra cui, Torino, Genova, Bologna e Firenze) risiedono circa 122.000 cittadini di Paesi dell’Ue e, senza considerare i minori, solo l’8% è iscritto alle liste elettorali aggiunte. Cfr. MONIA GIOVANNETTI, GIULIA PERIN, "I cittadini comunitari e la partecipazione al voto", Roma, Cittalia - Fondazione Ricerche Anci, 2012, p. 17 ss.

II. La partecipazione politica dello straniero nel panorama europeo.

L’introduzione, nel lontano 1992, della Cittadinanza dell’Unione europea fu considerata come un “tassello” ulteriore in quel processo di integrazione tra Stati caratterizzati da esperienze legislative e costituzionali peculiari. Fu, altresì, un modo per sperimentare una nuova figura giuridica, per nulla in contrasto con l’omologo istituto nazionale, ma che fornisse una serie di diritti ulteriori in capo ad ogni singolo individuo facente parte di uno Stato membro. Ciò, inevitabilmente, contribuì (e contribuisce ancora) all’elaborazione di un concetto differente di comunità: si può affermare con certezza che la cittadinanza europea ha fornito solide basi alla manifestazione chiara di una “popolazione europea”. Ovviamente, la cittadinanza non è sufficiente a consolidare altre fattispecie di rapporti (giuridici e sociali) di cui si lamenta la totale integrazione. Tuttavia, proprio la cittadinanza dell’Unione gioca oggi un ruolo fondamentale per il tema dei diritti politici e, in particolar modo, per l’integrazione (attraverso i diritti) dello straniero.

Queste premesse sono quantomai necessarie per comprendere il tema che tratteremo nelle pagine successive. Come è noto, infatti, la potestà nel decidere chi (e come) deve entrare nel territorio nazionale viene riservata solo agli Stati che, per giunta, tra loro sono “superiorem non recognoscens” e quindi liberi di preventivare una normativa differente in base alle esigenze del proprio ordinamento. Così, se da un lato lo straniero si trova dinanzi alla possibilità di usufruire di una vera e propria “cittadinanza di residenza” (quella europea, appunto), dall’altro lato deve scontrarsi inevitabilmente con una normativa assai varia e frammentata, sulla scorta delle molteplici tradizioni giuridiche e ordinamentali degli Stati europei. Questo comporta la quasi totale assenza di uniformità nella concessione dei diritti che sono ricollegabili al cittadino e, in particolar modo, la presenza di requisiti minimi che possono mutare in base al territorio che lo stesso straniero presceglie come residenza abituale. Quest’ultima (la residenza), appare oggi l’unica variabile comune che può essere d’ausilio per colui che si propone di analizzare gli ordinamenti del vecchio Continente, altrimenti difficili da accomunare in gruppi omogenei di comparazione. Allo stesso modo, sarebbe erroneo pensare che la cittadinanza dell’Unione europea sia il primo esempio di estensione dei diritti allo straniero. Come vedremo, infatti, alcuni ordinamenti di spiccata apertura nei confronti di una popolazione multietnica, avevano già sperimentato forme di allargamento dei diritti di partecipazione dello straniero, ancor prima della stessa Convenzione di

considera il popolo come un "insieme chiuso", anche se, in generale, gli Stati nazionali sono «relatively closed and self-perpetuating communities, reproducing their membership in a largely endogenous fashion»496; tuttavia, oggi è chiara l'idea che la

continuità del “popolo” non deve (e, in molti casi, non può) implicare una programmatica chiusura rispetto agli apporti esterni derivanti dall’immigrazione.

Anche per questo motivo, esistono modelli e forme di concessione dei diritti di cittadinanza che si differenziano anche per il grado di elezione cui gli stranieri vengono ammessi a partecipare (locali, regionali e politiche). Cercheremo di individuare i tratti fondamentali, raggruppando questi modelli sulla base delle loro principali previsioni normative. Nella comparazione, questa volta, non ci soffermeremo solo sul dato costituzionale ma considereremo l’estensione nel suo complesso, modulandola sulle esigenze perseguite sinora nel corso della ricerca. Il metodo comparativo, quindi, terrà conto dei requisiti richiesti, del grado di concessione del diritto di voto e del livello di tutela assicurato e prenderà in esame alcuni Paesi scelti a modello per il confronto.

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