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Il diritto di associazione e di partecipazione ai partiti politici.

Per ciò che concerne il diritto di associazione, va subito detto che esso si compone di due “anime”: da un lato, la libertà di associarsi liberamente e, dall’atro, il diritto di partecipazione e creazione di partiti politici. La prima parte, certamente, è facilmente identificabile, poiché contenuta (come già visto) in gran parte della normativa interna e internazionale. La stessa LOEX del 1985 riconosceva, all’art. 8.2 «il diritto di associazione agli stranieri» e stabiliva, al secondo comma, che «il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero degli Interni e sentito il Ministero degli Esteri» potesse promuovere «la sospensione delle attività di associazioni formate dagli stranieri, per un periodo non superiore a sei mesi» qualora dette attività contemplassero finalità contrarie al pubblico interesse, alla salute, all’incolumità e all’ordine dello Stato. La già citata sentenza STC 115/1987 intervenne nel censurare questa seconda parte dell’enunciato per evidente contrarietà con la Costituzione che, nello specifico, all’ art. 22.4, sancisce che «le associazioni possono essere sciolte o sospese per le sue attività in virtù di una risoluzione giudiziaria motivata».

In questo caso, la Ley Orgánica 1/2002 (che regola le associazioni) non affronta questa evidente situazione problematica, nei confronti della quale cerca di porre rimedio la LOEX 4/2000, primariamente modificata dalla vessata LO 8/2000. Anche questa

290 A voler utilizzare una interpretazione letterale dell’art. 21.1 CE, si ribadisce che il precetto utilizza il termine «si riconosce», allontanando dall’interprete qualsiasi confusione che possa portare ad un fraintendimento sulla titolarità, che è da considerarsi al di fuori dei criteri di nazionalità o statuto giuridico.

volta, i casi di incostituzionalità di questo provvedimento sono stati, sin da subito, evidenti: l’art. 8, infatti, disponeva che il diritto di associazione fosse condizionato «previa autorizzazione di residenza nello Stato»292. Oltre ai motivi concernenti le restrizioni per

motivi di nazionalità, la norma contemplava (ancora una volta) il prerequisito dello statuto legale di residenza che, come è noto, è da ritenersi in contrasto con la tutela giuridica della dignità umana. In effetti, il TC ha argomentato la necessaria modifica dell’articolo adducendo la motivazione per cui «il diritto di associazione è vincolato alla dignità umana e allo sviluppo della personalità, in quanto protegge il valore alla socializzazione, come dimensione essenziale della persona e in quanto elemento necessario per la comunicazione pubblica in una società democratica». Da qui, la negazione del diritto agli stranieri che si trovano in posizione di irregolarità, per i giudici supremi, costituisce un motivo evidente di incostituzionalità293.

Diversa risulta essere la tutela di partecipazione all’interno di formazioni politiche. L’art. 22 CE riconosce «a tutte le persone il diritto di associazione». In tal senso, possiamo considerare i partiti politici come un’associazione “speciale”, le cui funzioni basilari sono proclamate nello stesso testo costituzionale: «i partiti politici esprimono il pluralismo politico, concorrono alla formazione e alla manifestazione della volontà popolare e sono strumenti fondamentali per la partecipazione politica» (art. 6 CE). Il problema che, in questo caso, riguarda lo straniero può essere riassunto in poche parole: «se gli stranieri non votano, non vuol dire che non possano essere iscritti ai partiti politici294» e, quindi, sono autorizzati, ugualmente come per gli altri associati, a «votare il

presidente del Partito»295. Attualmente, la legislazione ci lascia intendere che gli stranieri

possono far parte di una formazione politica, in accordo con quanto disposto dalla LO 6/2002 sui partiti politici; quest’ultima dispone che «i membri di un partito politico devono essere persone fisiche, con la maggiore età e non possedere né restrizioni né limitazioni alla capacità di esercizio. Tutti avranno uguali diritti e doveri». Anche in questo caso, quindi, non compare in alcuna parte del disposto il criterio della nazionalità. Parte della dottrina continua a sostenere la netta incongruenza tra il mancato diritto di voto e

292 Il precetto fu dichiarato incostituzionale dalla sentenza STC 236/2007, FJ 7.

293 La nuova formulazione dell’art. 8, per come riformato dalla LO 2/2009, prevede più semplicemente che «gli stranieri» abbiano «diritto di associazione in condizioni uguali agli spagnoli».

294 Ad esempio, in Germania il Partito Liberal Democratico (in tedesco, Freie Demokratische Partei, FDP) ammette l’iscrizione degli stranieri nelle sue liste di associati.

l’affiliazione in partiti politici, essendo distinta la natura dei due diritti ed avendo quest’ultimo una finalità puramente partecipativa296.

Questione altrettanto differente riguarda la potestà in capo allo straniero di formare delle associazioni di stampo politico. Prima della riforma della Ley de Extranjería (dapprima con la LO (8/2000, successivamente corretta in più punti dalla LO 2/2009) il diritto di associazione per gli stranieri si rimetteva alla legislazione nazionale in materia, prevista per i cittadini spagnoli. In tal senso, la Ley 54/1978, all’art. 1, era molto chiara nel riconoscere tale libertà solo ai nazionali, suffragata da quanto successivamente disposto nella LO 6/2002. Gran parte della dottrina ha avuto modo di affermare che, dopo la riforma del ’92 e il progressivo riconoscimento del diritto di elettorato passivo, fosse alquanto incongruente con la Costituzione non riconoscere la libertà di creare partiti politici297. A dirimere questa problematica è intervenuto il Tribunal constitucional con la

sentenza STC 48/2003 (FJ 18) dichiarando che «in effetti, i partiti politici costituiscono uno strumento privilegiato di partecipazione politica, attività il cui esercizio si costituisce in un diritto che, garantito nell’art. 23 CE, ha come titolari solo gli spagnoli (art. 13.2 CE)»298. La cosa più curiosa riguarda il fatto che questa posizione dell’Alto Tribunale

trovi pieno riscontro nel silenzio delle norme internazionali a riguardo. L’art. 22.1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, ad esempio, non fornisce alcun disposto rispetto ai partiti politici, così come l’art. 11 CEDU che, nel disciplinare la libertà di riunione e associazione, stabilisce solo il diritto di fondare organizzazioni sindacali299.

296 In tal senso, JUAN RODRÍGUEZ-DRINCOURT ÁLVAREZ, Los Derechos Políticos de Los

Extranjeros, Universidad de Las Palmas, Madrid, Civitas, 1997, p. 258. Sempre su questo tema, si

tengano presenti i rilievi che sono stati fatti per il diritto di associazione, così come regolato dall’art. 8 della LOEX 4/2000.

297 Così sempre JUAN RODRÍGUEZ-DRINCOURT, op. cit., p. 257. Vi è anche la posizione di taluna dottrina che, pur ammettendo il diritto di creare partiti politici, considerava come contrario alla Costituzione la formazione di associazioni che avessero come fine l’inclusione di soli stranieri. Così RAÚL MORODO, PABLO LUCAS MURILLO DE LA CUEVA, El ordenamiento constitucional de los

Partidos politicos, Mexico D.F., Universidad Nacional Autónoma de México, 2001, p. 86.

298 Nella stessa pronuncia, tuttavia, il TC dichiara come accettabile la libertà per gli stranieri di partecipare alle formazioni politiche dello Stato.

299 Ciò nonostante, ci sono autori che, basandosi sul diritto generale di associazione, così come riconosciuto agli stranieri, ipotizzano la titolarità per questi ultimi di formare partiti politici. In tal senso, LAURA DÍEZ BUESO, La incorporación de la participación política de los inmigrantes al ordenamiento jurídico

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