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I diritti politici tra partecipazione, universalità e discrezionalità legislativa

Quando si parla di diritti politici, ci si scontra inevitabilmente con un certo livello di ambiguità. Non vi è accordo su una definizione univoca della struttura del diritto politico, tantomeno sulla funzione delle singole posizioni tutelate. Tali diritti, più di altre categorie, sono strettamente legati all’evoluzione storica del sistema democratico-rappresentativo, che ne ha, di volta in volta, segnato le tappe. La dottrina classica che, finora, ha tentato di creare una fisionomia che identificasse in tutti i loro aspetti le libertà politiche, descriveva quest’ultime come «diritto ad una funzione pubblica»63.

Questa formula, propria delle teorie sui diritti pubblici soggettivi, alla luce di quanto affermato in precedenza, è necessaria per porre le basi di un ragionamento preliminare: i diritti politici possono essere considerati come diritti esclusivi del

62 Il termine veniva usato nel XVII sec. in Gran Bretagna, laddove era “denizen” lo straniero ammesso alla cittadinanza per concessione della Corona; Sul concetto si veda ZIG LAYTON HENRY,

Citizenship or denizenship for migrant workers?, The political rights of migrant workers in Western Europe,

London, Sage Publications, 1990, p. 188.

63 Particolare contributo è stato dato da Santi Romano, il quale ha dato più chiarezza alla teoria di Jellinek, con particolare riferimento ai suoi status, da lui chiamati “diritti funzionali” e “diritti di prestazione”. Si veda SANTI ROMANO, La teoria dei diritti pubblici soggettivi, in V. E. Orlando (a cura di), Primo trattato di diritto amministrativo italiano, Milano, SEI, 1900, p. 191

cittadino o, attraverso una visione più estensiva, come diritti imputabili anche allo straniero? Seguendo la logica dell’appartenenza, così come richiamata nel paragrafo precedente, vorremmo spingerci nell’ipotizzare che i diritti politici possono considerarsi come diritti di partecipazione, con la specifica prerogativa di assicurare a qualsiasi persona la possibilità di partecipare alla vita politica ed esercitare una certa rappresentanza nella comunità in cui vive, sulla base di quel paradigma democratico che prevede «l’identità tra governanti e governati»64. È questa la prospettiva che

originariamente ha regolato la concessione della cittadinanza: il diritto politico, infatti, si riduceva (e si riduce ancora in molti casi) al diritto del cittadino, strumento per identificare la popolazione di una precisa comunità politica. Oggi, tuttavia, alla luce dei crescenti flussi migratori, considerando la trasformazione in senso egualitario ed includente degli ordinamenti e il superamento delle barriere relative al sesso, all’istruzione e ad altri aspetti che sono connaturati alla persona, è logico affermare che con l’istituto della cittadinanza si riesca ad incorporare all’interno della popolazione tutti coloro che fanno parte di una determinata comunità65? Probabilmente, ci troviamo dinanzi ad un istituto che si adatta in maniera lenta a quelle che sono le richieste di una società multiculturale e rinnovata dalla presenza di soggetti sempre più meritevoli di tutela, tanto che potremmo supporre che la cittadinanza contribuisca a creare una nuova classe di “cittadini potenziali”, esclusi dalla legislazione dello stesso Stato66. Il rispetto che richiede il diritto in quanto

“umano” imporrebbe, in realtà, una riqualificazione del diritto politico, sostituendo il criterio della cittadinanza a quello della residenza stabile. Per fare ciò, è necessario rivedere i profili legislativi che hanno regolato sinora la titolarità di questi diritti. Nelle

64 Espressione che si intende nell’accezzione utilizata da CARL SCHMITT, Dottrina della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1984, p. 307. Meglio evidenziabile in COSTANTINO MORTATI, Articolo 1, in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Principi fondamentali, Bologna/Roma, 1975, p. 5 65 Sul punto, LUIGI FERRAJOLI, Principia Juris, op. cit., p. 171, secondo cui «fino ai tempi recenti, i cittadini s’identificavano con i residenti nel territorio governato dai loro rappresentanti. La cittadinanza costitutiva perciò, senza problemi, la base della democrazia politica, quale espressione dei diritti politci di tutti all’autogoverno. […] Ma questo nesso tra cittadinanza e diritti politici viene meno nel momento in cui, a seguito di emigrazione e immigrazioni, la cittadinanza si dissocia dalla residenza …» Per considerazioni più generali, cfr. ALESSANDRA ALGOSTINO, L'ambigua universalità dei diritti. Diritti

occidentali o Diritti della Persona umana?, Napoli, Jovene, 2005, p. 409 ss.

66 In materia, le utlime riflessioni di VALERIO ONIDA, "Relazione introduttiva" In Convegno

 

pagine successive affronteremo con attenzione il quadro internazionale ed europeo, soffermandoci ora su un breve accenno relativo alle libertà politiche in ambito costituzionale e sulle teorie che ne hanno regolato l’evoluzione.

Riscontrare la titolarità diretta dei diritti politici per gli stranieri, seppur stabilmente residenti nel territorio dello Stato, è alquanto difficile e complicato. Potremmo citare, in ordine alle garanzie previste e solo a scopo esemplificativo, la Costituzione irlandese67 del 1937, che riconosceva il diritto di voto in maniera ampia e

strutturata, o quella ungherese68 del 1949, che sanciva la possibilità di esercitare il voto

per gli stranieri, anche se solo a livello locale. Tali interventi, tuttavia, sono stati spesso legati alla necessità di adattare l’ordinamento interno a quello comunitario (oggi europeo), spirito che ha governato la modifica di molti testi costituzionali, accentuando il bisogno per il legislatore di regolare la materia in maniera dettagliata ed esaustiva.

In questi casi, le libertà politiche si riconoscevano solo ad alcune tipologie di «stranieri», ponendo la condizione giuridica di questi ultimi su diversi piani di azione. Infatti, come si vedrà più avanti, molte estensioni del concetto di cittadinanza sono state generate dalle continue pressioni dettate dal rapporto tra Stati, considerando il principio di reciprocità o il passato coloniale come fattore determinante e prescindendo, quindi, dalla questione dei diritti della persona. Esempio di questa tendenza è proprio la Spagna, paese che prenderemo in esame per la nostra indagine comparativa, che contempla all’articolo 23 della Costituzione del 1978 che i «cittadini» posseggano il «diritto a partecipare agli affari pubblici direttamente o tramite l’elezione di rappresentanti» e il «diritto di accedere su basi di uguaglianza alle cariche pubbliche»; solo nel 1992, con un procedimento di revisione costituzionale, fu

67 In particolare, l’articolo 16 c. 1,2, nel delineare i soggetti ai quali spetta il diritto di elettorato attivo per la Camera dei Rappresentanti, si riferisce a «tutti i cittadini» e «le altre persone dello Stato determinate dalla legge, sensa distinzione di sesso, che abbiano raggiunto i 18 anni e non siano considerate incapaci a termini di legge, avendo i requisiti previsti per l’elezione alla Camera dei Rappresentanti».

68 Il diritto di voto viene attribuito in modo esplicito a tutte le persone adulte titolari dello status di rifugiato, immigrato o residente permanente nella Repubblica di Ungheria. Essi «hanno il diritto di voto negli scrutini locali per l’elezione dei rappresentanti e dei sindaci, a condizione che siano nel territorio della Repubblica il giorno delle elezioni o del referendum e hanno […] il diritto di partecipare a referendum locali o iniziative popolari». Si veda l’articolo 70 c. 3 in Constitution of Repubblic of Hungary

introdotta la possibilità di stabilire diversamente la titolarità, «attenendosi a criteri di reciprocità, con un trattato o una legge in ordine al diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni comunali»69. Questa modifica, operata per ottemperare gli

obblighi comunitari, ha dato copertura ad una legge che ha esteso il diritto di voto anche agli stranieri extracomunitari70 prescindendo, tuttavia, dal modificare la

titolarità originaria, essendo «solamente gli spagnoli […] titolari dei diritti previsti all’articolo 23»71. Un ulteriore esempio, basilare per comprendere a pieno la

prospettiva comparata, riguarda il caso del Belgio: l’articolo 8, riformato nel 1998, ha comportato una certa discrezionalità per il legislatore nel prevedere l’estensione del diritto di voto anche agli stranieri72; le nuove disposizioni introdotte, successivamente,

dalla legge del 19 marzo 2004, hanno permesso a tali soggetti di esercitare il diritto di elettorato attivo alle elezioni comunali, a condizione che essi risiedano in Belgio da almeno cinque anni e previa sottoscrizione di una dichiarazione con la quale si impegnino a rispettare la Costituzione, le leggi del Belgio e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. C’è da notare che i candidati elettori, a fronte di una regolare iscrizione alle liste elettorali, se non provengono da Stati europei, sono esclusi

69 Articolo 13, c. 2 della Costituzione spagnola, come emendato il 27 agosto 1992.

70 Si cita la Ley Orgánica 2/2009, de 11 de diciembre, de reforma de la Ley Orgánica 4/2000, de 11 de enero, sobre

derechos y libertades de los extranjeros en España y su integración social, art. 6, c. 1: «Gli stranieri residenti in

Spagna potranno avere diritto di voto alle elezioni comunali nei termini stabiliti dalla Costituzione, dai trattati internazionali e, se sia il caso, dalla legge». Ad integrazione del testo della Ley Orgánica 4/2000 si prevede al c. 4: «i poteri pubblici devono facilitare l'esercizio dei diritti di voto degli stranieri nei processi elettorali democratici del paese di origine». Rispetto a questo ultimo punto, si osserva come si faccia riferimento ai diritti politici in maniera duplice, tenendo sempre presente lo Stato di cui si è cittadini. Cfr. ALESSANDRA ALGOSTINO, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto, in Silvio Gambino e Guerino D'Ignazio (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali. Fra Costituzioni nazionali, Unione Europea e Diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 2010, p. 439

71 A questo proposito, si noti come la norma non incide sul testo dell’articolo 23 (diritti di partecipazione politica) ma sull’articolo 13, che si riferisce alla condizione giuridica degli stranieri. Questa modifica, quindi, ha salvaguardato il doppio trattamento da riservare a stranieri di tipo «comunitario» e soggetti «extraeuropei».

72 L’articolo 8, c. 4, della Costituzione del Belgio, prevede che «Il diritto di voto […] può con legge essere esteso ai residenti in Belgio non appartenenti ad uno Stato membro dell’Unione europea, alle condizioni e secondo le modalità determinate dalla predetta legge».

 

dall’elettorato passivo73. Questi pochi esempi, situati nella prospettiva che prevede

l’intervento legislativo o costituzionale per regolare questi diritti, ci appare come una “scelta minima” e, in alcuni casi, imposta per ammodernare l’ordinamento statale ai dettami provenienti dall’ambito internazionale ma che, come avremo modo di dimostrare nell’indagine, funge da elemento erosivo dell’antico legame che intercorre tra cittadinanza e diritti politici74. Ad ogni modo, con ciò s’intende far comprendere

come, seppur in maniera lenta, il diritto comparato mostra l’avvio di un percorso che sembra valorizzare il criterio della residenza, pur mantenendo una sorta di “doppio binario” nei confronti dei migranti, da cui deriverebbe l’utilizzo della legge ordinaria o della limitazione alle consultazioni elettorali a livello locale, in un’ottica di graduale ma non esaustiva regolamentazione del fenomeno.

In altre costituzioni occidentali (come nel caso italiano) siamo, al contrario, in presenza di una «doppia incongruenza». Si pensi al caso dei cittadini risiedenti all’estero e alla condizione giuridica generale riservata da questi testi allo straniero: da un lato, vi sono individui che, pur essendo formalmente “stranieri”, fanno parte della "comunità politica", con doveri di solidarietà, giustizia e lealtà che l’ordinamento giuridico richiede loro alla pari degli altri75. Costoro, non essendo in possesso della

73 Sul tema, CARLO LUCIONI, Belgio. La concessione del diritto di voto agli immigrati extracomunitari nelle

elezioni comunali, Diritto Pubblico comparato ed europeo, n. II, 2004, p. 832 e ss.

74 Per maggiore completezza, si invita a considerare il fatto che molti altri Paesi si sono mossi nel tentativo di regolare la materia, prevedendo l’estensione del diritto politico con legge e solo per le elezioni locali: l’Irlanda, dal 1963, concede agli stranieri residenti da almeno 6 mesi il diritto di voto a livello locale; In Svezia, dal 1975, è riconosciuto il diritto di elettorato attivo e passivo a tutti gli stranieri residenti da almeno tre anni per le elezioni delle Assemblee territoriali; una misura analoga, sulla base dei tre anni di residenza, è stata introdotta nel 1981 anche in Danimarca (con la sola eccezione degli stranieri provenienti dall’Islanda e dalla Norvegia); infine, ad oggi, anche la Norvegia richiede, ai soggetti non provenienti dalle aree nordiche, una stanzialità comprovata triennale.

75 Nella dottrina italiana, c’è chi richiama il principio di corrispondenza tra diritti e doveri, così come deducibili dall’art. 2 Cost. laddove si riconoscono i diritti inviolabili dell’uomo e si richiede il dovere di solidarietà economica, politica e sociale. Per ciò che riguarda la condizione giuridica dello straniero, un esempio abbastanza eloquente riguarda il “dovere” costituzionale di contribuire alle spese pubbliche (art. 53 Cost.). In tal senso, “tutti” (anche gli stranieri) ne sono i titolari secondo la Costituzione. Parte della dottrina, tuttavia, insiste nel configurare la portata di tale dovere in capo allo straniero in ragione della differenza tra profilo economico e profilo politico della solidarietà nazionale. Sulle questioni riguardanti il cd. principio del “no taxation without representation” si veda ALESSANDRA ALGOSTINO,

cittadinanza in senso giuridico-formale, sono esclusi dall’esercizio del voto e degli altri diritti di partecipazione costituzionalmente garantiti; dall’altro lato, i "connazionali" residenti all'estero, pur non facendo parte della comunità politica di nascita, non adempiono (giustamente) ai doveri di solidarietà, tuttavia mantengono con la madrepatria uno speciale collegamento giuridico, rappresentato dalla cittadinanza in senso formale, ma possono essere qualificati (potenzialmente) come elettori e titolari di altri diritti di partecipazione negli Stati in cui risiedono in forma stabile76.

Questo comportamento sembrerebbe, in realtà, giustificato dai diversi orientamenti adottati dalla dottrina giuridica sull’estensione della titolarità del diritto di voto. Secondo alcuni, estendere i diritti politici ai “non cittadini” sarebbe come revocare o mettere in dubbio lo stesso concetto di cittadinanza: tra questi, la voce più autorevole è quella di Carl Schmitt, il quale rimane fermamente convinto che questa concessione è impraticabile poiché «cesserebbe l’unità e la comunità politica», facendo così crollare «il presupposto essenziale dell’esistenza politica e la possibilità di distinzione tra amico e nemico»77. Questa posizione è stata reinterpretata anche dalla

giurisprudenza italiana, che ne ha dedotto un legame “naturale” tra il diritto politico e lo status di cittadino, da cui deriverebbe un divieto assoluto di un’eventuale estensione dei diritti politici78. Sempre in Italia, vi è anche una posizione meno rigida per cui lo

straniero sarebbe escluso solo rebus sic stantibus le norme costituzionali: tra questi, vale la pena di ricordare Giustino D’Orazio che, pur riconoscendo l’esclusione dello straniero da queste titolarità, intravede una possibile superabilità del dato testuale

GARROTE, Los derechos políticos de los extranjeros en el estado nacional, San Agustín de Guadalix (Madrid), COLEX, 1997, p. 102-103.

76 Sul tema ENRICO GROSSO, "Cittadinanza giuridica e partecipazione politica." In IX Convegno

internazionale della S.I.S.E., "La cittadinanza elettorale", Soc. It. Studi elettorali, Firenze, 2006, p. 8 e ss.

77 CARL SCHMITT, Dottrina della Costituzione, op. cit., p. 27

78 Questo filone di interpretazione è stato intrapreso da COSTANTINO MORTATI, Istituzioni Di

Diritto Pubblico, op. cit., p. 1154, con motivazioni di carattere sostanziale, che impediscono di equiparare

lo straniero al cittadino nazionale. Le teorie di Mortati sono maggiormente sviluppate attraverso gli scritti di PAOLO BISCARETTI DI RUFFIA, Cittadinanza italiana, partiti politici e loro cariche dirigenti, Diritto e società, 1979, p. 706-707 e 712-713. Sulle stesse posizioni anche MANLIO MAZZIOTTI DI CELSO, Sulla soggettività e tutela dello straniero nell'orddinamento italiano, Studi in onore di G. Serino, Milano, 1966, p. 316 ss.

 

attraverso un meccanismo di revisione costituzionale e identificando come

assolutamente inidonea la legge ordinaria79.

Differente appare la posizione di coloro i quali intravedono, come forma di regolazione, una certa discrezionalità operata dal legislatore: le norme dovrebbero limitarsi a concedere ai cittadini i diritti di cui sono titolari, senza escludere la possibilità che altri soggetti ne possano usufruire; lo straniero, in questo caso, potrà godere dei diritti previsti dalla legge, nella misura in cui lo stesso legislatore decida di garantire. In tal caso, la portata di questi diritti potrebbe essere anche la stessa di quella prevista per i cittadini, ma avrà una

natura totalmente diversa, poiché costituirà una semplice “facoltà” e non una posizione

giuridica soggettiva prevista dalla Carta costituzionale. Partendo dalle teorie di Hans Kelsen80, molti sono coloro che credono nella prospettiva della gradualità81, attraverso la lettura del dato costituzionale che tenga in debito conto la mutata composizione sociale82.

79 Cfr. GIUSTINO D'ORAZIO, Lo straniero nella Costituzione italiana (asilo, condizione giuridica, estradizione), Padova, CEDAM, 1992, p. 268 e ss. e p. 307. Estensione di questa teoria è quella elaborata da FULCO LANCHESTER, "Voto (diritto di): a) Diritto Pubblico." In Enciclopedia del Diritto, Milano, 1993, pp. 1123 e ss. nella quale si afferma che «il diritto di voto può essere riconosciuto agli stranieri, in ogni caso solo per le elezioni amministrative degli enti locali, ovvero per quegli organi che non esercitano potestà legislativa, previo il necessario intervento di una legge costituzionale, verificandosi altrimenti un «pericoloso strappo alla Costituzione». Così, recentemente, anche TOMMASO F. GIUPPONI, Gli

stranieri extracomunitari e la vita pubblica locale: c'è partecipazione e partecipazione, Le Regioni, I, 2006, afferma

che «l’eventuale estensione del diritto di voto agli stranieri […] deve trovare nella riforma costituzionale il suo fondamento (diversamente solo per le elezioni circoscrizionali, in quanto organi di decentramento e consultivi).

80 Il filosofo non nega il legame tra diritti politici e cittadinanza, bensì non crede nell’esclusività di questo legame: «in una democrazia radicale» nulla vieta che «in particolari circostanze» tali diritti possano essere accordati «anche agli stranieri che abbiano la loro residenza nel territorio dello Stato» Cfr. HANS KELSEN, General Theory of Law and State, op. cit., p 241 ss.

81 Secondo CESARE PINELLI, Società multiculturale e Stato costituzionale, “I diritti fondamentali nella società multiculturale: verso un nuovo modo di intendere la Costituzione?”, Cassino, 27-28 novembre 2009, «si è dimostrato in modo convincente come un riconoscimento del diritto di elettorato attivo e passivo agli stranieri residenti nel Paese da un ragionevole periodo di tempo, e a prescindere dall’acquisizione della cittadinanza, non solo non è incompatibile con le premesse delle democrazie pluralistiche, ma corrisponde alle istanze di inclusività di cui si alimentano».

82 A riguardo, MARCO CUNIBERTI, La Cittadinanza: libertà dell'uomo e libertà del cittadino nella costituzione italiana, Diritto e istituzioni, Padova, CEDAM, 1997, pp. 429 e ss.; Anche, CECILIA CORSI, Lo Stato e lo Straniero, Padova, CEDAM, 2001, p. 299 e ss. e PAOLO BONETTI, "Ammissione all'elettorato e acquisto della cittadinanza : due vie dell'integrazione politica degli stranieri profili costituzionali e prospettive legislative." In

È, in definitiva, un’analisi di quello “Stato costituzionale”83 che vede nella Carta

fondamentale non solo un testo giuridico, ma anche «una condizione di sviluppo culturale di un popolo», che «serve da strumento all’autorappresentazione culturale, da specchio del suo patrimonio culturale e da fondamento delle sue speranze»84. Così, Massimo Luciani

ritiene che sia possibile superare il dato testuale della Costituzione e, in secondo luogo, pur riconoscendo una riserva esistente tra diritti politici e cittadini, non esclude una estensione agli stranieri, bensì ipotizza una restrizione parziale: gli stranieri, per lo studioso, non possono godere «dei diritti politici come diritti fondamentali (inviolabili)»85. Recentemente,

Enrico Grosso ha ripreso queste posizioni e, a nostro avviso, ha dato concretezza alle intuizioni precedenti, cercando di individuare un meccanismo ben dettagliato, verso il quale esprimiamo un grande apprezzamento: come egli stesso afferma, questa ci sembra la «soluzione più equilibrata» al problema, vale a dire la previsione di un riconoscimento dei diritti politici «come diritti fondamentali per i soli cittadini», escludendo «la copertura costituzionale dell’estensione di tali diritti ai non-cittadini», ma ritenendo non vietato dalla Costituzione «il riconoscimento agli stranieri, o ad alcune categorie di essi, dei diritti politici sotto l’aspetto di meri diritti legislativi, la cui opportunità – considerato sempre il controllo di ragionevolezza da parte della Corte costituzionale – resta soggetta alla valutazione discrezionale del Parlamento»86. Così come si tenterà di dimostrare con l’indagine, quindi,

riconosciamo che la titolarità di un diritto è della persona umana ma che essa rimane

www.federalismi.it, n. 11, 2003. Una posizione molto originale, a partire dall’articolo 10 cost. c. 2, anche in

ALESSANDRO PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, 3 ed., Padova, CEDAM, 2003, p. 144 ss.

83 Locuzione che entrata nel lessico dei costituzionalisti italiani grazie all’opera di Peter Haberle. Cfr. GUSTAVO ZAGREBELSKY, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Torino, Einaudi, 2009, p. 118.

84 PETER HABERLE, Per una dottrina della costituzione come scienza della cultura, Roma, Carocci, 2001, p. 33. 85 MASSIMO LUCIANI, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti fondamentali. L’esperienza italiana, Rivista critica di

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