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Per quanto riguarda gli atti internazionali in ambito europeo, è facile riscontare in quasi tutti i documenti una maggiore specificità nel tema alla quale, però, non corrisponde sempre un’adeguata previsione di tutela dei diritti. I due principali “cataloghi” sui diritti umani, vale a dire la Convenzione europea de Diritti umani e delle Libertà fondamentali del 1950 e la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, si riferiscono ai diritti politici in maniera trasversale e, per certi versi, si limitano solo ad alcune specifiche titolarità. In particolare, la Convenzione europea sui diritti dell’uomo affronta tali libertà nel Protocollo addizionale del 1952, qualificandole come «diritto a libere elezioni», previsto per «assicurare la libera espressione dell’opinione del Popolo»98. Per quanto riguarda, invece, il

testo originario della Convenzione, l’art. 10 (Libertà di espressione), l’art. 11 (Libertà di riunione e di associazione) e l’art. 14 (Divieto di discriminazione) sono garantiti ma rinviati alla discrezionalità delle «Alte Parti contraenti» che possono «imporre restrizioni all’attività politica degli stranieri» (art. 16).

Prima di proseguire, occorre precisare che in quasi tutti questi testi normativi analizzati compare la parola “Popolo” che l’interpretazione storica prevalente suole ricondurre all’ «insieme dei cittadini»99 e che in questa sede, come già trattato nelle pagine

precedenti, sarà sempre intesa con una «interpretazione estensiva, in relazione ad un demos

97 ALESSANDRA ALGOSTINO, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto, in Silvio Gambino e Guerino D'Ignazio (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali. Fra Costituzioni nazionali, Unione Europea e Diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 2010, p. 432.

98 Così citato l’art. 3 del IV Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952.

99 In particolare, «quando le Costituzioni parlano di “popolo sovrano”, fanno riferimento ad una concezione sostanziale di popolo, corrispondente alla comunità politica, cioè alla somma concreta dei

citoyens, alla quale viene poi meccanicamente sovrapposta quella in senso formale, i nationaux». Cfr.

ENRICO GROSSO, La titolarità del diritto di voto. Partecipazione e appartenenza alla comunità politica nel diritto

trasformato dalle migrazioni»100. Grazie a questa prospettiva, infatti, è possibile rivedere

l’art. 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione (di pari tenore, a nostro avviso, rispetto al già citato art. 25 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici e dello stesso art. 21 della Dichiarazione universale) come se fosse un chiaro e preciso “livello essenziale di prestazione”, per cui si può affermare che in uno Stato membro del Consiglio d’Europa è assicurato un diritto di partecipazione politica, non soltanto per la convocazione a intervalli regolari di elezioni libere a suffragio universale ma, soprattutto, per le condizioni nelle quali queste elezioni si svolgono, assicurando effettivamente la libera espressione dell’opinione del corpo elettorale (inteso, da parte di chi scrive, anche nella sua forma sostanziale). Uno Stato membro, quindi, che per ipotesi non garantisse tale livello minimo, «ai sensi della Convenzione europea potrebbe essere condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in quanto non assicurerebbe una garanzia sufficiente dei diritti politici»101.

Per quanto concerne la Carta di Nizza che, come è noto, ha già acquisito una certa “vincolati” poiché possiede la stessa natura dei Trattati istitutivi dell’Unione europea, i diritti politici sono intesi come diritto di voto ed eleggibilità al Parlamento europeo e alle elezioni comunali dello Stato di residenza; detta la titolarità ricade su «ogni cittadino dell’Unione»102 (art. 39 e 40) che, in questo modo, contribuisce e forma parte

della comunità locale dello Stato membro. In effetti, come avremo modo di specificare più avanti, la cittadinanza europea risulta essere l’esempio più esplicativo di quell’erosione tra Stato e diritto politico che, finora, si è mantenuto attraverso un consequenziale rapporto di esclusività. Seppure in maniera accessoria, l’istituto di stampo europeo formula delle valide alternative per una «disgregazione della cittadinanza»103 poste a

configurare uno status civitatis su più livelli che parta, in primo luogo, dalla residenza dell’individuo104. In tal senso, alcune posizioni adottate dalle istituzioni europee non sono

100 In tal senso, si veda ALESSANDRA ALGOSTINO, Il ritorno dei meteci: migranti e diritto di voto, in Silvio Gambino e Guerino D'Ignazio (a cura di), Immigrazione e diritti fondamentali. Fra Costituzioni nazionali, Unione Europea e Diritto internazionale, Milano, Giuffrè, 2010, p. 433.

101 Cfr. ENRICO GROSSO, Cittadinanza giuridica e partecipazione politica, IX Convegno internazionale della S.I.S.E., "La cittadinanza elettorale", Firenze, 14-15 Dicembre 2006, p. 7 ss.

102 In Italia, tale disciplina parte dal d.lgs n. 197 del 1996.

103 In tal senso, meritevoli di nota sono gli studi di SHEYLA BENHABIB, Cittadini globali.

Cosmopolitismo e democrazia, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 59 ss.

104 Cfr. GIANLUCA BASCHERINI, Immigrazione e diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia

per nulla estranee all’estensione dei diritti politici agli stranieri: nella Comunicazione della Commissione (COM/2003/336) su immigrazione, integrazione e occupazione del 3 giugno 2003, ad esempio, si precisa che «dal punto di vista dell’integrazione, è ovvio che il diritto di voto (dello straniero) deve discendere dalla stabilità di soggiorno, più che dalla nazionalità»; questo impianto, del resto, porta gli organi europei a concludere che «conferire i diritti politici ai migranti residenti di lungo periodo sia necessario ai fini del processo di integrazione e che il Trattato dovrebbe fornire la base per procedere in tal senso»105. Allo stesso modo, anche il Parlamento europeo106 con la Risoluzione del 22 aprile 2009 su una politica d'immigrazione comune per l'Europa: principi, azioni e strumenti

[2008/2331(INI)] ha sollecitato gli Stati membri «a facilitare i sistemi per il sostegno della società civile nel processo di integrazione consentendo la presenza di migranti nella vita civile e politica della società ospite, consentendo loro la partecipazione nei partiti politici, nei sindacati e l'opportunità di votare alle elezioni locali» (par. 32).

Per ciò che concerne, invece, il Consiglio d’Europa è opportuno fare riferimento alla Raccomandazione 1500/2001 dell’Assemblea parlamentare107 avente come oggetto proprio la partecipazione dei migranti e dei residenti stranieri alla vita politica negli Stati membri. Nel Preambolo del documento si pone l’accento su come la legittimazione democratica richieda uguale partecipazione di tutti i gruppi della società al processo politico, e che il ambito Ue contribuiscono ad una frammentazione del modello unitario di cittadinanza nelle sue diverse componenti: identità collettiva, appartenenza e diritti politici, diritti sociali». Per ciò che concerne il tema dell’indagine, egli sottolinea che «questa frammentazione della cittadinanza si accompagna ad una riconferma del problematico legame tra nazionalità e partecipazione politica: mentre per i cittadini europei la cittadinanza “politica” si sgancia dalla nazionalità, per i cittadini dei Paesi terzi tende a rafforzarsi in chiave escludente il vincolo tra appartenenza nazionale e partecipazione politica». 105 Citando la COM/2003/336, par. 3.3.6

106 Come già affermato nella Risoluzione del 19 giugno 2003 e in quella del 15 gennaio 2004

107 Tale documento è oggi alla base di numerose posizioni adottate dai diversi organi in seno al Consiglio d’Europa: tra i tanti, si ricorda la Raccomandazione 115 del 2002 sulla partecipazione dei residenti

stranieri alla vita pubblica locale che, all’art 14 ribadisce che «il Trattato di Maastricht apre la strada al

riconoscimento di una cittadinanza di residenza, chiaramente distinta dalla nozione di nazionalità, ma che limita purtroppo tale cittadinanza di residenza ai cittadini dei paesi membri dell’Unione europea, introducendo in tal modo una discriminazione tra residenti di origine straniera, contrariamente ai principi raccomandati dal Consiglio d’Europa e dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo»; allo stesso modo, all’art. 14, par. C si invitano le Alte Parti contraenti a prevedere per gli stranieri «la concessione del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni amministrative locali, su riserva di certi criteri di residenza».

contributo che gli stranieri legalmente residenti apportano alla prosperità di un Paese può giustificare il loro diritto a influenzare le sue decisioni politiche. Ai fini dell’indagine, è importante sottolineare che l’Assemblea, con l’adozione di questo documento, ha invitato gli Stati contraenti a ratificare (ed a rendere effettiva) la Convenzione europea sulla

partecipazione degli stranieri alla vita politica a livello locale108, atto di estrema rilevanza che di seguito ci proponiamo di analizzare nelle sue tre distinte parti.

C) La Convenzione di Strasburgo sulla partecipazione

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