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All’interno di questo ultimo gruppo di diritti, non a caso il più rilevante per la nostra analisi, il TC ha incluso i diritti politici e di accesso alle funzioni pubbliche. L’articolo 13.2 della Costituzione, letto alla luce dell’art. 23 CE esclude espressamente la titolarità di questo diritto (si può dire, l’unico) agli stranieri221. In effetti, l’art. 13.2 CE

stabilisce che «solamente gli spagnoli sono titolari dei diritti riconosciuti nell’articolo 23». Questa prima parte dell’enunciato ci fa desumere che il diritto elettorale è riservato semplicemente a coloro che godono dei diritti di cittadinanza. L’articolo, tuttavia, continua affermando che «viene fatto salvo ciò che, secondo criteri di reciprocità, può

220 Così anche IGNACIO BORRAJO INIESTA, El status constitucional de los extranjeros, Estudios sobre la Constitución Española en homenaje al Profesor García de Enterría, II, 1991, p.761.

221 Fatta eccezione, come visto nel capitolo precedente, per i cittadini provenienti da altri Stati membri dell’Unione europea.

essere stabilito dai trattati e dalla legge per il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni municipali». Dal canto suo, l’art. 23 CE stabilisce che «i cittadini hanno diritto di partecipare agli affari politici direttamente o attraverso rappresentanti, liberamente eletti con elezioni periodiche e a suffragio universale»; rispetto, poi, alla partecipazione si precisa che «allo stesso modo, essi hanno diritto ad accedere in condizioni di uguaglianza alle funzioni e agli incarichi pubblici, con i requisiti che la legge prevede».

Senza con questo voler esaurire a pieno la discussione, che verrà affrontata con maggiore riguardo nel corso del lavoro, una prima lettura di questi articoli ci suggerisce che il diritto alla cd. “partecipazione pubblica” e l’accesso alle funzioni dello Stato spettano solo a coloro che hanno la cittadinanza (differente, come si è già detto dalla mera nazionalità) e, solo in caso vigesse una certa reciprocità con gli Stati di provenienza, potrà essere accordato agli stranieri l’esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo. Sempre riguardo a questo punto, la Ley de extranjería (L.O. 4/2000), all’articolo 6222

(Participación pública) ci viene in soccorso per la definizione di questi dettami costituzionali: al primo comma, esso si limita a ribadire la reciprocità come criterio regolatore della materia; il secondo comma, invece, ha in sé considerevoli elementi di novità che crediamo sia opportuno segnalare sin da subito e che riguardano i cd. stranieri

“empadronados” (ovvero, coloro che sono iscritti nei registri municipali223 e che, quindi,

possiedono una semplice residenza abituale nel territorio). Nello specifico, si accorda a questa particolare tipologia di stranieri il godimento «di tutti i diritti stabiliti per questo concetto (la partecipazione pubblica, appunto) nel regime locale»; lo stesso comma rimarca, poi, l’importanza di questa inclusione politica dello straniero sancendo che «possono essere ascoltati negli affari che li riguardano, per quanto stabiliscono i regolamenti di attuazione». L’articolo 6, inoltre, impone alle stesse amministrazioni locali (comma 4) di facilitare anche «il diritto di voto degli stranieri nei processi elettorali del Paese di origine».

222 Si precisa che questo articolo ha ampliato la sua portata e la sua importanza dopo le modifiche avvenute nel corso degli ultimi anni e, da ultimo, con la L.O. 2/2009, dell’11 di dicembre.

223 A norma del comma 3 dell’art. 6, «i comuni inseriranno nei registri tutti gli stranieri che avranno un domicilio abituale nel territorio municipale e manterranno attualizzate le relative informazioni». Per un’analisi attenta e attualizzata sui diritti degli stranieri e la loro iscrizione al Padrón Municipal, si veda RAFAEL JOVER GÓMEZ-FERRER, CARLOS ORTEGA CARBALLO, SANTIAGO RIPOLL CARULLA, Derechos Fundamentales de los extranjeros en España, Madrid, Lex Nova, 2010, p. 169-176.

Rispetto agli incarichi pubblici, come già detto, sono prerogativa costituzionalmente garantita ai cittadini dello Stato. Ciò nonostante, la restrizione riguardante l’accesso alle cariche dello Stato ha smesso di avere questo carattere assoluto, allargandosi (per come abbiamo già discusso) ai nazionali provenienti da altri Stati membri dell’Ue. A dir la verità, contro una possibile contraddizione del dato costituzionale, il TC è stato chiamato a pronunciarsi per vagliare l’esistenza di una concreta antinomia. In tal senso, i giudici supremi si sono espressi con la Dichiarazione del 1 luglio 1992, sancendo che il testo del Trattato di Maastricht era contrario a quanto disposto dall’art. 13.2 CE e, quindi, si raccomandava una riforma del precetto, al fine di formalizzare la ratifica del documento europeo. Tale riforma avvenne il 27 agosto 1992 (BOE del 28 agosto) e, da allora, si può affermare che anche nell’ordinamento spagnolo i cittadini primariamente comunitari godono di un regime speciale rispetto alla larga cerchia degli stranieri regolarmente residenti nel Paese. L’adattamento dell’ordinamento spagnolo alla legislazione europea (rinforzata, come sappiamo, dal Trattato di Lisbona) si ha con la Ley 17/1993, sull’accesso dei cittadini comunitari alle cariche pubbliche, sviluppata successivamente dal Real Decreto 800/1995 e, attualmente, dal Real Decreto 543/2001 che ha derogato alcune parti della legislazione precedente. Nello specifico, l’art. 1.1 della legge appena citata224 dispone che «d’accordo con il diritto comunitario, i

nazionali degli altri Stati membri dell’Unione europea possono avere accesso in maniera uguale agli spagnoli a tutti gli impieghi pubblici».

La particolarità di questo disposto si riscontra quando sancisce che da queste posizioni vengono escluse quelle che «implicano una partecipazione diretta o indiretta all’esercizio del potere pubblico o qualora si tratti di funzioni che abbiano come oggetto la salvaguardia degli interessi dello Stato o delle Amministrazioni pubbliche». In effetti, nel pieno rispetto delle competenze e dell’autonomia locale (tipica dell’ordinamento che stiamo analizzando), il comma 3 dello stesso articolo ribadisce che «il Governo o, nel loro caso, gli organi indipendenti delle Comunità autonome […] potranno determinare […] gli impieghi o i posti ai quali non è dato accesso ai nazionali provenienti da altri Stati dell’Unione europea. In ogni caso, di questi diritti si darà conto nelle parti successive dell’indagine.

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