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La disciplina giuridica della violenza sessuale sui minori: dal Codice Zanardelli al Codice Rocco

LA DISCIPLINA GIURIDICA ITALIANA

3.2 Interventi normativi per il contrasto agli abusi sessuali sui minor

3.2.1 La disciplina giuridica della violenza sessuale sui minori: dal Codice Zanardelli al Codice Rocco

 

Le disposizioni normative, in materia di «delitti sessuali» meritano di essere analizzate con attenzione poiché hanno subito una significativa evoluzione.

Il Codice penale del 1889, entrato in vigore il 1° gennaio 1890, viene attualmente considerato come un codice di impronta liberale, attento a                                                                                                                          

78 PICARONE A., Identità dei minori. Le problematiche costituzionali delle nuove

frontiere digitali, consultabile alla pagina

http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wpcontent/uploads/2015/07/picarone .pdf

79COPPI F., I reati sessuali, i reati di sfruttamento dei minori e di riduzione in

rispettare i fondamentali principi di garanzia elaborati dal pensiero illuministico del Settecento.

L’unificazione della legislazione penale italiana è stata considerata come il principale risultato ottenuto dal processo di codificazione, intrapreso nel corso del Risorgimento.

L’attenzione rivolta al dibattito politico-criminale dell’epoca ha determinato scelte davvero innovative. Tuttavia, nonostante una certa modernità e l’equilibrio complessivo dato dall’insieme delle disposizioni normative, le attività di codificazione sono state eseguite dal legislatore del 1889 “con lo sguardo rivolto al passato” e con il solo obiettivo di superare i difetti e le mancanze delle precedenti legislazioni penali. Uno studio delle norme codificate nel 1889 ci permette di evidenziare divergenze profonde tra le condotte illecite e soprattutto tra i beni giuridici offesi, anche in considerazione del fatto che, secondo la cultura di fine Ottocento, reprimere le offese contro la morale pubblica costituiva l’unica priorità.

In tal senso, le ragioni della tutela penale venivano individuate nella necessità di proteggere l’interesse pubblico o sociale piuttosto che i diritti fondamentali della persona offesa dal reato.

La normativa dei reati sessuali è stata collocata nel Titolo VIII («Dei delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie») del Libro II del Codice Zanardelli.

Le figure di reato descritte da queste disposizioni risultano profondamente diverse, le une dalle altre, per struttura e specifica oggettività giuridica: accanto ai delitti di violenza carnale e di atti di libidine violenti emergono, infatti, i reati di supposizione e soppressione di stato.

La struttura adottata dal legislatore del 1889 e la particolare collocazione delle fattispecie incriminatrici a sfondo sessuale non ci permettono di

riconoscere nel «motivo sessuale» il denominatore comune alle condotte illecite raccolte nel titolo in esame.

In tal senso, la classificazione inserita nella parte speciale del Codice Zanardelli è stata effettuata in funzione del solo interesse leso dal reato, pertanto non è stata attribuita alcuna rilevanza ai diritti della persona offesa.

In conformità alla cultura dell’epoca, comportamenti illeciti, che oggi vengono considerati come opposti a causa dei diritti individuali e personali offesi, potevano appartenere ad una sola categoria in quanto lesivi di un interesse pubblico o sociale. A questo proposito, poiché i beni di categoria individuati dal legislatore rappresentano dei valori che difficilmente possono essere inquadrati con precisione, risulta opportuno esaminare le definizioni contenute nella Relazione ministeriale al progetto del 1887.

In questo documento ufficiale, Manzini, autorevole giurista e studioso del codice Zanardelli, definisce il buon costume e l’ordine delle famiglie come «beni giuridici essenziali della civile società, i quali si integrano reciprocamente e perciò si trovano accoppiati anche in relazione alla tutela che ad essi appresta la legge penale».

In particolare, il buon costume rappresenta «l’ordine etico-giuridico costituito dall’osservanza di quei limiti che sono ritenuti necessari per la sicurezza, la libertà e per la moralità dei rapporti sessuali»; mentre l’ordine delle famiglie corrisponde all’«istituto giuridico famigliare regolato dallo Stato nel pubblico interesse considerato nel complesso di quelle norme che tendono ad assicurare la moralità sessuale nelle famiglie, in rapporto ad esse e che impongono l’osservanza delle leggi giuridico-naturali delle generazioni».

In conclusione e secondo l’opinione dell’autore, poiché nei delitti contenuti nel Titolo VIII prevale sia il profilo del buon costume sia

quello dell’ordine delle famiglie, «la legge li ha collocati insieme appunto per l’inscindibilità degli effetti»80.

La normativa in tema di «delitti sessuali» codificata nel 1889 è caratterizzata dall’assenza di qualsiasi dimensione individuale o personale. Per questa ragione, a causa del mancato riferimento alla libertà sessuale, l’oggetto generico della tutela penale viene individuato nell’«interesse sociale di assicurare il bene giuridico dell’inviolabilità carnale della persona».

Il Codice Penale italiano del 1889 è caratterizzato dalla sua totale inadeguatezza rispetto alle nuove esigenze di tutela emerse in seno alla società di fine Ottocento.

Le ragioni che hanno determinato un nuovo processo di codificazione vengono illustrate nella Relazione ministeriale al progetto del codice penale del 1930 nella quale si legge che l’aumento della criminalità, negli anni del dopoguerra deve ricondursi ai «[…]profondi rivolgimenti prodottisi nella psicologia e nella morale degli individui e della collettività e nelle condizioni della vita economica e sociale».

La riforma della legislazione italiana, in materia penale, si è resa necessaria al fine di predisporre «nuovi e più adeguati mezzi di prevenzione della criminalità»81.

Il codice penale del 1930, entrato in vigore il 1° gennaio 1931, poiché considera i delitti contro la libertà personale come autonoma categoria, si dimostra conforme alle matrici ideologiche e politiche del regime fascista, dunque manifesta una continuità apparente rispetto alle scelte del legislatore del 1889.

                                                                                                                         

80MANZINI, Trattato di diritto penale, Torino, UTET, 1986.    

81STANIG E., Misure di prevenzione personali e patrimoniali, in FABIO FIORENTINI (a cura di), Osservatorio della giustizia penale, Torino, G.Giappichelli Editore, 2018, pp. 27-33.  

Il legislatore del 1930 ha collocato le disposizioni normative riguardanti le condotte illecite a sfondo sessuale nel Capo I («Dei delitti contro la libertà sessuale») del Titolo IX («Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume») del Libro II («Dei delitti in particolare») del Codice. La nuova sistemazione dei «delitti sessuali» e la sostituzione dell’«ordine delle famiglie» con la «moralità pubblica» evidenziano criteri di profonda omogeneità rispetto al Codice Zanardelli.

Il legislatore del 1930 riconosce, anche nella libertà sessuale, un bene di categoria, con l’obiettivo di richiamare l’attenzione sulla tutela della persona nel suo diritto a determinarsi liberamente nella sfera sessuale. Questo cambiamento costituisce il primo passo verso una percezione e considerazione delle violenze sessuali come condotte offensive dei diritti fondamentali della persona.

Secondo Manzini, anche in questo caso, l’oggetto generico della tutela penale è «l’interesse dello Stato di garantire i beni giuridici della

moralità pubblica e del buon costume, in quanto si attiene alla libertà sessuale, all’inviolabilità del sentimento del pudore e al rispetto dell’onore sessuale»82; come già accaduto a proposito del binomio«buon costume - ordine delle famiglie», anche i due beni della moralità pubblica e del buon costume, essenziali per la civiltà moderna, si integrano reciprocamente e sono perciò associati nella tutela garantita dalla legge penale. L’oggetto della tutela penale, in relazione ai delitti contro la libertà sessuale, è sempre «l’interesse dello Stato di assicurare i beni giuridici della moralità pubblica e del buon costume, in quanto si attiene all’inviolabilità carnale della persona»83.

                                                                                                                         

82MANZINI, Trattato di diritto penale, vol. VII, Torino, UTET, 1963, p.271.   83Ibidem.  

Dunque, le norme del Codice Rocco intendono tutelare la moralità pubblica e il buon costume perché questi rappresentano beni etico - giuridici meritevoli di protezione.

Con il Codice Rocco viene sì dato un autonomo rilievo alla libertà sessuale, ma in un’ottica pubblicistica dell’interesse tutelato.

Le disposizioni contenute nel codice del 1930, ripropongono la distinzione già nota tra «violenza carnale» e «atti di libidine violenti». Nello specifico, a norma dell’articolo 519 c.p., la responsabilità penale del delitto di violenza carnale grava su «chiunque, con violenza o minaccia, costringe taluno a congiunzione carnale»; mentre, a norma dell’articolo 521 c.p., la responsabilità penale del delitto di atti di libidine violenti grava su «chiunque, usando dei mezzi o valendosi delle condizioni indicate nei due articoli precedenti, commette su taluno atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale ovvero costringe o induce taluno a commettere gli atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri». Il profilo essenziale della condotta costitutiva del reato viene individuato nella violenza o nella minaccia, posta in essere dal soggetto agente, il semplice dissenso della persona offesa non può ritenersi sufficiente alla configurazione della condotta illecita.

Il maggior disvalore sociale del primo reato rispetto al secondo si evidenzia nel diverso trattamento punitivo. È quindi importante ricondurre le concrete condotte del reo all’una o all’altra fattispecie astratta, e per fare questo è fondamentale la dettagliata ricostruzione dell’accaduto attraverso il racconto della vittima, indagini umilianti e mortificanti, sottoponendo di fatto la stessa ad una seconda violenza. La tradizione giuridica e culturale, recepita dal legislatore del 1930, sostiene che l’offesa prodotta da costrizione fisica nell’atto sessuale non sia diretta contro la vittima bensì contro il bene della moralità pubblica.

La struttura adottata per il Codice Rocco ha delineato una dimensione pubblicistica dei reati a sfondo sessuale. La normativa in esame non tiene in considerazione la vittima titolare del diritto di libertà ma l’interesse sociale offeso84.

Nella versione originaria del Codice Rocco non era prevista la fattispecie di atti sessuali con minorenne, introdotta dalla legge n.66 del 1996. Erano però disciplinati alcuni casi di violenza presunta, nei quali cioè si prescindeva dall’accertamento del ricorso alla violenza o alla minaccia. Ciò perché le vittime erano considerate dall’ordinamento come soggetti particolarmente indifesi e quindi particolarmente meritevoli di tutela, il cui consenso eventualmente prestato non era mai idoneo ad escludere la tipicità del fatto. Fra tali soggetti il 2° comma dell’art. 519 elencava: persone malate di mente o affette da inferiorità psichica o fisica che impediva loro di resistere efficacemente all’aggressione (anche qualora tale infermità non fosse stata provocata dal soggetto agente); persone tratte in inganno sull’identità del partner sessuale ed infine proprio i minori. In modo specifico la violenza si presumeva, o meglio il consenso dato dal minore risultava giuridicamente inefficace, ove questo non avesse ancora compiuto i quattordici anni. Se poi il soggetto attivo aveva particolari legami con il minore, perché «ne è l'ascendente o il tutore, ovvero è un'altra persona a cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia», l’età veniva innalzata fino a sedici, in quanto l’ordinamento reputava il minore più esposto all’influenza di questi soggetti e quindi più facilmente manipolabile. L’art. 521 riproduceva disposizioni analoghe per quanto riguardava gli atti di libidine violenti. Nodo problematico di tale normativa risiedeva nel fatto che venivano incriminati anche gli atti                                                                                                                          

84COPPI F., I reati sessuali, i reati di sfruttamento dei minori e di riduzione in schiavitù per fini sessuali, op.cit, pp. 10-19.  

sessuali compiuti fra minori: persino un bacio dato, per esempio, da un quindicenne a una tredicenne poteva essere considerato come un atto di libidine. Una differenza che possiamo evidenziare rispetto al Codice Zanardelli è l’innalzamento dell’età del soggetto passivo e quindi della soglia di tutela: il codice previgente stabiliva dodici anni come regola generale e quindici anni nel caso di particolari legami fra agente e vittima.

Infine l’art. 539 sanciva l’inescusabilità dell’ignoranza dell’età della persona offesa per i reati del titolo IX.

Con la caduta del regime fascista, anche i valori morali ad esso legati, quali l’interesse per la società, la collettività, la moralità pubblica, subiscono dei cambiamenti. Con l’avvento della Costituzione repubblicana viene dato impulso alla persona, considerata soprattutto nella sua individualità e nell’insieme delle libertà che ne sono espressione, tra cui la libertà sessuale.

La stessa Corte costituzionale con sentenza interpretativa n. 56 del 18 dicembre 1987 afferma che: “essendo la sessualità uno degli essenziali modi d’espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 della Cost. impone di garantire”. Quindi anche in sede penale la tutela rispetto ai reati sessuali non è più rivolta alla morale pubblica, intesa quale bene giuridico, ma alla libertà e autodeterminazione della propria sfera sessuale. Il legislatore interviene così nel 1996 con una radicale riforma dei reati sessuali, anche in seguito a richieste pressanti

derivanti dall’incremento di reati sessuali commessi soprattutto nei confronti di minori85.

 

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