B) Prospetto del Servizio Informazioni e Ufficio della Proprietà Letteraria, Artistica e Scientifica
IV.II Caratteri dell’antifascismo della Spes
I.1 Documentari governativi e documentari filogovernativi
La produzione documentaristica del Centro Documentazione, istituito in seno al Servizio Informazioni sul finire del 1951, fa il suo debutto già nell’autunno 1952 ma entra a pieno regime solamente nel 1953 (anno nel quale si svolgono le seconde elezioni politiche dell’Italia repubblicana). Se si osserva la produzione1 del primo biennio, si riscontra una notevole forbice nella quantità dei documentari prodotti nei due anni: nove nel 1952, trentatré nel 1953. In seguito, se il 1954 vede un lieve incremento (trentacinque documentari), il 1955 conosce una certa flessione (ventisei) che si acuisce sensibilmente nel 1956 (nove) e nel 1957 (cinque). Se il 1958 registra una ripresa con la produzione di quindici documentari – ripresa verosimilmente dettata anche dalla scadenza elettorale – nel 1959 la produzione si riduce di nuovo in maniera drastica con il rilascio di appena tre cortometraggi.
Osservando più nello specifico, invece, i contenuti dei documentari prodotti in questa prima fase, si può agevolmente notare come la Ricostruzione che sta modificando radicalmente l’assetto dell’Italia sia il tema predominante, seppure variamente declinato. Nel 1952, cinque documentari su otto affrontano aspetti della ripresa nazionale come l’industrializzazione e lo sviluppo edilizio, mentre i rimanenti sono dedicati rispettivamente alla riforma fondiaria, alla lotta all’analfabetismo, ai consumi alimentari e alle pratiche nel tempo libero degli italiani. Nel 1953, alla vigilia di un combattuto appuntamento elettorale, il tema prevalente dei documentari distribuiti nelle sale è lo sviluppo economico attraverso la promozione di opere pubbliche, visto nelle sue varie manifestazioni regionali. Accanto a queste prospettive locali, che prese singolarmente potrebbero restituire l’immagine di un paese frammezzato e isolato, vengono immessi anche documentari nei quali si mostra lo sviluppo delle infrastrutture, dei trasporti marittimi e dei mezzi di comunicazione, nonché del ritrovato prestigio dell’Italia nel consesso mondiale. Le ragioni dell’insistenza su questi aspetti, così come di una tale abbondanza produttiva, nel 1953, si spiegano agevolmente con l’implicita necessità di supportare la regolare propaganda democristiana con una comunicazione istituzionale opportunamente orchestrata ma che abbia parvenze di obiettività e neutralità. Nel 1954 la produzione
1 Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Per immagini. Gli audiovisivi
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del Centro Documentazione si mantiene su un livello quantitativamente elevato, riducendo però il numero dei cortometraggi a carattere economico-edilizio e abbracciando altri temi quali la questione triestina, le eccellenze della cultura italiana (con particolare attenzione per il patrimonio artistico e archeologico), il ruolo della donna nella società moderna e le problematiche dell’immigrazione all’estero. I documentari realizzati nel triennio successivo, oltre a conoscere una contrazione nella produzione, ripropongono fondamentalmente le stesse tematiche, riprendendo con maggiore frequenza argomenti che in precedenza erano rimasti più marginali, come lo stato sociale e la sicurezza nazionale.
Il 1958 segna un rinnovato slancio nella produzione, presumibilmente dettato dalla concomitanza elettorale. L’offerta dei cortometraggi appare infatti calibrata sulla proposta politica e sulla precedente attività ministeriale di Fanfani, che in qualità di segretario democristiano – nonché candidato in
pectore alla Presidenza del Consiglio – conduce un’agguerrita campagna elettorale. Di non secondaria
importanza, nel 1958, è lo spazio dedicato alla divulgazione del processo di integrazione europea, tema invero già occasionalmente sfiorato da precedenti documentari ma di accresciuta attualità a seguito dell’entrata in vigore della Comunità economica europea e della Comunità europea dell’energia atomica. La produzione precipita rapidamente nel 1959, riducendosi a ben un quinto della precedente annata con tre soli documentari.
Nel primo capitolo si è visto come, nel 1956, in seguito all’estromissione di Spinetti, che fin dall’inizio ha guidato il Centro Documentazione in un clima contrassegnato da crescenti attriti, la struttura venga smantellata e nel 1957 le sue attribuzioni affidate a nuove articolazioni del Servizio Informazioni. Con ciò si spiega, verosimilmente, la crisi produttiva che si verifica nella seconda metà degli anni cinquanta, interrotta solo dalla parentesi contingenziale del 1958. Nel corso degli anni sessanta il ritmo non perde tale carattere di discontinuità: a un deciso rilancio nel biennio 1960-1961 con la rispettiva produzione di diciassette e diciannove documentari, segue una contrazione pressoché subitanea nel successivo quadriennio, ai cui estremi si collocano le dieci pellicole del 1962 e le undici del 1965 intervallate dalle sei del 1963 e dalle quattro del 1964. La produzione si interrompe nel 1966, per riprendere poi nel 1967-1968 (con dodici documentari complessivi) e arrestarsi nuovamente sino al 1972.
Questo andamento discontinuo va considerato entro i mutamenti del quadro istituzionale (di cui ho dato conto nel primo capitolo) in cui viene a collocarsi. È opportuno però rilevare come il mantenimento presso la Presidenza del Consiglio delle sole competenze in materia di informazione e editoria – in seguito all’istituzione del Ministero del turismo e dello spettacolo – non sembri comportare particolari vantaggi, sotto il profilo delle disponibilità finanziarie, per le attività del primo comparto (tenendo conto per di più che, nel 1962, la produzione documentaria sembra sul punto di
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essere definitivamente dismessa). Dal punto di vista della forma e dei contenuti, ci sono però negli anni sessanta alcune novità. Il nuovo corso della realtà italiana impone, infatti, un cambio di paradigma e il contenitore della Ricostruzione cede definitivamente il passo a quello del benessere diffuso. A questa rinnovata prospettiva vengono così adattati prototipi consolidati, nel proposito di descrivere una nazione moderna nella quale si sono ormai affermati, e sono effettivi, i cambiamenti socio-economici rappresentati precedentemente nel loro farsi. Emergono, d’altro canto, alcuni gruppi circoscritti di documentari, soprattutto nella produzione della prima metà del decennio, legati a circostanze particolari (come le Olimpiadi di Roma o le celebrazioni del centesimo anniversario dell’Unità d’Italia) oppure del tutto peculiari e a sé stanti come i già ricordati documentari d’ispirazione spinettiana. Come ovvio, l’esperimento del centro-sinistra informa di sé il tono generale dei documentari della seconda metà degli anni sessanta, propiziando l’immagine di un paese pacificato e prospero dove l’aumento dei consumi è garantito da un armonico stato sociale. L’invalere definitivo del colore, massicciamente introdotto già negli anni cinquanta con l’uso di pellicola Ferrania, contribuisce a conferire a questi cortometraggi un’indubbia aura di ottimismo fideista. Le elezioni politiche che si svolgono in questa decade non incidono in alcuna misura sulla produzione, come si può constatare, né sotto il profilo quantitativo né sotto quello dei contenuti (totalmente indipendenti dai programmi delle campagne elettorali).
I documentari prodotti dalla Presidenza del Consiglio si mimetizzano all’interno di in un ecosistema mediale dato e definito. Questo deriva da due ordini di ragioni: in primo luogo, dalla scelta di sfruttare un medium altamente standardizzato come il cortometraggio “formula 10” (ossia di una durata media che si aggira intorno ai dieci minuti), presente nelle sale cinematografiche molto prima del 1952 e con il quale il pubblico ha già confidenza, senza apportare soluzioni stilistiche originali che possano connotare il documentario istituzionale come tale, allo scopo di evitare accostamenti incongrui con le modalità proprie della comunicazione fascista (quel che tuttavia avviene sporadicamente in diverse sedi2); in secondo luogo, dal fatto che la concreta produzione dei cortometraggi governativi è affidata alla professionalità di società e di registi attivi nel settore documentaristico del mercato cinematografico, del quale hanno fissato gli standard, e che realizzano titoli anche indipendentemente dalle commissioni istituzionali (sempre però attenti a confezionare prodotti che possano godere di eventuali premi previsti dalla legislazione). Dalla necessità di ottenere il beneplacito delle
2 L’onorevole comunista Corbi, nella sua interpellanza parlamentare dell’aprile 1954 in merito alle presunte malversazioni
del Centro Documentazione (vedi il primo capitolo), non manca di qualificare la struttura come una riedizione del Minculpop e non risparmia allusioni ai trascorsi fascisti di Spinetti. Ma anche la critica cinematografica orientata a sinistra eccepisce, dalle colonne delle principali riviste, sugli intenti scopertamente propagandistici. Una rassegna esaustiva di questi giudizi, e alla quale si fa qui riferimento, è presente in M. Palmieri, La questione meridionale tra storia e cinema
documentario, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2018, pp. 141-146. La rassegna viene ripresa in successivo studio della
stessa autrice, sempre inerente alla rappresentazione visuale del Meridione nel documentario italiano: M. Palmieri,
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commissioni valutatrici per poter accedere ai relativi fondi, deriva inoltre la tendenza generalizzata a concepire documentari che hanno un orientamento naturaliter filogovernativo, o quanto meno scarsamente critico nei confronti della realtà rappresentata. Si viene così a verificare una dicotomia, sotto certi aspetti paradossale, in cui il Servizio Informazioni si prodiga a mimetizzare i propri lavori nel grosso della restante produzione che, di contro, per interessata compiacenza tende in larga misura a riproporre autonomamente i moduli del documentario governativo.
Esiste, naturalmente, anche un cinema documentario che cerca invece, sul solco dell’esperienza neorealista, di scandagliare la realtà italiana senza schivare le sue contraddizioni ed elaborare forme espressive originali e, in qualche caso, autoriali. Allo studio del documentario d’autore relativo al secondo dopoguerra si è dedicata in tempi recenti Ivelise Perniola3, che ne ha portato in luce le principali tendenze tematiche e formali e ha cercato di spiegare le ragioni, culturali e contestuali, per le quali una forma di espressione indubbiamente ricca, e alla quale partecipano cineasti di primo piano, mantenga caratteri di episodicità non riuscendo a costituirsi in un movimento compiuto in grado di esprimere una voce rilevante nel più ampio dibattito politico e culturale degli anni cinquanta e sessanta. In ogni caso, occorre tenere presente le problematiche sollevate da questa significativa produzione anche negli anni successivi, in quanto costituisce un controcanto che consente di comprendere appieno il rapporto fra visibile e invisibile4 che sussiste nel documentario governativo (e in quello filogovernativo).
Il Servizio Informazioni non è l’unico ente che, negli anni della Ricostruzione e del Miracolo economico, commissiona a case di produzione cinematografiche, o produce in proprio, la realizzazione di cortometraggi documentari a scopo didattico-propagandistico. Soprattutto negli anni cinquanta il panorama è anzi piuttosto saturo, dal momento che, come hanno ricostruito studiosi quali Paola Bonifazio5 ed Elio Frescani6, il processo di modernizzazione che investe il nostro paese nel dopoguerra è al centro di un cospicuo numero di sponsored film prodotti da enti pubblici e aziende statali e private di cui occorre ricordare l’European Recovery Administration (Eca) - l’agenzia statunitense incaricata di dare attuazione al Piano Marshall – così come la Fiat, l’Edison-Volta, la Olivetti e l’ENI. E a ciò occorre aggiungere il fatto che, seppure sporadicamente, negli anni successivi altri dicasteri si affidano al cortometraggio documentario per divulgare taluni provvedimenti e
3 I. Perniola, Oltre il neorealismo. Documentari d’autore e realtà italiana del dopoguerra, Roma, Bulzoni, 2004. 4 Le categorie di visibile e invisibile sono state introdotte da Pierre Sorlin nel 1977, in riferimento agli aspetti sociali e
culturali che vengono mostrati o meno all’interno della cinematografia di una data società in un dato momento storico. Vedi P. Sorlin, Sociologia del cinema, Milano, Garzanti, 1979; ed. or. Sociologie du cinéma, Paris, Aubier, 1977.
5 P. Bonifazio, Schooling in Modernity. The Politics of Sponsored Films in Postwar Italy, Toronto, University of Toronto
Press, 2014.
6 E. Frescani, Il cane a sei zampe sullo schermo. La produzione cinematografica dell’Eni di Enrico Mattei, Napoli,
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risultati conseguiti. Per completezza di analisi, non si può esulare, naturalmente, da un raffronto con queste produzioni coeve e per molti versi analoghe, qualora sia richiesto dal tema in oggetto. In questo capitolo intendo descrivere la rappresentazione visuale della realtà italiana attuata dal documentarismo governativo fra anni cinquanta e sessanta. La rappresentazione della Ricostruzione costituisce a pieno titolo lo sforzo maggiore sostenuto dal Servizio Informazioni, trovando la sua piena definizione sotto la direzione di Spinetti durante i governi centristi della seconda legislatura. In ragione di ciò, il mio proposito è di analizzare questo tema nel modo più unitario possibile, tenendo presente come la narrazione governativa sia influenzata dalla precedente esperienza della propaganda del Piano Marshall. Successivamente, intendo prendere in esame specifici temi circoscritti e analizzare le evoluzioni che si registrano (o non si registrano) dall’istituzione del Centro Documentazione nel 1951 per i due decenni successivi.
II Prima del Servizio Informazioni: la narrazione del Piano Marshall
La narrazione visuale della Ricostruzione (nel suo farsi) proposta dall’Eca precede di qualche anno quella del Servizio informazioni – anticipandone temi ed estetiche e costituendo per essa un modello di riferimento, ancorché gli obbiettivi non siano sempre collimanti – in quanto facente parte della campagna propagandistica a supporto delle operazioni del Piano Marshall (1948-1952). Comunemente noto con l’appellativo coniato dal Segretario di Stato George Marshall, l’European Recovery Program viene annunciato pubblicamente il 5 giugno 1947 nel corso di un intervento tenuto a Harvard da quest’ultimo7. Il programma, che prevede il rifornimento di materie prime e la concessione di prestiti in favore della ricostruzione e della ripresa economica dell’Europa occidentale, rimane in vigore dal 1948 al 1952 per un stanziamento finanziario complessivo di circa 14 miliardi di dollari. Diverse ragioni, di ordine economico e ideologico, inducono l’amministrazione statunitense a varare il piano: da un lato, la necessità di assicurare all’industria americana, la cui crescita non può essere più assorbita esclusivamente dal mercato interno, di un ulteriore sbocco commerciale vasto e appetibile quale quello europeo; dall’altro, quello di arginare l’avanzata comunista nel Vecchio Continente rimuovendo le cause socio-economiche del suo consenso, con l’obbiettivo di consolidare un sistema basato su liberal-democrazia e capitalismo8.
7 Esiste una bibliografia imponente sul Piano Marshall, per uno sguardo complessivo sulle sue linee generali si rimanda
a D. W. Ellwood, L'Europa ricostruita. Politica ed economia tra Stati Uniti ed Europa occidentale, 1945-1955, Bologna, Il Mulino, 1994, e ai più recenti M. Holm, The Marshall Plan: A New Deal for Europe, Milton Park, Taylor and Francis Ltd., 2016; B. Steil, Il Piano Marshall. Alle origini della guerra fredda, Roma, Donzelli, 2018 (ed. or. The Marshall Plan.
Dawn of the Cold War, Oxford, Oxford University Press, 2017). Per quanto concerne l’impatto sul nostro Paese si
rimanda, invece, a C. Spagnolo, La stabilizzazione incompiuta. Il Piano Marshall in Italia (1947-1952), Roma, Carocci, 2001; M. Campus, L' Italia, gli Stati Uniti e il piano Marshall, 1947-1951, Roma-Bari, Laterza, 2008; F, Fauri, Il Piano
Marshall e l’Italia, Bologna, Il Mulino, 2010.
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Il quartier generale dell’Eca, viene stabilito a Parigi, mentre sedi locali vengono aperte in ciascuno dei Paesi aderenti per sovrintendere alle erogazioni nelle diverse realtà locali. In Italia, dove è forte e radicata la presenza dei social-comunisti, una particolare prudenza precede la siglatura degli accordi, dal momento che Washington, pur avendo apprezzato l’allontanamento delle sinistre dal governo nel 1947, si riserva di attendere precauzionalmente l’esito elettorale del 1948. Una volta chiarita la situazione politica, il nostro paese può così beneficiare dell’11% sul totale dei fondi stanziati per il risanamento europeo (subtotale ripartito, per l’80%, in fornitura di materie prime e, per il restante 20%, in prestiti diretti)9. In tutta Europa, il Piano Marshall è necessariamente accompagnato da un’accorta opera di comunicazione e propaganda, mirata a rendere edotti i cittadini circa i progressi apportati nei rispettivi paesi e a creare nell’opinione pubblica continentale orientamenti favorevoli nei confronti degli Stati Uniti e del loro modello. Ad adempiere a questo onere, attraverso le sue articolazioni nazionali, è lo United States Information Service (Usis), presente in Europa fin dal termine della Seconda guerra mondiale allorquando eredita le mansioni dei precedenti Office of War Information e Psychological Warfare Branch, continuando ad assolverle in tempo di pace. Solitamente ospitati presso consolati o altre sedi diplomatiche, gli uffici italiani sono presenti nelle principali città e svolgono un’alacre attività, volta a far conoscere alla popolazione la società statunitense e la sua cultura. Ogni ufficio è infatti concepito come un circolo culturale-ludico dove i cittadini possono recarsi liberamente per consultare la biblioteca, ascoltare la radio e assistere alla proiezione di film educativi (in larga parte prodotti durante il New Deal) e d’intrattenimento. Inoltre l’Usis, oltre a curare pubblicazioni e trasmissioni radiofoniche proprie, organizza manifestazioni popolari a carattere ricreativo, con le quali cerca di raggiungere anche le zone più arretrate come le periferie e le campagne10. Avendo maturato un’indiscutibile esperienza nel campo della diplomazia culturale, i funzionari dell’Usis risultano, per tanto, più che qualificati a coordinare la comunicazione pubblica del Piano Marshall. Relativamente a ciò, occorre puntualizzare che essi si occupano soltanto di divulgare capillarmente contenuti la cui ideazione e supervisione rimane, però, di stretta competenza dell’Eca (e, un secondo momento, della Mutual Security Agency).
La campagna promozionale del Piano Marshall è un fenomeno complesso che riguarda diciassette Paesi dell’Europa Occidentale, motivo per cui il suo orizzonte strategico non può che contemplare linee guida generali tatticamente declinate nel modo più idoneo a rispondere alle esigenze dei diversi contesti locali11. La massiccia propaganda audiovisiva dispiegata, che diviene in tempi brevi uno dei
9 Ivi, p. 158.
10 S. Tobia, Advertising America. The United States Information Service in Italy (1945-1956), Milano, LED, 2008, pp.
60-65.
11 Si tenga inoltre presente che un’azione persuasiva deve essere condotta anche all’interno degli Stati Uniti, dove un
segmento della popolazione, socialmente stratificato, non si rivela entusiasta di questa iniziativa. Vedi F. Fauri, Op. cit., pp. 32-38.
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fondamenti essenziali dell’intera campagna, permette di cogliere con chiarezza i lineamenti di questo processo, come dimostra un recente studio di Maria Fritsche, dove la produzione di cortometraggi documentari e film didattici è attentamente indagata nella sua dimensione europea12. Fra i meriti principali della studiosa austriaca vi è senz’altro quello di portare alla luce, e mettere a confronto, i diversi approcci adottati in ciascuna nazione nella messa a punto di una narrazione visuale, coerente e seducente, del Piano Marshall: in questa prospettiva analitica, infatti, i cineasti e i funzionari governativi europei vengono correttamente considerati quali soggetti compartecipi degli statunitensi, e non meri esecutori delle loro direttive, nella definizione della master narrative propagandistica. Se la ricerca della Fritsche dà conto, per la prima volta, della dimensione unitaria del rapporto dialettico fra ideatori e ricettori attivi della propaganda audiovisiva per il Piano Marshall, il problema era già stato invero esaminato su scala locale: per quanto concerne l’Italia, oltre al già citato testo della Bonifazio, occorre ricordare gli studi di David Ellwood13, Francesca Anania, Giovanna Tosatti14 e Regina M. Longo15. Nel contesto italiano, il coinvolgimento di maestranze locali da parte dell’Eca anticipa la stessa modalità operativa che viene in seguito replicata dal Servizio informazioni, ossia l’affidamento della realizzazione concreta dei documentari a società di produzione private. Come detto, insieme a questi prodotti ideati appositamente per specifici target nazionali ne vengono realizzati altri rivolti a tutto il pubblico europeo nel suo complesso.